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(Ansa)
Politica

Case di Comunità, la nuova medicina territoriale del Pnrr a rischio flop

Secondo i medici rischiamo di sprecare miliardi di euro e non perché l'idea non sia buona ma per la drammatica mancanza di fondi per il personale medico ed infermieristico

«Le Case di Comunità non ci saranno mai perché non ci sono soldi sufficienti per medici e infermieri ed i soldi del Pnrr non possono essere investiti per il personale. Per questo motivo esiste la possibilità concreta che restino vuote». Filippo Anelli presidente dell’Ordine dei Medici lancia l'allarme sulla nascita della Case di Comunità, la nuova struttura presente nei progetti del Pnrr che dovrebbe costituire il nuovo sistema della sanità territoriale.

Le Case di Comunità

In Italia la medicina territoriale non ha mai funzionato e ogni giorno milioni di persone si recano nei pronto soccorso sovraccaricando la rete ospedaliera con patologie e sintomi di lieve entità per cui potrebbero rivolgersi al proprio medico. Una pressione che durante l’emergenza Covid ha portato al collasso il sistema sanitario nazionale e che ha reso necessaria una nuova visione di assistenza medica territoriale. A questo proposito si è deciso di investire 2 miliardi dei fondi del Pnrr di Missione 6 per l’attivazione di 1228 Case di comunità entro il 2026. Queste strutture dovranno coordinare tutti i servizi di assistenza primaria e avranno a loro interno un team che dovrebbe essere composto da 10 medici di medicina generale, 8 infermieri e 5 unità di personale amministrativo.

Per il presidente dell’Ordine dei Medici il progetto delle Case di Comunità non è supportato da risorse sufficienti a garantire la presenza del personale e richiede un impegno troppo gravoso per i medici.

«È stata un’ottima intuizione ma tra i problemi di gestione di queste strutture c’è anche la questione che richiedono un impegno assistenziale molto elevato nonostante sulla carta risulti di basso livello. Il che significa che per la loro attivazione occorrono molti medici e molto tempo».

Ci sono sufficienti professionisti della salute da impiegare in queste strutture?

«È una domanda a cui dovrebbe rispondere il Ministero della Salute. A mio avviso con le Case e gli Ospedali di Comunità stiamo facendo una bella rivoluzione ma senza soldati purtroppo, perché ripeto ho il forte dubbio che non ci sia il personale disponibile. Infatti non ci sono nemmeno gli infermieri perper fare gli elettrocardiogrammi negli studi medici oltre ad numero insufficiente di medici di medicina generale. Per questo motivo il Governo avrebbe dovuto cambiare il tetto di spesa del fondo sanitario del personale fermo al 2004. Se non sarà modificato sarà difficile poter pensare di realizzare delle strutture funzionanti per la medicina territoriale».

Cosa potrebbe succedere se non si trova il personale da impiegare nelle Case di Comunità?

«Il rischio è che semplicemente non ci saranno mai le Case di Comunità perché non ci sono soldi sufficienti per medici ed infermieri e i soldi del Pnrr non possono essere investiti per il personale. C’è la possibilità concreta che restino vuote».

La vostra categoria cosa ne pensa?

«Noi eravamo favorevoli alla progettazione ma la prima domanda che abbiamo posto è se avessero i soldi per il personale, perché senza quelli è inutile immaginare riforme su carta senza risorse».

Anche il segretario del sindacato Fismu dei medici di medicina generale Francesco Esposito ha espresso parere negativo

«Le Case di Comunità previste nel Pnrr rischiano solo di essere uno spot che produrrà solo cattedrali nel deserto.Ogni regione ha dei modelli: quello privatistico della Lombardia, o le forme associative di Veneto o anche della Calabria, passando dalle Case della Salute in Emilia Romagna, senza considerare la capillarità della rete degli ambulatori di ogni singolo medico di famiglia. Come si passa da questa realtà anche con significative eccellenze ma anche con chiari problemi alle Case della Comunità? Non si comprende ancora quali sono gli step da mettere in campo, chi dovrà fare cosa?»

In ogni Casa di comunità ci dovrebbero essere 10 medici di medicina generale e 8 infermieri oltre a 5 unità di personale amministrativo. Cosa ne pensa?

«Siamo d’accordo sull’ipotesi di ua presenza di 10-15 medici (massimo), ma non è questo il punto: non è chiaro infatti come dovrebbe funzionare l’organizzazione giorno per giorno della struttura, come si coordina, come si prendono le decisioni e chi le prende. Che ruolo avrebbero i medici di famiglia e come si garantisce il rapporto fiduciario con i pazienti, che, ricordiamo, è da sempre una delle note positive delle nostre cure primarie, insieme con la prossimità e capillarità degli ambulatori sul territorio».

Cosa ne è stato delle case della salute?

«In alcune regioni hanno funzionato, in altre non sono neppure state avviate, in altre sono rimaste scatole vuote. Ancora oggi abbiamo una legge, la Balduzzi, che implementa esperienze di medicina di gruppo, le cosiddette UCP (unita di cure primarie) in modo più snello della stesse case della salute, ma che in molte parti del Paese sono rimaste lettera morta, in altre grazie all’iniziativa degli stessi medici e il sostegno delle ASL sono autentiche eccellenze. In Calabria dove lavoro io stesso, funzionano perfettamente, dati alla mano. Sarebbe assurdo far morire realtà come queste, invece di sostenerle.Il dibattito non è sui nomi, Case della Salute o UCP, ma su un Paese che non applica le riforme che approva sulla sanità».

I medici di medicina generale come la pensano a riguardo?

«Non possiamo restare schiacciati tra l’immobilismo di alcuni, aggrappati a una visione conservatrice della professione, ma neppure si possono fare progetti ambiziosi come quello del Pnrr senza consultare i medici, che oltretutto sono ancora “zavorrati” a un contratto (si chiama Convenzione) vecchio di molti anni che non prevede una organizzazione di lavoro idonea alle Case di Comunità. Si rinnovino intanto gli accordi di lavoro. Si faccia chiarezza su come il nuovo deve omogeneizzarsi con il vecchio.» Di quanti medici di medicina generale dispone il sistema sanitario nazionale in grado di essere impiegati nelle Case di Comunità?
«Non a sufficienza. Visto il numero di pensionamenti, e la mancanza di nuovi medici formati che vengono dalle scuole, il rischio è che si chieda a un medico di famiglia di dover chiudere l’ambulatorio e magari fare 50km in macchina per andare a fare un turno in una struttura dove oltretutto manca completamente il rapporto fiduciario con il paziente. Un assurdo».

Cosa ne pensa dei fondi del Pnrr di missione 6?

«Una grande occasione che rischiamo di perdere con progetti che non hanno le gambe per camminare. Usiamo queste risorse, sono necessari, serve modernizzare, ma non siano la scusa per privatizzare la sanità pubblica, per esempio, con il pretesto che manca il personale, appaltando così a Cooperative o società di servizi. Si consenta l’entrata di più medici nelle scuole di formazione di medicina di famiglia, si rinnovi subito il contratto, si preveda un sistema che metta assieme le eccellenze che esistono sul territorio con le nuove strutture. E soprattutto si faccia chiarezza su tutte le altre criticità e incertezze che accompagnano il dibattito sulle Case di Comunità da mesi».

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Linda Di Benedetto