Silvio Berlusconi e l'eredità culturale di cui nessuno parlerà
Silvio Berlusconi (Vittoriano Rastelli/CORBIS/Corbis via Getty Images)
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Silvio Berlusconi e l'eredità culturale di cui nessuno parlerà

Chiunque sia nato dopo gli anni Settanta in Italia è figlio di Silvio Berlusconi e dei suoi prodotti che hanno riscritto la storia di un Paese rendendolo spensierato, popolare e lontano dai moralismi degli intellettuali

C’è una eredità di Silvio Berlusconi di cui pochi parleranno e, se lo faranno, sarà quasi certamente in termini negativi. Si tratta dell’eredità culturale di Silvio Berlusconi.

L'abilità nel costruire mezzi editoriali dell’imprenditore milanese è nota a tutti: il più grande gruppo privato televisivo italiano (Mediaset), un numero cospicuo di quotidiani e settimanali nazionali, la più grande casa editrice italiana (Gruppo Mondadori).

Tuttavia, la cultura non è soltanto mezzi ma capacità di coltivare mentalità, di influenzare il modo di pensare, di percepire come un rabdomante il senso comune del pubblico. Da questo punto di vista chiunque sia nato dopo gli anni settanta in Italia è figlio di Silvio Berlusconi e dei suoi straordinari prodotti.

L’Italia culturale di Berlusconi è senza dubbio spensierata, edonista, vanesia, consumista, popolare, lontana dalle ingessature e dai moralismi degli intellettuali, inospitale verso le burocrazie e la seriosità di chi vorrebbe guardare gli italiani dall’alto in basso per rieducarli. Le televisioni Mediaset passano programmi leggeri, accattivanti, innovativi, cartoni animati che rendono più divertenti i pomeriggi di figli e genitori, format poco politici pensati per chi dopo una giornata di lavoro vuole rilassarsi o per chi resta a casa e vuole evadere, reality show che lavorano sul desiderio e sull’immedesimazione dello spettatore. Si è parlato sempre, a sinistra, del Berlusconi della cattiva cultura ma la sua opera visionaria è stata così incisiva da conquistare tutta la cultura popolare del paese.

Il Berlusconi politico l’ha rivendicata: gli italiani sono un popolo liberale, che soffre gli indottrinamenti, leggero e con voglia di divertirsi, concentrato sul lavoro, la casa e la famiglia. Un popolo, in definitiva, che non deve essere corretto né rieducato come chiedono intellettuali e politici di sinistra ma che va bene così come è. Ecco dunque la cultura liberale, quella dello scetticismo verso l’ideologia e la pedagogia dall’alto, che si mescola all’antipolitica, cioè al rifiuto della politica di professione e all’esaltazione della società civile. Il cittadino-spettatore non ha bisogno di ideologi, burocrati e profeti, ma di un grande istrione, Silvio Berlusconi, capace con innata simpatia di rappresentarlo e non di condannarlo.

L’Italia di Berlusconi, spesso rappresentata dalla sinistra come un consesso di inciviltà, niente è stata che la peculiare rappresentazione di decine di milioni di elettori che hanno creduto in un messaggio liberale, antipolitico e, se proprio si vuole, anti-intellettuale in un paese in cui chi si proclamava tale lavorava per le appendici del Partito Comunista o difendeva associazioni terroristiche. Il Cavaliere non ha mai creduto nell’idea gramsciana dell’egemonia culturale, non era di fondo interessato a conquistare scuole, università, tribunali e case editrici perché sapeva che una volta tornati a casa, nel privato, gli italiani respingevano le versione propinate da libri, magistrati e professori. Un errore forse non sfruttare il suo grande potere e le sue capacità per costruire una cultura alta, ma questo rifiuto esprimeva anche la consapevolezza che la comprensione profonda della cultura popolare era sul piano politico e commerciale tutto ciò che serviva.

Nessuno come Berlusconi ha compreso, nel suo tempo, quella parte di Italia che rifiuta ogni attivismo, ogni indottrinamento nel linguaggio e nel costume, ogni organizzazione sovrimposta della cultura e vuole semplicemente lavorare, guadagnare, avere un fisco giusto, essere libera, godereccia e felice. È una consapevolezza enorme, una lezione da preservare e rivendicare. Non il penoso complesso di inferiorità verso gli intellettuali di sinistra che oggi spinge parte della cultura di destra ad emulare il gramscismo, ma la convinzione che la lezione di libertà di Berlusconi è quanto di più rilevante si possa lasciare in eredità alla cultura italiana e alla spontaneità del costume e del carattere degli italiani.

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Lorenzo Castellani