Panorama
Apple TV+ ha condiviso con i fan il teaser della nuova comedy The Studio, con protagonista Seth Rogen, che è anche sceneggiatore, regista e produttore esecutivo insieme al candidato all'Emmy Evan Goldberg. La nuova serie farà il suo debutto il 26 marzo con i primi due episodi (sono 10 in totale), seguiti da un episodio ogni mercoledì fino al 21 maggio.
Trama
Seth Rogen interpreta Matt Remick, il nuovo capo dei Continental Studios in crisi. In un settore in cui i film faticano a rimanere vivi, Matt e il suo team di dirigenti in lotta combattono le proprie insicurezze, mentre si scontrano con artisti narcisisti e con i vili proprietari dell'azienda nella ricerca sempre più effimera di realizzare grandi film. Indossando il vestito buono che maschera un infinito senso di panico, ogni festa, set visit, decisione sul casting, riunione marketing e premiazioni offre loro l'opportunità di un successo scintillante o di una catastrofe che pone fine alla loro carriera. Da persona che mangia, dorme e respira cinema, Matt ha inseguito questo lavoro tutta la vita e ora potrebbe distruggerlo.
Cast
“The Studio” riunisce un cast stellare che comprende anche la vincitrice di Emmy, SAG e Golden Globe Catherine O'Hara, la candidata all'Emmy Kathryn Hahn, Ike Barinholtz e Chase Sui Wonders. Il candidato all'Oscar e vincitore di un Emmy Award Bryan Cranston apparirà invece come guest star.
Prodotta da Lionsgate Television, “The Studio” è creata dai vincitori di più Emmy Peter Huyck e Alex Gregory insieme a Rogen, Goldberg e Frida Perez. James Weaver, Alex McAtee e Josh Fagen della Point Grey Pictures sono anche produttori esecutivi insieme a Rogen e Goldberg.
Il nuovo progetto segue l'ultima collaborazione tra Apple TV+ e Rogen, la comedy Apple Original “Platonic”, recentemente rinnovata, in cui Rogen è protagonista e produttore esecutivo insieme a Rose Byrne.
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Costume
Speciale Scala di Milano - Leo Muscato: «L'opera di Verdi è un reportage di guerra»
Per il regista, La Forza è la migliore opera di Giuseppe Verdi per ricchezza di personaggi e soprattutto per la sua attualità tematica legata ai conflitti. Da qui una direzione intesa come un «piano sequenza» che dal Settecento arriva ai giorni nostri
06 December 2024
Un viaggio nel tempo. Un viaggio nel tempo e nelle guerre che hanno insanguinato, e continuano a farlo, come la cronaca ci racconta quotidianamente. La forza del destino di Giuseppe Verdi che il 7 dicembre inaugura la nuova stagione del Teatro alla Scala è un «reportage di guerra». Così Leo Muscato rilegge l’opera che il compositore delle Roncole scrisse nel 1862 per San Pietroburgo e ripensò, riscrivendo completamente il finale, nel 1869 proprio per Milano.
«La guerra è la cornice dentro la quale raccontiamo quest’opera, una forza del destino in tempo di guerra» anticipa il regista di Martina Franca, al suo primo Sant’Ambrogio scaligero. «Forse sono più emozionato della prima volta, quando ho fatto Il barbiere di Siviglia. La Scala è un teatro che accoglie e l’emozione e l’eccitazione sono contagiose. La commissione per questa Prima è arrivata proprio un mese dopo il rossiniano Barbiere che abbiamo fatto a settembre del 2021 con Riccardo Chailly. Da allora ho iniziato a pensarci e a progettare la mia prima Prima» racconta Muscato. Sul podio di questa Forza ci sarà proprio Riccardo Chailly, direttore musicale del Piermarini. In scena un cast di stelle della lirica. Dopo il forfait di Jonas Kaufmann, Alvaro è il tenore americano Brian Jagde, il soprano russo Anna Netrebko veste i panni di Leonora, il baritono francese Ludovic Tézier quelli di Don Carlo, il mezzosoprano russo Vasilisa Berzhanskaya è Preziosilla, Alexander Vinogradov è il Padre Guardiano e Marco Filippo Romano Fra Melitone. «Personaggi» sottolinea il regista «che con le loro vicende private si stagliano su uno sfondo storico, di guerra, appunto».
Muscato, perché la guerra?
Perché è presente in tutta l’opera, è il fulcro narrativo del racconto, anche dove Verdi e il suo librettista Francesco Maria Piave non la citano esplicitamente. Pensiamo al primo atto, Leonora, promettendo il suo amore ad Alvaro, dice: «Con te sfidar impavida di rio destin la guerra…» quindi vuol dire che per fuggire con lui è pronta anche a sfidare i pericoli della guerra. Il terzo e il quarto atto sono atti di guerra, lo sappiamo. E alla fine, proprio nel quarto atto, la guerra è in corso, è come se fossimo alla fine di una giornata di bombardamenti, con gente provata dalle conseguenze degli spari, che non ha cibo per sfamare i figli. Quando ho iniziato a lavorare a questo progetto, due delle guerre che oggi tengono il mondo con il fiato sospeso, quella in Ucraina e quella in Medioriente, non erano ancora scoppiate. Ma ce ne erano comunque tante. E col tempo, ahimè, il conflitto si è rivelato la cornice ideale e drammaticamente attuale nella quale inserire il nostro racconto. Dovevo capire di quale guerra parlare. Quella del libretto che è una delle tante guerre di secessione del Settecento? O era meglio avvicinarci a Verdi e alle guerre di indipendenza dell’Ottocento? Oppure schiacciare il pedale dell’attualizzazione e portare la vicenda ai giorni nostri?
E quale guerra ha scelto di raccontare?
Una guerra trasversale, che attraversa i secoli nei costumi di Silvia Aymonino. Partiamo dal Settecento del libretto e arriviamo ai giorni nostri. Nel primo atto la guerra è nell’aria e noi siamo nel Settecento, tra i militari del marchese di Calatrava, perché ogni casato al tempo aveva un suo piccolo esercito. Siamo da subito in un contesto militarizzato, Carlo è un soldato e anche Alvaro lo è. Nel secondo atto facciamo un balzo nell’Ottocento per raccontare il reclutamento con giovani leve che si arruolano mentre Preziosilla canta «Evviva la guerra!». Il terzo atto ci porta nel Novecento, alla Prima guerra mondiale, l’ultimo conflitto che si è combattuto corpo a corpo, siamo in trincea, tra prime file e ospedali da campo, dove ci sono soldati feriti, altri che muoiono, altri che scrivono una lettera d’addio. Il quarto atto ci catapulta nella nostra contemporaneità anche se non metto in scena profughi o persone civili, per non ammiccare al Medioriente, all’Ucraina, Myanmar o altri luoghi dove oggi si combatte, racconto piuttosto un mondo di militari, da un parte i vincitori e dall’altra i vinti che chiedono pane e pietà. Uno scenario oggi drammaticamente attuale. E questo provoca in me un’indignazione mista a frustrazione perché di fronte alla guerra ci sentiamo impotenti.
Raccontata così questa Forza inaugurale assume anche un significato politico: la denuncia, come ripete spesso Papa Francesco, che «la guerra è sempre una sconfitta».
La Forza è una delle più belle opere che Giuseppe Verdi abbia scritto, perché dentro c’è tutto, c’è la vita di ciascuno, l’amore, la fede, la violenza (che è spietata), l’odio (che è feroce). Uno dei temi principali che mi commuove, anche perché è una delle mie più grandi paure, è quello di dover abbandonare tutto improvvisamente, di chiudere con la vita che si è fatta sino ad ora per voltare pagina. Nell’opera questo avviene per una banalità, un momento di ira non controllata, un colpo di pistola che parte accidentalmente. E poi c’è la possibilità di redenzione, un tema attualissimo, in un mondo attraversato da devastazioni. Alvaro me lo immagino come un uomo perseguitato da un senso di colpa atavico che non si placa, cerca sempre un modo per morire perché, da credente, sa che suicidarsi sarebbe un peccato che lo porterebbe ad essere dannato. Ecco perché va in guerra, non per la gloria, ma per cercare di morire sul campo di battaglia. Ecco perché accetta di battersi con Don Carlo. Poi nel finale, quando ritrova Leonora morente lei lo convince a perdonarsi, «Piangi e prega...» e lui finalmente dice: «Leonora io son redento, dal cielo son perdonato». E in quel momento hai la sensazione che succeda un miracolo.
Riccardo Chailly come ha accolto il suo progetto?
Da subito con entusiasmo. Appena arrivata la proposta di lavorare insieme a questa Forza, titolo che anche il maestro affronta per la prima volta, abbiamo iniziato a sentirci periodicamente per confrontarci. Abbiamo parlato frequentemente, abbiamo sviscerato insieme l’opera. Così, in un dialogo continuo, abbiamo costruito insieme questo spettacolo. Che ho immaginato come un lungo piano sequenza. Occorreva uno spazio che cambiasse in continuazione e per questo ho chiesto alla mia scenografa, Federica Parolini, un girevole che sarà una sorta di ruota del destino che gira in continuazione per cambiare continuamente scenario. Tutte le maestranze scaligere hanno fatto un lavoro formidabile per mettere a punto questa struttura scenotecnica complessa illuminata dalle luci di Alessandro Verazzi.
La lirica, il cinema, mondi, linguaggi, che, insieme alla prosa, lei frequenta abitualmente.
Senza, però, l’ansia di usare tutti i linguaggi di cui disponiamo. Uso quelli che servono per toccare le corde degli spettatori. La sfida per un regista è quella di trovare ogni volta una strada diversa per rendere comprensibile una storia. Il che non significa semplificarla, perché spesso per rendere più comprensibile una storia occorre renderla più complessa. Per questo si può anche prescindere dalle indicazioni delle didascalie, ma non dalle parole che i personaggi pronunciano/cantano e dal loro significato. Quando si mette in scena un’opera ci si deve confrontare con quello che lo spettatore sa già di quell’opera, di quella storia. E allora devi sorprenderlo, ma usando le stesse parole di sempre. Da piccoli non ci facevamo raccontare sempre le stesse favole, sempre con le stesse parole, ma restandone ogni volta stupiti e affascinati? Succede lo stesso anche con l’opera. Che un tempo era un mezzo di conoscenza, popolare, perché non tutti avevano accesso ai libri. E anche per questo non possiamo far diventare il teatro elitario - certo, i prezzi dei biglietti spesso non sono popolari, anzi - perché andremmo contro la sua essenza, snaturandolo.
Divulgare l’opera anche in tv, non a caso il 7 dicembre La forza del destino andrà in diretta su Rai1 e in moltissimi cinema in tutto il mondo.
E questo è molto importante. Tanto più che il pubblico del titolo inaugurale non è uno solo. C’è il pubblico della Prima, tutto particolare. C’è il pubblico delle repliche, quello scaligero, che frequenta il teatro durante tutto l’anno. E c’è il pubblico televisivo che forse non verrà mai in teatro, ma dobbiamo cercare di catturarlo con un racconto moderno e attuale. E cosa c’è di più drammaticamente attuale della guerra? «Pace, pace mio Dio» invoca Leonora nel quarto atto. La stessa richiesta che i popoli del mondo innalzano oggi: pace!
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Costume
Speciale Scala di Milano - La forza del destino, fra trionfi e scongiuri
La «ventiquattresima opera» di Giuseppe Verdi, dopo 59 anni, torna ad aprire la stagione lirica del Piermarini. A volerla il maestro Riccardo Chailly, che è al decimo «7 dicembre» consecutivo, e chiude così idealmente il suo percorso nel grande compositore
06 December 2024
Facciamo i dovuti scongiuri e troviamo subito il coraggio di nominarla, La forza del destino, il capolavoro verdiano che il 7 dicembre 2024 apre la nuova stagione della Scala. Ogni melomane, critico, musicologo che si rispetti sa che non si dovrebbe mai dire o scrivere il titolo di quella che è considerata l’opera iettatoria per eccellenza.
«La potenza del fato», «L’opera di San Pietroburgo», «L’innominabile», «La ventiquattresima opera di Verdi» sono solo alcune delle perifrasi usate per parlarne senza rischiare di sfidare la sorte, che sia o meno razionale, o anche solo di buon senso. Che poi, andando a cercare le ragioni della nefasta reputazione della Forza, non è che venga fuori granché. Certo, è noto che nel 1960 il povero baritono Leonard Warren fu colpito da un infarto fatale al Metropolitan dopo aver cantato l’aria «Urna fatale del mio destino», che è preceduta dal recitativo «Morir! Tremenda cosa». Ma a essere onesti, non è che le altre opere verdiane abbiano libretti meno sinistri. E poi cosa si dovrebbe dire del tenore Richard Versalle, morto nel 1996, anche lui al Met (stai a vedere che…) durante L’affare Makropulos di Leoš Janácek dopo aver pronunciato la frase «You can only live so long» («Si può vivere solo per un certo tempo», l’opera si dava in inglese).
Folklore operistico a parte, una particolarità nel titolo di quest’opera in effetti c’è. È l’unico nel catalogo verdiano che sia legato a un concetto, e non a un personaggio o a un fatto o a un luogo. Ci sarebbe stato Rigoletto, che in origine doveva chiamarsi «La maledizione», ma l’idea tramontò per ragioni di censura. Peraltro anche nella Forza la parola «maledizione» ricorre diverse volte, 14 per l’esattezza, contando anche verbi e aggettivi derivati. I maledetti sono i due amanti sventurati, Leonora e Alvaro, colti in flagrante dal padre di lei, il Marchese di Calatrava, ucciso da un colpo partito per sbaglio dalla pistola di Alvaro, che l’aveva gettata a terra in segno di resa. Come diceva Cechov, se in un racconto compare una pistola, questa prima o poi dovrà sparare.
Seguono avventure e disavventure di ogni tipo: la Forza è l’opera più eterogenea di Verdi. L’autore noto negli anni giovanili per la cosiddetta «tinta», ovvero per la coerenza stilistica e drammatica dei suoi lavori, mai come in questo lavoro della maturità sperimenta al contrario la varietà delle soluzioni. Tutto cambia continuamente, a partire dagli ambienti: palazzi, osterie, conventi, accampamenti militari; e poi ancora i personaggi: aristocratici, popolani, soldati, zingare, frati e via così, con tragedia e commedia che si mescolano, anzi si accostano mantenendosi irriducibili l’una all’altra. È proprio per questo che in queste ultime settimane di prove Riccardo Chailly ha spesso fatto riferimento al Manzoni per spiegare l’enigma dell’opera. Riferimento che è qualcosa di più di una suggestione, se si tiene conto che Verdi, per la versione della Forza andata in scena alla Scala nel 1869 (sette anni dopo la prima di San Pietroburgo), ripensa completamente il finale, eliminando il suicidio di Alvaro e scrivendo apposta un terzetto catartico, rarefatto, manzoniano appunto, in cui Padre guardiano chiama i due amanti alla preghiera, come una sorta di Fra Cristoforo con Renzo e Lucia - se non fosse che Leonora è morente. E come se non bastasse il librettista Antonio Ghislanzoni, intervenuto per integrare alcune scene per la ripresa scaligera, in quel periodo stava lavorando a una riduzione in libretto proprio dei Promessi sposi per il compositore Enrico Petrella.
Che sia quindi questa varietà romanzesca dell’opera, una delle più sperimentali del Verdi maturo, a renderla meno presente nei cartelloni? Non che non si faccia mai, anzi. Scorrendo le stagioni scaligere dal dopoguerra a oggi, l’opera viene diretta per primo da Victor de Sabata, poi da Nino Sanzogno e Antonino Votto, quest’ultimo in ben tre occasioni, una delle quali con Renata Tebaldi e Giuseppe Di Stefano. Quanto a Maria Callas, non la canta in scena ma la incide in quegli anni con i complessi della Scala diretti Tullio Serafin. Poi la dirige Gianandrea Gavazzeni nel 1965. Ma la rappresentazione entrata negli annali è sicuramente quella del 1978, per il bicentenario della Scala: direzione di Giuseppe Patanè, regia di Lamberto Puggelli con scene di Renato Guttuso, e un cast leggendario con nomi come Montserrat Caballé, José Carreras, Piero Cappuccilli e Nicolai Ghiaurov.
Bisogna aspettare il 2000 per rivedere la Forza a Milano, prima con Riccardo Muti nella versione ’69 (regia di Hugo De Ana), poi l’anno dopo con Valery Gergiev e l’orchestra del Mariinskij nella versione originale di San Pietroburgo, più cupa e nichilista. Tutto sommato si contano diversi importanti allestimenti, ma solo un’altra volta la Forza aveva inaugurato una stagione della Scala: con Gavazzeni nel ’65. Impietoso il confronto con un altro titolo ambizioso di Verdi, Don Carlo, programmato come apertura del teatro per ben cinque volte, compreso lo scorso anno.
Sono molte le ragioni che rendono importante questa scelta di Riccardo Chailly, giunto al suo decimo «7 dicembre» consecutivo. Innanzitutto si completa idealmente il suo percorso verdiano, dopo Giovanna d’Arco, Attila, Macbeth e Don Carlo, e inoltre sembra perfezionarsi la riflessione musicale su «massa e potere» iniziata con Boris Godunov, capolavoro che Musorgskij può aver concepito solo grazie all’influenza in Russia della Forza verdiana. Per questa nuova produzione firma la regia Leo Muscato, che non intende mascherare la frammentarietà dell’opera, ma al contrario esaltarla, esasperando il passaggio del tempo con ognuno dei quattro atti ambientato in un’epoca diversa, dal Settecento ai giorni nostri. Il tutto ricucito scenicamente da un grande girevole che, ineluttabile come il fato, fa convergere i protagonisti verso il loro tragico incontro finale. In scena Anna Netrebko, che con questo arriva alla sua settima «prima», una in più di Maria Callas e di Mirella Freni, che detenevano il primato. Accanto a lei Brian Jadge, tenore americano chiamato a sostituire Jonas Kaufmann che ha rinunciato per ragioni familiari, allungando così, per chi fosse ancora un po’ scaramantico, la lista degli inconvenienti causati da quest’opera.
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News
La ritirata delle banche colpisce gli anziani
La chiusura di migliaia di sportelli soprattutto in provincia e l’uso estremo del digitale pesa sui più fragili, privi di competenze. Perché tagliare i costi ormai viene prima delle persone
06 December 2024
Una signora, Vincenza Di Gennaro, ha scritto una letterina al Corriere della Sera dove dice così: «Quello che non capisco è la pretesa delle banche che tutti i clienti si rendano autonomi nella gestione online dei propri conti senza diminuire le spese bancarie.
Io sono anziana e non mi abituerò mai al conto online». Questa signora ha ragione da vendere perché la follia d’imporre a tutti la transizione digitale in tempi brevi, anche a chi non potrà mai adattarsi a essa se non rivolgendosi a qualche buon’anima che l’aiuti nel compiere le operazioni online, non riguarda solo le banche ma anche la Pubblica amministrazione. Che, tra Spid e Spod, ha reso, per molti, impossibile un accesso semplice - come dovrebbe assolutamente essere per come è concepito il rapporto fra la pubblica amministrazione il cittadino nella nostra Costituzione - che, invece, viene trasformato in una specie di labirinto, di periplo che richiede, per un accesso comodo e veloce, competenze che spesso il cittadino non possiede. Ma chi se ne frega! Il mondo deve andare avanti, la tecnologia è il futuro e chi rimane indietro sono cacchi suoi. Vi pare questo un modo di ragionare che parta dalla realtà o, piuttosto, un modo di ragionare ideologico che disegna una società che non esiste e nella quale, ormai, in Italia, tutti sono alfabetizzati da un punto di vista digitale e, quindi, possa essere tolta di mezzo l’intermediazione umana in tutti i rapporti tra cittadino e istituzioni, banche comprese, lasciando ai vari computer il ruolo dell’intermediazione che prima era fatta dalle persone?
Gli sportelli bancari in Italia sono sempre meno, come ci dice una ricerca dell’Osservatorio di First Cisl dedicata al fenomeno della desertificazione bancaria e basato sull’elaborazione di numeri messi a disposizione da Istat e Banca d’Italia, «sono sempre meno gli sportelli in Italia; nel 2024 hanno chiuso finora 163 punti... per un totale di 3.296 Comuni, cioè circa la metà a oggi senza filiali. Prelevare contanti in Italia diventa sempre più un’impresa. La desertificazione bancaria continua ad avanzare in lungo e in largo nella Penisola con una media di meno 600 sportelli bancomat all’anno… una tendenza sempre più in crescita in particolare negli ultimi dieci anni e che riguarda ormai quattro Comuni italiani su 10, pari a una superficie di Lombardia, Veneto e Piemonte messi insieme». Sono dati che fotografano una situazione sostanzialmente irreversibile e che non tiene conto del fatto che «in un Paese con oltre 13 milioni di abitanti con più di 65 anni, il risultato è di rischiare di lasciare troppi cittadini, che non hanno dimestichezza con gli strumenti digitali e che spesso non possono spostarsi in auto, completamente sprovvisti di un servizio fondamentale per la quotidianità».
Tra l’altro, il fenomeno riguarda più le piccole città che non le grandi come Milano, Roma e Napoli, cioè riguarda quella fetta di territorio che ha anche meno servizi di trasporti e che non permette, evidentemente, ai più anziani di girovagare in cerca di uno sportello bancomat. Per carità, forse è legittimo che le banche badino all’efficienza e màcinino utili sempre crescenti riducendo il costo del personale. Sono imprese private per cui agiscono nella legittima ricerca del profitto, ma ci sarebbe un articoletto della Costituzione, il numero 47, che, al primo comma, recita così: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina coordina e controlla l’esercizio del credito».
Questo certo non vuol dire che il parlamento possa imporre alle banche un numero di sportelli, di bancomat e di servizi che facilitino la vita di quei vari milioni di italiani, non solo anziani, ai quali nessuno si è premurato di insegnare come usare i computer e come entrare nel mondo digitale. Quello che è certo è che questo modo di fare non incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme perché le difficoltà estreme incontrate da chi non ha pratica digitale nel mettersi in comunicazione con l’istituto certamente non incoraggia e tutela il risparmio. Siamo alle solite. Grandi obiettivi ideologici, come la transizione digitale, anche nel sistema bancario, enormi difficoltà delle persone cui non è dato né il modo né il tempo di adattarsi a questo cambiamento. Strana via di procedere, fa specie quando si sentono affermare concetti tipo la centralità della persona nel credito e altre fandonie del genere. Comunque, questi sono i numeri , affidiamo le conclusioni alle lettrici e ai lettori.
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Eventi
Panorama Impact Awards: le aziende premiate
Panorama ha premiato le aziende virtuose con l'ambiente, la società e i lavoratori
04 December 2024
Una serata di festa dedicata alle imprese che guardano avanti cavalcando la sostenibilità: parola d’ordine non sempre in accordo con la vita delle persone, anzi.
Il 3 dicembre, al The Flat by Macan di Milano, sono stati consegnati dal direttore Maurizio Belpietro i riconoscimenti Impact Award 2024, premi che ogni anno (siamo alla seconda edizione) Panorama assegna ad aziende meritevoli nel percorso verso la transizione energetica, l’inclusione, l’attenzione alle tematiche ambientali.
Li hanno ricevuti otto aziende. Sono saliti sul palco figure apicali di Snam, A2A, Terna, Ascopiave, La Molisana e Magic Spa (indicate da Banco Bpm), Bf Educational, Bioman, La Cascina. Imprese che lavorano nel campo dell’energia, dei servizi, del food, dell’agricoltura, degli imballaggi. Aziende grandi, medie e piccole, unite idealmente dall’operare con azioni concrete in modo sostenibile, con attenzione ai profitti: ragione primaria di ogni impresa è appunto avere i conti in ordine e generare benessere. Prima di dare la parola ai dirigenti, i quali hanno sinteticamente messo in luce i punti salienti delle loro società, Maurizio Belpietro ha sottolineato che per una volta i riflettori illuminano “aziende che innovano migliorando le condizioni di lavoro e di vita dei loro dipendenti”.
E ha aggiunto: “altro che la decrescita felice, propugnata da una parte politica, siamo davanti alla crescita. Che riguarda la vita quotidiana, dal problema della denatalità all’inserimento senza discriminazioni nel processo produttivo”. Impact Award 2024 indica la strada virtuosa, non punitiva, per le aziende che rispettano gli impegni etici, ambientali, sociali. Un gruppo destinato a crescere: diversamente restare indietro non sarà più un rischio, ma una certezza.
Claudio Farina, Chief Strategy and Technology Officer di Snam
<p>Per l’impegno in direzione di una transizione energetica giusta, concreta e pragmatica, e per il nuovo Transition Plan, che illustra risultati, obiettivi e azioni di Snam rispetto ai temi - dal net zero alla tutela della biodiversità - e ai tempi, con target di breve, medio e lungo periodo, che arrivano fino al 2050</p>
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E' in corso un processo che non sembra lasciare molti spazi di manovra alle industrie della vecchia Europa, strette come sono fra i costi di un welfare sempre meno sostenibile e i prezzi dell’energia superiori a quelli dei Paesi concorrenti. Senza contare i vincoli imposti da una transizione ambientale e le migliaia di regole burocratiche inventate dai funzionari di Bruxelles.
Quando nei primi anni Ottanta lavorai a Bergamo, l’industria del bianco era tra le più importanti della provincia. Dalle fabbriche di Candy, Philco e Zerowatt uscivano lavatrici, lavastoviglie, frigoriferi e congelatori, produzioni che davano lavoro a centinaia di persone. A distanza di tempo, di quelle realtà non esiste più nulla se non, talvolta, i marchi. E però ricordo che più di quarant’anni fa i segni di quel che sarebbe accaduto già si potevano intravedere: l’industria degli elettrodomestici nazionale cominciava a essere aggredita da quelle dei Paesi dell’Est e dai concorrenti asiatici. Dal che si poteva intuire che senza innovazione, ma soprattutto senza una sensibile riduzione dei costi, tra cui quello del lavoro, le realtà che avevano accompagnato il boom economico degli anni Sessanta e trasformato la vita di milioni di famiglie, entrando nelle cucine e nei bagni degli italiani, sarebbero state spazzate via. Come in effetti poi fu.
Se si ripercorre la storia del settore, magari sfogliando la pubblicità presente nei vecchi numeri di Panorama, troviamo un cimitero di nomi ben noti. Oltre ai succitati, ci sono Zanussi, Ignis, Indesit, Zoppas, Castor: tutti o quasi spariti. Al massimo resta vivo qualche brand, ma le aziende sono da tempo passate di mano, dai fondatori agli investitori, e non di rado le produzioni sono state trasferite all’estero. L’ultimo esempio in ordine di tempo riguarda Beko, gruppo turco proprietario di vari marchi, tra cui Indesit e Ignis, che nelle scorse settimane ha annunciato la chiusura di alcune fabbriche e il licenziamento di duemila dipendenti.
Perché mi interessa il declino della cosiddetta industria del bianco? Perché secondo me rappresenta meglio di tante chiacchiere il rischio che stanno correndo le grandi imprese europee, da quella dell’automobile a quella chimica, dalla manifattura alle macchine utensili. Ne parliamo a pagina 14 con un’inchiesta di Guido Fontanelli, il quale oltre a ripercorrere le tante crisi aziendali che si scaricano sul tavolo del ministero dello Sviluppo economico, racconta un processo che non sembra lasciare molti spazi di manovra alle industrie della vecchia Europa, strette come sono fra i costi di un welfare sempre meno sostenibile e i prezzi dell’energia superiori a quelli dei Paesi concorrenti. Senza contare i vincoli imposti da una transizione ambientale e le migliaia di regole burocratiche inventate dai funzionari di Bruxelles.
Piano piano, le fabbriche del continente perdono terreno e per salvarsi in molte emigrano, trasferendo armi e bagagli all’estero: a volte negli Stati Uniti, altre in Paesi fiscalmente o produttivamente più convenienti. Un fenomeno che dal mio punto di vista è cominciato tanti anni fa e che ora, se non si cambieranno le regole del gioco nella Ue, rischia di concludersi in maniera disastrosa per milioni di lavoratori.
A differenza di chi nel 2001 era in piazza per protestare contro la globalizzazione, convinto che l’apertura dei mercati avrebbe impoverito ancora di più le nazioni deboli, già all’epoca ero certo che sarebbe avvenuto il contrario. La battaglia contro il neoliberismo e le multinazionali è stata inutile, perché la globalizzazione non ha reso poveri i Paesi emergenti, ma li ha rafforzati, producendo l’effetto opposto in Europa. Il Pil dei Brics, ma non soltanto di Cina, Brasile e India, cresce, mentre quello nella Ue diminuisce. Se una volta con una celebre definizione si descriveva il Vecchio continente definendolo un gigante economico, un nano politico e un verme militare, oggi la prima convinzione va rivista al ribasso, perché l’Europa non è più quel colosso che credevamo.
Scatti di Industria: 160 anni di Ansaldo in mostra
Scatti di Industria: 160 anni di Ansaldo in mostraIl 2025 si presenta con una guerra alle porte che non promette nulla di buono, ma soprattutto con un’America che punta a rafforzarsi, imponendo dazi e misure per incentivare l’industria interna. E noi? A Bruxelles, popolari, socialisti e verdi continuano a litigare, senza rendersi conto che la questione a cui prestare attenzione non sono le poltrone e le deleghe dei commissari, ma il pericolo di una desertificazione industriale. Un rischio che non è lontano, ma dietro l’angolo.
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Lavoro
Terna: infrastrutture e sostenibilità per la transizione
Impact Awards 2024: Terna
03 December 2024
Nel Piano Industriale 2024-2028 presentato lo scorso 19 marzo, Terna - la società che gestisce la rete elettrica nazionale guidata dall’Amministratore Delegato e Direttore Generale Giuseppina Di Foggia - ha indicato 16,5 miliardi di euro di investimenti nei prossimi cinque anni, i più alti nella storia del Gruppo,
il primo operatore di rete indipendente in Europa e tra i più grandi al mondo, con oltre 75.000 km di rete in alta e altissima tensione e 6.200 dipendenti in tutto il Paese. La rilevante somma servirà a migliorare il sistema elettrico italiano, di cui Terna è primaria protagonista, e a supportare la transizione in linea con il Green Deal europeo e il PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) in tema di decarbonizzazione, che prevede una riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2030 di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990.
I cavi sottomarini più profondi del mondo
Altro tema chiave nel Piano Industriale sono i collegamenti elettrici sottomarini, che prevedono lavori subacquei che sarebbero in grado di meravigliare persino un redivivo Jules Verne: il suo visionario “Ventimila leghe sotto i mari” qui diventa realtà. Attualmente, sono sette i collegamenti sottomarini di Terna in esercizio. Il Tyrrhenian Link, come altri cantieri sottomarini, è in corso di realizzazione. Sarà uno dei più ambiziosi, unirà la Sicilia alla Sardegna e alla Campania. Sono invece operativi il Sa.Co.I. 2 che collega Toscana, Corsica e Sardegna; l’interconnessione tra l’Italia e la Grecia; il Sa.Pe.I. tra il Lazio e la Sardegna; il cavo Sorgente Rizziconi tra la Sicilia e la Calabria; la linea tra Capri e Sorrento; l’interconnessione tra Italia e Montenegro e, in ultimo, il collegamento tra Piombino e l’Isola d’Elba. Per adesso, il più profondo tra i collegamenti in esercizio è il Sa.Pe.I.: tocca i 1.640 metri di profondità. Ma il record di questa vasta rete abissale verrà superato: il Tyrrhenian Link raggiungerà la profondità di 2.150 metri, un livello mai toccato nel mondo. Tali opere colossali richiedono elevati standard tecnologici e ingegneristici, oltre a una progettazione che valuti le caratteristiche geomorfologiche del fondale e dell’ecosistema. Il Tyrrhenian Link, infrastruttura strategica con 970 km di cavi sottomarini e 1.000 MW di potenza, ha ottenuto la necessaria autorizzazione da parte del Mase (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica) per entrambi i rami dell’opera. Le stazioni di conversione in corrente continua saranno realizzate a Selargius (Cagliari), Eboli (Salerno) e Termini Imerese (Palermo). Per la posa dei cavi marini Terna ricorrerà all’utilizzo della perforazione teleguidata (Trivellazione Orizzontale Controllata, TOC), che consente di ridurre l’interferenza con la flora marina e l’impatto dei lavori sul litorale.
Dal Sud verso il Nord con energia eolica e fotovoltaica
Altra opera fondamentale è l’Adriatic Link, il cavo sottomarino in corrente continua da 1.000 MW e 250 km di lunghezza che collegherà l’Abruzzo e le Marche. Autorizzata dal Mase lo scorso gennaio, l’infrastruttura consentirà di incrementare lo scambio tra le zone Centro-Sud e Centro-Nord del Paese, aumentando la sicurezza e l’efficienza dell’intera rete elettrica nazionale. L’Adriatic Link avrà un ruolo di primo piano nel trasferimento dell’energia prodotta dai numerosi impianti eolici e fotovoltaici del Sud Italia il Nord. Le stazioni di conversione saranno realizzate a Cepagatti (PE) e Fano (PU). La posa dei cavi raggiungerà una profondità massima di 100 metri.
Il ponte con l’Africa
Tra i progetti di interconnessione di Terna, importantissimo è Elmed, il ponte energetico invisibile tra l’Italia e la Tunisia. Si tratta del primo collegamento elettrico in corrente continua tra Europa e Africa: contribuirà alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico italiano e al raggiungimento dei target fissati in materia di energia. Elmed è uno dei progetti del Piano Mattei per l’Africa. È cofinanziato dalla Commissione europea tramite Connecting Europe Facility (CEF), fondo dell’Ue destinato allo sviluppo di progetti chiave. Per la prima volta fondi CEF sono stati assegnati a un’opera infrastrutturale di uno stato membro e uno stato terzo. L’elettrodotto si snoda tra la stazione elettrica di Partanna, in provincia di Trapani, e quella di Mlaabi, nella penisola tunisina di Capo Bon, per una lunghezza complessiva di circa 220 km (la maggior parte in cavo sottomarino), con una potenza di 600 MW e una profondità massima di circa 800 metri.
Le praterie di Posidonia Oceanica
A conferma del ruolo sempre più centrale della sostenibilità nelle strategie di Terna, per la prima volta il Piano di Sostenibilità del Gruppo è diventato parte integrante del Piano Industriale. La realizzazione della transizione energetica è dunque l’obiettivo strategico di Terna. Coincide con l’affermazione di un modello di business sostenibile e con l’implementazione di una serie di attività con cui il Gruppo si impegna a perseguire una Just Transition: un processo giusto, inclusivo, attento ai possibili impatti su lavoratori, comunità locali e fornitori. Un esempio virtuoso è rappresentato dal nuovo collegamento sottomarino tra l’Isola d’Elba e Piombino per il quale Terna ha trapiantato Posidonia Oceanica in un’ampia area al largo del Golfo di Follonica, tra Livorno e Grosseto. La Posidonia ha la caratteristica di formare praterie sommerse che esercitano una notevole azione nella protezione della costa. L’estesa diffusione della pianta rende la sua tutela uno dei driver per la definizione dei punti di approdo dei cavi sottomarini sulla terraferma e per la progettazione delle infrastrutture. Per il trapianto di Posidonia Oceanica sono stati necessari oltre dieci anni di paziente lavoro. Altre azioni di mitigazione e compensazione sono state pianificate, per opere in programma. Per esempio, Terna ha avviato le attività di trapianto sperimentale di Cymodocea nodosa a Fiumetorto, in Sicilia, in vista del Tyrrhenian Link.
Monitoraggio con la società WSense
Un progetto di innovazione di Terna legato all’ ambito sottomarino ha riguardato la sperimentazione della tecnologia dell’Internet of Underwater Things (IoUT). In questo caso Terna si è avvalsa della collaborazione di WSense, società deep-tech italiana leader nel monitoraggio e nei sistemi di comunicazione per l’ambiente subacqueo. La sperimentazione della tecnologia IoUT si è svolta nelle acque del Mar Tirreno, nel canale di Piombino. In dettaglio, Wsense ha predisposto un sistema di sonde sottomarine, collegate l’una con l’altra in una rete wi-fi subacquea per la trasmissione dei dati. Attraverso questo network sottomarino è stato possibile acquisire in tempo reale, per un periodo di tempo prolungato e continuativo, dati per il monitoraggio dell’ecosistema marino relativi a diversi parametri: rumore subacqueo, correntometria, clorofilla, temperatura e torbidità dell’acqua. Tutti questi meritevoli sforzi aziendali, e la visione chiara del futuro verso il quale andiamo, coniugano efficienza energetica e sostenibilità, con infrastrutture che supportano la decarbonizzazione e la resilienza della rete elettrica italiana. Costruita anche in fondo ai mari.
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Lavoro
Molecole verdi, meno emissioni, biodiversità: così la transizione per Snam
Impact Awards 2024: Snam
03 December 2024
Nel mondo si vive un generale rallentamento del percorso (necessario, non c’è altra strada percorribile) verso il Net Zero. Con notevoli differenze rispetto ad aree geografiche ed economiche: se Europa e Italia fanno il loro dovere e diminuiscono le emissioni climalteranti di CO2 e di metano, il resto del pianeta è molto meno virtuoso.
Tanto è vero che le emissioni di CO2 hanno raggiunto un nuovo record di 37,4 Gt nel 2023. Va detto che continua a mancare, e va invece favorita, una comprensione profonda della natura fisica, materiale, sistemica della transizione cui è chiamato il Pianeta. Si tratta di una rivoluzione industriale ad altissima intensità di capitale, strettamente dipendente da enormi interventi infrastrutturali e legata a profonde conversioni dei modi di vita e di lavoro di città, aziende, persone. Chiama in causa chi produce l’energia, chi la trasporta, chi la consuma (e quanta ne consuma e per produrre e fare cosa). Solo per il comparto energy significa convertire 60 mila impianti per la produzione o il trattamento dell’energia. Le nostre economie sono ancora oggi incardinate su materiali come acciaio, cemento, plastiche: non possono sparire o essere sostituiti in un battito di ciglia. McKinsey stima che vanno affrontati 12 cambiamenti sistemici complessi, dai quali dipende il 50% delle emissioni globali di CO2. Il ritardo generale ha qualche giustificazione. Forse alcuni obiettivi, decisi in alto, sono troppo sfidanti, fuori dalla realtà, soprattutto con la crisi energetica che ha ridefinito le priorità. Poi il mondo è cambiato: il Green Deal europeo era stato programmato nel “lontano” 2019: prima della pandemia e della guerra scatenata dalla Russia in Ucraina. A che punto siamo? Risponde McKinsey: fatto 100 il percorso che dobbiamo compiere a livello globale, a oggi siamo arrivati a 10. Poco, ma è bastato per toccare equilibri sociali ed economici. Si immagini cosa potrebbe succedere se affrontassimo in modo poco accorto il restante 90% della transizione.
Un Gruppo in controtendenza
Il contesto in cui opera Snam lo abbiamo, a grandi linee, descritto: lasciamo agli esperti di scenari geo-economici lo studio nel dettaglio. Snam è il primo operatore europeo nel trasporto del gas naturale con una rete, in Italia e all’estero, di circa 38.000 km. L’azienda opera anche nello stoccaggio, di cui detiene approssimativamente il 20% della capacità a livello europeo, e nella rigassificazione, con una capacità annua di 13,5 miliardi di metri cubi di gas: saliranno a 18,5 miliardi di metri cubi nel 2025 per l’entrata in esercizio del rigassificatore di Ravenna. Ebbene, un Gruppo così è in controtendenza rispetto ai rallentamenti sopradetti. La strada della transizione l’ha imboccata da tempo e sono agli atti risultati importanti. Nella riduzione delle emissioni climalteranti, oltre che nello sviluppo di un sistema infrastrutturale multi-molecola, capace di trasportare e stoccare non solo gas naturale, ma molecole verdi come il biometano e – in prospettiva – l’idrogeno. Snam è inoltre impegnata nel settore dell’efficienza energetica, al servizio di imprese, pubblica amministrazione e condomìni. E di recente ha inoltre presentato un vero e proprio Transition Plan, roadmap pragmatica e al contempo visionaria, attenta anche a natura e biodiversità.
Venier: coraggio degli obiettivi, concretezza delle azioni
Dice l’amministratore delegato del Gruppo, Stefano Venier: “La transizione è un processo complesso e onnicomprensivo ed esige un’accorta pianificazione. In Snam lo abbiamo declinato con il Transition Plan, a coronamento di un percorso storico sulla sostenibilità entrato anche nel nostro Statuto. Puntiamo al Net Zero su tutte le emissioni entro 2050, e il 2024 ci farà fare un importante passo in avanti. Lavoriamo poi per promuovere la biodiversità, facendo leva sugli oltre 700 cantieri Snam aperti nel Paese. Gli scenari del Transition Plan sottolineano la resilienza dei nostri asset, capaci di trasportare e stoccare anche molecole verdi e CO2 . Il gas è un vero e proprio vettore di transizione: accelera la dismissione del carbone, assicura l’energia necessaria e accompagna lo sviluppo delle rinnovabili, mitigando gli effetti della loro intermittenza”. E Venier prosegue: “Per centrare il Net Zero occorre una sorta di pragmatismo visionario, che coniughi il coraggio degli obiettivi alla concretezza delle azioni. Ecco perché in Snam facciamo massa critica su quelle che incidono davvero. Poi occorrono condivisione e coinvolgimento, perché il Net Zero o è di tutti – Paesi in via di sviluppo inclusi - o non è di nessuno. Fondamentale è anche la trasparenza nella rendicontazione, per catalizzare la fiducia del sistema, essenziale per arrivare a meta”. Gli obiettivi fondamentali del Gruppo, dunque, sono la carbon neutrality sulle proprie emissioni dirette entro il 2040 e il Net Zero su tutte le emissioni (fornitori e associate inclusi) entro il 2050. E in aggiunta l’impatto positivo (Net Positive Impact) sugli ecosistemi attraversati dalle proprie opere già dal 2027. I punti salienti del Transition Plan, minuziosamente descritti, occupano stampati un centinaio di pagine. Una sorta di libro del futuro più verde e sostenibile, valida guida per team di comando e dirigenti, ma anche di normali dipendenti. Il Gruppo investe risorse per andare sempre più avanti verso un’economia a bassa intensità di carbonio, per la decarbonizzazione delle proprie attività e del Sistema Paese, nonché per la tutela del territorio, della natura e della biodiversità. Si tratta di una roadmap solida - con target a breve, medio e lungo periodo - e al contempo flessibile, nata per essere aggiornata ogni due o tre anni. Per fare il punto sui risultati raggiunti e riorientare la strategia, in accordo con lo sviluppo tecnologico.
26 miliardi per la transizione e la sicurezza energetica
Qualcuno dirà: ma con quali risorse? Dal 2023 al 2032 sono previsti 26 miliardi di euro in investimenti (in transizione e sicurezza energetica, precondizione irrinunciabile). Così divisi: 11,5 mld per il piano 2023-2027 e 14,5 mld per il piano 2028-2032. Rispetto agli 11,5 mld compresi tra il 2023 e il 2027, 4,3 sono allineati alla Tassonomia Europea e 7,1 agli SDGs dell’ONU. Fra i progetti infrastrutturali di maggior impatto si segnalano: il SoutH2 Corridor, corridoio di 3.300 km (derivante per il 60% dal riutilizzo di condotte esistenti) per il trasporto dell’idrogeno verde prodotto in Nord Africa verso Italia, Austria e Germania. Realizzato insieme ad altri TSO europei (aziende omologhe di Snam), sarà operativo dal 2030 e potrà coprire fino al 40% dell’intero target europeo di importazione di idrogeno verde; Ravenna CCS (Carbon Capture and Storage), progetto realizzato in joint venture con Eni di cui è partita a settembre la fase 1: prevede cattura e stoccaggio della CO2 nei giacimenti esauriti di gas situati nelle acque antistanti Ravenna. Ha l’obiettivo di decarbonizzare i processi produttivi delle industrie energivore (cementifici, ceramica, vetro, fonderie ecc.) che non possono essere elettrificati. Si candida a diventare il polo CCS di riferimento per l’area del Mediterraneo. La roadmap riporta le attese in riduzione delle emissioni di CO2 del 20% nel 2024 rispetto al 2022 (erano del 10% l’anno scorso), e indica le prossime tappe. Ossia una riduzione del 25% al 2027, -40% al 2030, -50% al 2032. Previsti interventi di efficientamento ed elettrificazione per l’alimentazione delle centrali di spinta del gas, che assorbono la maggior parte dei consumi di Snam. Per le emissioni di metano, già ridotte del 57,5% nel 2023 sul 2015 (risultato che è valso la quarta riconferma consecutiva del Gold Standard di Unep), si arriverà a -72% al 2030 (e ricordiamo che attualmente il gas disperso è poca cosa, non supera lo 0,03% di quello immesso in rete). Il tutto grazie soprattutto a progetti, altamente tecnologici, per individuare, monitorare e contenere le cosiddette “emissioni fuggitive”.
Migliorare gli ecosistemi
Ma il Gruppo è impegnato in prima linea sul fronte della “biodiversity strategy”, che significa non solo impatto zero sugli ecosistemi attraversati da lavori dell’azienda, ma impatto positivo (net positive impact), migliorandoli, a partire dal 2027. È infatti necessario, è la convinzione di Snam, uscire dalla “carbon tunnel vision”, dall’idea che sia sufficiente occuparsi della sola, ancorché importante, riduzione delle emissioni climalteranti. Prima azienda a livello globale esclusivamente dedicata al business delle infrastrutture ad aderire al nuovo Corporate Engagement Program di SBTN (Science Based Targets for Nature), Snam ha messo la propria capillare presenza sul territorio nazionale al servizio dei suoi ecosistemi. I cantieri stanno così diventando presidi dell’equilibrio idrogeologico, faunistico e vegetazionale del Paese.
L’importanza della finanza sostenibile
Nel 2020 era al 40% del funding di Snam, nel 2023 all’80% e ha oggi raggiunto l’84%, soglia prossima all’obiettivo dell’85% per il 2027. Già oggi, il 50% del funding è legato a obiettivi di riduzione delle emissioni, impegnando Snam a fare sul serio. Altro fulcro è l’innovazione trasformativa: Snam ha digitalizzato tutti i propri asset e fa ampio ricorso all’intelligenza artificiale e alla sensoristica, puntando non soltanto sull’innovazione consolidata (proven innovation) ma anche sull’open innovation: dal 2021, Snam ha generato oltre 300 idee e ha esaminato più di 2.500 start-up, finanziando progetti come la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio della CO2 biogenica. Il Transition Plan è un grande impegno: è la guida di un’azienda moderna che deve guardare avanti, con forza e fiducia.
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Lavoro
La Cascina: la persona al centro del nostro futuro
Impact Awards 2024: La Cascina
03 December 2024
In principio, nel 1978, fu il suggerimento di un sacerdote, Don Giacomo Tantardini, che convinse alcuni studenti romani e fuorisede ad aprire una mensa universitaria, servizio allora non previsto, a supporto dei colleghi, soprattutto di quelli fuorisede.
L’iniziativa ebbe anche il contributo di 70mila lire, donate dall’allora cardinale Albino Luciani, futuro Papa Giovanni Paolo I, e attirò fin da subito le simpatie di molte persone. Oggi, 46 anni dopo, quell’idea originaria è diventata La Cascina Cooperativa, una holding di primaria importanza, con sede centrale a Roma e sviluppo capillare in tutta Italia, operante - attraverso le controllate Vivenda SpA, La Cascina Costruzioni Srl e Maranto Srl - nei settori di ristorazione collettiva, banqueting, global service, facility management e costruzioni. I ricavi superano 400 milioni di euro con una clientela pubblica e privata. I lavoratori sono oltre 9 mila, ed i lavoratori sono oltre 7 mila.
Lo spirito di squadra per milioni di consumatori
Le accresciute dimensioni e la vocazione nazionale non hanno cambiato lo spirito di servizio del Gruppo e il valore riconosciuto al territorio. Il ventaglio dei servizi è ampio. Gestione diretta di ristoranti aziendali, interaziendali e free-flow; gestione completa dei servizi di ristorazione per le scuole; gestione di alberghi e residenze universitarie: attività commerciali, catering e banqueting; pulizia e sanificazione, derattizzazione e deblattizzazione; logistica, ausiliariato e piccola manutenzione; gestione delle aree verdi: ricevimento, accoglienza, reception, call center, housekeeping; lavori, opere e impianti. Non si possono svolgere tutte queste attività senza un forte spirito di squadra, indirizzato a soddisfare milioni di consumatori. Proprio per questo il Gruppo destina significativi investimenti nella formazione continua.
Il presidente Gualandri: “Lavoro, un bisogno primario”
Il presidente del Consorzio Gruppo La Cascina dice: “Fin dalle sue origini il nostro Gruppo ha come obiettivo principale la risposta a un bisogno primario: il lavoro. Per questo persegue in forma mutualistica lo scopo di creare nuove opportunità di lavoro alle migliori condizioni economiche, sociali e professionali. Ha attivato forme di partenariato con altre realtà con cui ha in comune la stessa vocazione sociale. Tra queste la cooperativa sociale Medihospes che rappresenta il modello di collaborazione più longevo ed efficace per il suo impegno quotidiano di assistenza, cura, accoglienza verso le persone in stato di fragilità”. Continua Gualandri: “Insieme ai nostri partner prestiamo grandissima attenzione alla parità di genere: in tutte le società la rappresentanza femminile è massimamente tutelata, tanto da raggiungere l’80% nel Gruppo La Cascina e il 74% nella cooperativa Medihospes. Realtà, dunque, a trazione femminile. Oggi le nostre attività devono incorporare sempre più i fattori della sostenibilità coniugandone le tre dimensioni: economica, ambientale e sociale. Da molti anni le nostre imprese adottano politiche di sostenibilità per ridurre l’impatto sull’ambiente o promuovere il benessere delle persone e delle comunità. Altro aspetto essenziale è la trasparenza e comunicazione delle performance ESG ai nostri stakeholder: a dicembre saranno presentati i nostri primi bilanci di sostenibilità in cui racconteremo il nostro percorso di sostenibilità descrivendo le strategie, le politiche, le azioni e gli obiettivi aziendali per contribuire ad una transizione energetica giusta”.
Pasti sani e gustosi
Per un Gruppo che opera nella ristorazione collettiva, dai grandi numeri, l’aspetto della salute è fondamentale. Una sana e corretta alimentazione è dunque un ottimo punto di partenza per la prevenzione di patologie. Così La Cascina offre a chi mangia fuori casa un pasto sano e gustoso, come quello che avrebbero consumato fra le mura domestiche, anche con soluzioni calibrate sulle esigenze dei singoli. Tutto questo viene fatto ottimizzando i costi: il cliente può così concentrare le proprie risorse sul core business ottimizzando e razionalizzando la gestione delle attività non core, quale per esempio è il servizio-mensa di un’azienda. Per cultura e vocazione, La Cascina si è impegnata a trovare una sintesi fra le esigenze di una dimensione imprenditoriale - e il Gruppo ce l’ha, di prima importanza - e la tradizionale apertura all’individuo, tipica delle cooperative. Da una parte si lavora per i risultati, che garantiscono il successo dei progetti, dall’altro si delineano e pianificano strategie rivolte al futuro sostenibile secondo i parametri dettati dall’Agenda 2030 dell’ONU, da un altro ancora si prendono scelte con il passione e la sensibilità di chi ha la responsabilità di orientare e assistere migliaia di persone in una nuova e più moderna concezione della mutualità.
Progetti e sponsorizzazioni
Attraverso le controllate, il Gruppo opera diverse sponsorizzazioni per eventi e progetti. Ha sostenuto con Vivenda, tra altro, le Mille Miglia (2019), la Notte Bianca di Fiumicino (sempre 2019), i Mondiali canottaggio Juniores a Varese (2022), la squadra femminile di pallavolo Volleyrò, Roma. E tra i progetti: il Ristorante sociale Le Cappellette, i 20mila pasti con Agesci (scout) a Verona. Con Cascina Costruzioni, tra i progetti si contano: la realizzazione del ponte ferroviario sul fiume Bradano, il pastificio all’interno dell’IPM di Roma a Casal del Marmo, la residenza studenti Roma Tre, l’asilo per i dipendenti di AdR (Aeroporti di Roma), i lavori ferroviari sulle linee Bari-Matera e Taranto-Metaponto e molto altro. Con Medihospes si annoverano - tra altri - il progetto dello psichiatra Santo Rullo e della sua Nazionale Crazy For Football; la Casa dell’accoglienza “Enzo Jannacci” di Milano, struttura per l’accoglienza temporanea di persone adulte in grave stato di bisogno, prive di una diversa risorsa alloggiativa in città diventata anche centro polifunzionale, con attività e proposte dedicate a tutta la cittadinanza. E ancora: il Centro diurno Alzheimer S. Giuseppe Sognatore, a Roma. Medihospes, insieme a Linaria e ad altre associazioni del territorio, ha inaugurato il nuovo giardino sensoriale e orto terapeutico di cui potranno beneficiare gli anziani ospiti della struttura. Realizzata in parte con i fondi Unesco, questa nuova area verde è stata pensata per raggiungere diversi obiettivi: favorire la stimolazione sensoriale e la connessione emotiva contribuendo al benessere dei malati di Alzheimer. Degno di rilevanza il progetto AccogliMe, a Messina, che coinvolge dodici migranti - adeguatamente formati - nel ricevimento del crocieristi in arrivo con le navi Carnival e Princess Cruise.
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