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(Ansa)
Economia

L'economia russa, senza vendere gas e petrolio all'Europa, sarebbe ad un passo dal baratro

Putin minaccia di chiudere il rubinetto verso l'Europa, ma i nostri euro sono fondamentali per un'economia non da superpotenza

Lo sappiamo: per l’Europa rinunciare da un giorno all’altro al gas di Putin sarebbe molto, ma molto doloroso. Ma quale impatto avrebbe sull’economia russa il blocco degli acquisti di metano da parte dei Paesi europei? Il costo delle importazioni di gas russo nell'Unione quest'anno hanno oscillato tra i 200 e gli 800 milioni di euro al giorno. Ciò significa che nelle casse di Mosca nel 2022 potrebbero finire tra i 73 e i 292 miliardi di euro a seconda del prezzo di riferimento. Cifre gigantesche, che rappresenterebbero tra il 5 e il 21 per cento del prodotto interno lordo del Paese. Ma si tratta di valutazioni puramente teoriche, perché non sappiamo su quale livello si assesteranno i prezzi del gas nei prossimi mesi.

Prendiamo allora i dati relativi al 2021, quando le quotazioni del metano erano più basse. Lo scorso anno la Russia ha incassato dalla vendita di gas all’Unione europea e al Regno Unito circa 40 miliardi di euro. Togliendo questo flusso di denaro a Mosca, significherebbe farle perdere il 2,9 per cento del Pil. Non male. Ma la botta sarebbe più forte se l’Europa bloccasse anche l’import di petrolio russo. In questo caso si parla di 94 miliardi di euro che Mosca ha ricavato lo scorso anno dalle esportazioni di greggio e derivati in Europa e nel Regno Unito. Una cifra che rappresenta il 7 per cento del Pil russo. Complessivamente, dunque, un embargo energetico dell’Europa alla Russia le farebbe perdere almeno 134 miliardi di euro, pari quasi al 10 per cento del Pil. Una stima molto prudenziale, perché quest’anno, come abbiamo visto, i prezzi di gas e petrolio sono molto più alti e il danno per la Russia di conseguenza sarebbe più grande (così come è altrettanto grande il guadagno del regime se l’export non si ferma).

Quindi anche Mosca ha molto da perdere in caso di scontro frontale con l’Europa. Del resto quella russa è un’economia piccola, soprattutto se raffrontata alla sua popolazione: conta 142 milioni di abitanti ma ha un Pil di appena 1.483 miliardi di dollari. L’Italia con meno della metà di abitanti ha un Pil di duemila miliardi. E quando la Cina (14 mila miliardi di dollari di Pil) ha un buon ritmo di crescita, ogni anno cresce quasi quanto una Russia intera. Oltre ad essere piccola, l’economia russa dipende troppo dalle sue risorse naturali: le sue esportazioni valgono circa 379 miliardi di dollari e sono rappresentate principalmente di petrolio greggio, petrolio raffinato, gas naturale, carbone, grano, ferro. I suoi principali clienti sono Cina (14 per cento), Paesi bassi (10), Germania (5). Nel 2019 il settore del petrolio e del gas ha rappresentato circa il 40 per cento delle entrate del bilancio federale russo e fino al 60 per cento delle sue esportazioni.

Del resto, il Paese è il secondo produttore mondiale di gas naturale, dietro gli Stati Uniti, e possiede le più grandi riserve di gas del mondo. Di conseguenza è il più grande esportatore di gas del pianeta. Non solo. La Russia è anche un grande produttore di petrolio e l’Europa è il suo principale cliente seguito dalla Cina.

Dipendere così tanto dalla materie prime ha degli svantaggi, perché l’economia risente della variazione delle quotazioni. Come rileva la Cia nel suo Factbook, “l'economia, che ha avuto una crescita media del 7 per cento durante il periodo 1998-2008, quando i prezzi del petrolio erano aumentati rapidamente, ha visto diminuire i tassi di crescita”. Una combinazione di calo dei prezzi del petrolio, sanzioni internazionali e limitazioni strutturali ha spinto la Russia in una profonda recessione nel 2015, con un calo del PIL vicino al 2,8 per cento. La flessione è continuata nel 2016, con il Pil che si è contratto di un altro 0,2 per cento, ma è stata invertita nel 2017 con la ripresa della domanda mondiale per poi subire una frenata nel 2020 con la pandemia.

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Guido Fontanelli