idrossiclorochina
(iStock).
Salute

Il Consiglio di Stato bacchetta l'Aifa: sì all'idrossiclorochina

Firma la petizione su Change.org: https://www.change.org/PanoramaClorochinaCovid19

Il massimo organo di giustizia amministrativa ha sospeso le note AIfa che vietavano l'unico farmaco anti-Covid disponibile sul territorio. Una vittoria per i medici che hanno lanciato con Panorama la petizione per ripristinare l'idrossiclorochina, che ha già raccolto 15.000 firme.

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«L'ordinanza del Consiglio di Stato che oggi autorizza l'idrossiclorochina per il Covid-19 è anche frutto della petizione che abbiamo lanciato con Panorama il 16 ottobre e che ha coinvolto 15.000 firmatari. La campagna di sensibilizzazione ha avuto come cassa di risonanza la raccolta firme su Change.org». Il dottor Andrea Mangiagalli, medico di famiglia a Pioltello, è quasi incredulo. L'accoglimento del ricorso presentato da lui e da altri 43 colleghi, che hanno dato procura agli avvocati Erich Grimaldi e Valentina Piraino, è la vittoria di Davide contro Golia.

Quel gruppo di umili medici di famiglia è riuscito a convincere il Consiglio di Stato a rivedere, in sede cautelare, un'ordinanza della blasonatissima Agenzia italiana del farmaco, che vietava l'uso dell'idrossiclorochina per i pazienti Covid. Presentando una corposa documentazione scientifica e facendo leva sui successi terapeutici riportati sul campo, quei tanto vituperati medici di base hanno preso posizione contro il pensiero dominante di sussiegosi medici ospedalieri, cattedratici e ricercatori.

Già, perché la comunità scientifica con la c maiuscola ha continuato a ripetere che il farmaco antimalarico non funziona. E lo ha argomentato in prima battuta basandosi su uno studio farlocco pubblicato da The Lancet lo scorso 22 maggio. Quando poi tale studio è stato ignominiosamente ritirato, gli altolocati medici e ricercatori hanno motivato la loro contrarietà all'uso dell'idrossiclorochina sui pazienti Covid facendo riferimento a studi realizzati, magari oltreoceano, su tipologie di pazienti e con dosaggi molto diversi da quelli che i medici di famiglia italiani trattavano a domicilio.

L'ultima esternazione l'ha fatta ieri Matteo Bassetti. «Questo farmaco non solo non serve, ma ha molti effetti collaterali» Il responsabile di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova ha scritto sulla sua pagina Facebook. «Nonostante queste evidenze incontrovertibili della medicina c'è ancora qualcuno che vorrebbe usare a domicilio o in ospedale questo farmaco per la cura dei pazienti Covid-19».

Questo qualcuno è per esempio la Terza sezione del Consiglio di Stato. Nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2020, i magistrati Franco Frattini, Giulio Veltri, Massimiliano Noccelli, Giovanni Pescatore e Giulia Ferrari hanno deciso di sospendere «l'efficacia della nota del 22 luglio 2020 di Aifa con riferimento alla scheda dell'idrossiclorochina». Non solo. I magistrati hanno anche consentito «la prescrizione, sotto precisa responsabilità e dietro stretto controllo del medico, dell'idrossiclorochina ai pazienti affetti da Sars-Cov-2 nella fase iniziale della malattia».

Un vero e proprio colpo di scena. I giudici di palazzo Spada hanno smontato pezzo per pezzo le argomentazioni di Aifa. Per capire se «il temporaneo divieto di somministrare l'idrossiclorochina ai pazienti con sintomi lievi o moderati, in una fase non avanzata della malattia, risponda effettivamente all'esigenza di assicurare una terapia appropriata e sicura nella lotta intrapresa contro il Sars-CoV-2 a tutela dell'interesse alla salute pubblica» il Consiglio ha analizzato gli studi scientifici esistenti.

Ed è arrivato alla conclusione che «non esistono allo stato evidenze sperimentali – e, in particolare, studi clinici randomizzati e controllati – che dimostrino in modo incontrovertibile l'inefficacia dell'idrossiclorochina nei pazienti, con sintomi lievi e/o moderati, che si trovino nella fase iniziale della malattia e, quindi, non siano stati ancora ospedalizzati».

Anzi. Il Consiglio di Stato sottolinea che «tale quadro delle evidenze sperimentali, viste anche le condizioni di urgenza nelle quali sono stati eseguiti i trial clinici, non sempre è stato fondato su un approccio metodologico irreprensibile». Tra gli studi citati da Aifa per sostenere «la completa mancanza di efficacia a fronte di un aumento di eventi avversi» del farmaco, ce ne sono solo due eseguiti a domicilio. Entrambi, sostengono i giudici, «mostrano vistosi limiti». Un esempio? «Nel primo la diagnosi certa è stata possibile solo nel 58% dei casi».

L'ordinanza sgombra anche il campo dagli studi condotti «su pazienti in fase già avanzata della malattia e comunque già ospedalizzati». Motivo? Poiché «si tratta di accertare, invece, se l'idrossiclorochina possa svolgere un efficace ruolo terapeutico in fase precoce di sintomatologia da Sars-Cov-2», scrive il Consiglio di Stato, «molti studi randomizzati controllati, nell'assumere come popolazione di riferimento (…) i pazienti già ospedalizzati anziché i pazienti positivi trattati a domicilio, sembrano disattendere il c.d. requisito di validità esterna della ricerca».

È invece su quest'ultima categoria che si concentra l'appello dei 44 medici al Consiglio di Stato, presentato dopo la bocciatura delle due istanze cautelari proposte al Tar del Lazio nei mesi di luglio e ottobre 2020. Non a caso, la stessa Aifa in un aggiornamento dello scorso 25 novembre (parallelamente al decreto di fissazione dell'udienza del presidente Frattini) ha dovuto ammettere che per «i pazienti a domicilio di bassa gravità e nelle fasi iniziali della malattia (...) al momento esistono dati che, ancorché negativi, sono ancora limitati».

Appurato che non esistono studi incontrovertibili contro l'idrossiclorochina in pazienti non ospedalizzati, il Consiglio di Stato prende in considerazione gli studi randomizzati controllati e gli studi osservazionali citati dai 44 appellanti «che dimostrerebbero l'efficacia curativa del farmaco in una fase non avanzata dalla malattia, nonché un'esperienza clinica raccolta "sul campo" nei mesi precedenti, prima del divieto, da parte di molti medici, che avrebbero constatato l'efficacia della terapia con l'idrossiclorochina, a basso dosaggio e per pochi giorni».

I cinque giudici concludono dicendo che non spetta a loro «valutare e men che mai decretare l'efficacia terapeutica dell'idrossiclorochina nel contrasto al Sars-Cov-2 in una fase iniziale della malattia». Il loro compito è un altro. E lo spiegano bene. «Questo Consiglio» si legge sull'ordinanza, «ha il dovere di rilevare che la perdurante incertezza circa la sua efficacia terapeutica, ammessa dalla stessa Aifa (...), non è ragione sufficiente sul piano giuridico a giustificare l'irragionevole sospensione del suo utilizzo sul territorio nazionale da parte dei medici curanti in base ad una conclusione – la totale definitiva inefficacia del farmaco sotto ogni aspetto, anche immunomodulatorio – che, allo stato delle conoscenze e della ricerche tuttora parziali e provvisorie, sembra radicale e prematura già a livello scientifico».

Il Consiglio bacchetta poi pesantemente l'Aifa, sottolineando i rischi a cui un atteggiamento rigido, in presenza di una pandemia, può portare. «L'applicazione dei principî proprî dell'evidence based medicine di fronte ad un quadro emergenziale che non consente di acquisire evidenze sperimentali certe e rapide di studi randomizzati e controllati su una popolazione di riferimento – quella dei pazienti in una fase iniziale della malattia ristretti in isolamento domiciliare – conduce al paradosso di negare una qualsiasi possibilità di sperimentare in concreto la cura proprio quando maggiore, e urgente, ne è la necessità per questa classe di pazienti, così da evitare la loro ospedalizzazione e, nei casi più gravi o in quadri di comorbilità, la morte».

Con un carico da novanta, i cinque giudici aggiungono che la rigidità non può trasformarsi in cecità. «L'applicazione pur doverosa e rigorosa di questo metodo scientifico, in una forma, per così dire, estrema, non può essere cieca» spiegano, «e deve misurarsi, oltre che con il dato immediato della preziosa esperienza clinica degli scorsi mesi, con l'emergenza della situazione epidemiologica, senza condurre nel caso di specie ad un esito manifestamente irragionevole e sproporzionato, rispetto alla stessa finalità ultima di quel metodo (la cura più efficace del paziente) e cioè la negazione di ogni possibile cura, in assenza di altra valida alternativa terapeutica domiciliare».

Alla luce di queste considerazioni, l'ordinanza lascia la palla in mano ai singoli medici. «La scelta se utilizzare o meno il farmaco, in una situazione di dubbio e di contrasto nella comunità scientifica, sulla base di dati clinici non univoci, circa la sua efficacia nel solo stadio iniziale della malattia» sentenzia l'ordinanza, «deve essere dunque rimessa all'autonomia decisionale e alla responsabilità del singolo medico, con l'ovvio consenso informato del singolo paziente, e non ad una astratta affermazione di principio, in nome di un modello scientifico puro, declinato da Aifa con un aprioristico e generalizzato, ancorché temporaneo, divieto di utilizzo». Anche perché, sottolinea, «la cura non è un valore metafisico e lontano dal paziente, che egli non può comprendere e far proprio, non è un principio autoritativo, un'entità astratta, oggettivata, misteriosa o sacra, calata o imposta dall'alto».

Il Consiglio chiarisce quindi un punto sostanziale: il suo intento non è di alimentare false credenze, ma di riconoscere al medico il suo compito. «Non si tratta qui, si deve ribadirlo, di avallare un incontrollabile intuizionismo sperimentale del singolo medico nella scelta della cura né di approvare illusorie opzioni terapeutiche inutili o dannose o, ancor peggio, di alimentare credenze pseudoscientifiche o attese miracolistiche» scrivono i giudici. «Ma di riconoscere doverosamente alla scienza medica, nell'incertezza perdurante circa l'efficacia della terapia sulla base degli standard scientifici più accreditati, e pertanto al singolo medico tutta la responsabilità di valutare il singolo caso e di umanizzare e personalizzare la cura sulla base delle acquisizioni scientifiche disponibili, per quanto limitate e controverse».

Quanto alla sicurezza della terapia, si legge sull'ordinanza, «la stessa Aifa riconosce che i dati degli studi clinici randomizzati più recenti non sembrano confermare il maggiore rischio di gravi tossicità, soprattutto cardiologiche, riscontrate nei primi studi osservazionali e in nessun caso si è evidenziato un eccesso di mortalità». E poiché «non sembra esservi dunque, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, alcuna attendibile correlazione tra la somministrazione a dosi non elevate e per breve tempo dell'Hcq (idrossiclorochina, ndr) ed eventi cardiaci mortali o altri eventi avversi di particolare gravità», il Consiglio dà via libera al farmaco antimalarico.

«Fermo restando» aggiunge, «che la somministrazione della terapia deve avvenire sempre sotto monitoraggio costante e attento del medico che l'ha prescritta». L'ordinanza precisa che, restando la prescrizione dell'idrossiclorochina off label, cioè per un uso non previsto dal bigiardino, il farmaco non è rimborsato dal servizio sanitario nazionale. Poco male: 30 compresse costano fra i cinque e i sei euro.

Il massimo organo della giustizia amministrativa dà poi la bacchettata finale all'Agenzia del farmaco: «Emerge (...) la irragionevolezza e l'illogicità del divieto imposto dall'Aifa all'utilizzo dell'idrossiclorochina nella misura in cui esso, da un lato, sacrifica a priori in modo non giustificato e non proporzionato, in assenza di plausibili ragioni scientifiche fondative della scelta amministrativa, l'autonomia decisionale del medico (...) e dall'altro limita il diritto alla salute di cui all'art. 32 » della Costituzione.

«Il Consiglio di Stato ha approfondito tutte le eccezioni contenute nel mio atto d'appello e tutti gli atti allegati» commenta l'avvocato Erich Grimaldi. «E ha capito il cuore del problema: cioè che durante una pandemia, con centinaia di morti ogni giorno e le terapie intensive al collasso, non si può non considerare le evidenze dei territori e che non si può non lasciare libertà prescrittiva ai medici». L'avvocato napoletano, che ha creato un gruppo Facebook con oltre 40.000 membri a cui sono iscritti migliaia di medici che curano a distanza pazienti Covid abbandonati dai territori che hanno evitato centinaia di ospedalizzazioni in tutta Italia, sottolinea quello che considera l'aspetto più grave.

«Per poter smentire l'Aifa e garantire le cure domiciliari precoci, ci siamo dovuti affidare ai necessari tempi della giustizia» spiega Grimaldi. «In tal modo per gran parte della seconda ondata i medici non hanno potuto prescrivere un farmaco già disponibile nella prima. Pertanto non sapremo mai che cosa sarebbe successo se tanti malati finiti in ospedale (e magari deceduti) fossero stati trattati a domicilio con idrossiclorochina in fase precoce». Una domanda che dovrebbe togliere il sonno a molti.

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Elisabetta Burba