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Elly Schlein è più Kamala Harris che Ocasio-Cortes. E la cosa non è di buon auspicio

Dalla politica economica a quella internazionale: tutti i dubbi che si accompagnano al nuovo segretario del Pd

Qualcuno ama parlarne come dell’Alexandria Ocasio-Cortez italiana. Ma siamo sicuri che questo paragone calzi effettivamente ad Elly Schlein? “La Ocasio-Cortez è furba. Ed aveva fame. Schlein non so se sia così furba, ma sicuramente non ha mai avuto fame. È quindi ben più pericolosa in termini woke”, ha detto a Panorama.itLuigi Curini, docente di Scienza politica all’Università di Milano. Effettivamente le differenze non sono di poco conto.

L’attuale deputata americana ha realmente un passato segnato da problemi economici e, quando esplose elettoralmente nel 2018, ciò avvenne sulla scia di Bernie Sanders: uno che, comunque la si pensi delle sue proposte politiche, la realtà operaia di Stati come il Michigan e la Pennsylvania la conosce davvero. Poi certo: la Ocasio-Cortez col tempo si è di fatto distaccata dalla visione socialdemocratica del senatore del Vermont, avvicinandosi a un mainstream progressista e autoreferenziale. Tuttavia l’origine sociale e politica marca una differenza sostanziale con la Schlein che, se vogliamo, sulla carta somiglia forse più a Kamala Harris. Ricordiamo infatti che l’allora senatrice della California si candidò alla nomination presidenziale dem del 2020, proponendosi come rappresentante della sinistra, pur avendo visto probabilmente gli operai della Pennsylvania soltanto in fotografia.

Il sospetto, ma non è detto che abbiamo ragione, è che il nuovo segretario del Pd interpreti un po’ troppo la questione sociale in termini mediatici e poco, guardando alle esigenze degli operai e della classe media impoverita. Più che proposte concrete, almeno finora, le sue idee sembrano amuleti magici finalizzati a delimitare un campo politico piuttosto astratto. Idee non si sa quanto utili ai cittadini a cui sarebbero teoricamente rivolte. Idee che non è detto riusciranno a far riconquistare consenso al Pd. La Schlein parla di patrimoniale e superbonus, dicendosi inoltre a favore del reddito di cittadinanza. Onestamente non si capisce come queste misure, nel concreto, dovrebbero ridurre le diseguaglianze sociali. Ma soprattutto non si capisce perché qualcuno, a fronte di un simile programma, non dovrebbe sceglierne direttamente i fautori originali, vale a dire i 5 Stelle. Il sospetto, ma non è detto che abbiamo ragione, è che la segreteria della Schlein favorirà ulteriormente la fagocitazione del Pd da parte dei grillini. C’è da scommettere che, per evitare un simile scenario, la diretta interessata punterà molte delle sue carte su battaglie ideologiche significativamente progressiste (si pensi all’enfasi sui “diritti civili”). La domanda tuttavia è: siamo sicuri che questo basterà per far risalire il Pd dal baratro in cui è sprofondato? È lecito dubitarne.

Idem per quanto riguarda la politica estera. Il nuovo segretario dem si è mostrato piuttosto ambiguo, parlando della necessità di un piano di pace europeo per il conflitto ucraino. La sensazione è tuttavia che voglia sganciarsi dall’atlantismo anche in contrapposizione alla linea del governo Meloni. Va detto per onestà che l’atlantismo del Pd è sempre stato dubbio: i governi a guida dem hanno infatti pericolosamente avvicinato l’Italia a Cina e Iran, mentre il partito, anche l’anno scorso, ha continuato a intrattenere buoni rapporti con Cuba. Resta il fatto che, con l’ascesa della Schlein, la componente più filoamericana del suo schieramento (quella che fa capo all’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini per intenderci) sarà progressivamente attraversata da malumori.

E anche a Washington, c’è da scommetterci, oggi guardano al Nazareno con maggiore preoccupazione rispetto a ieri. Una situazione che può indirettamente rafforzare le credenziali internazionali di Giorgia Meloni, isolando il Pd in termini di relazioni transatlantiche (l’establishment dem d’Oltreatlantico gradisce poco i tentennamenti sulla crisi ucraina, Kamala Harris è senza alleati nell’amministrazione Biden, mentre l’ala più a sinistra dell’Asinello – quella a cui idealmente la Schlein si rifà – non riveste incarichi governativi degni di nota). Non solo: qualora dovesse rafforzare l’asse con i grillini, bisognerà capire quali saranno le posizioni del nuovo segretario dem rispetto alla Cina (un banco di prova sarà d’altronde, a breve, la questione del rinnovo del memorandum sulla Nuova via della seta). E attenzione, perché una figura non esattamente lontana dalla Schlein è proprio Romano Prodi, da sempre strenuo fautore del dialogo tra l’Occidente e Pechino.

Insomma, questo nuovo Pd sembra essere pronto per finire ancor più trainato dai grillini, ritrovandosi così a svolgere una funzione essenzialmente subordinata all’interno dell’opposizione. Ma, soprattutto, ritrovandosi progressivamente isolato a livello internazionale. Forse le cose non andranno così. Ma un simile scenario è tutt’altro che improbabile. E intanto il dubbio veleggia. Perché sì, più che ad Alexandria Ocasio-Cortez, la Schlein sembra somigliare a Kamala Harris. Una presunta paladina della sinistra, mediaticamente enfatizzata, che tuttavia - alla prova dei fatti - si è rivelata inconsistente.

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Stefano Graziosi