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(Ansa)
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Il giusto taglio nel Pnrr delle Case di Comunità (inutili)

Da sempre questa iniziativa aveva denunciato limiti finendo per essere una collezione di cattedrali nel deserto

Il Governo ha escluso dal Pnrr oltre 500 case e ospedali di comunità. È questa la notizia del momento che ha riaperto il dibattito su questi presidi sanitari che avrebbero dovuto potenziare la medicina territoriale ma che con molta probabilità sarebbero rimasti vuoti a causa della carenza di personale, come avevamo denunciato mesi fa.

Cattedrali nel deserto di cui abbiamo scritto diversi articoli e che entro il 2026 avrebbero dovuto essere occupate da migliaia di operatori di cui attualmente il Servizio sanitario nazionale non dispone. Un progetto che nonostante le criticità si cercava comunque di realizzare investendo i 2 miliardi di missione 6 del Pnrr. Così dalla revisione del Piano di resilienza sono state tagliate 510 strutture tra ospedali e case di comunità riducendo da 1.350 a 936 le case e da 400 a 304 gli ospedali perché i tempi previsti per la loro realizzazione (entro il 31 dicembre 2026) erano troppo stretti.Un ritardo che era stato evidenziato dalla Corte dei conti, in una recente deliberazione pubblicata, che segnalava i rallentamenti delle Regioni, alcuni delle quali (16) si sono affidate ad Invitalia per le gare mentre le restanti hanno adottato una governance interna, producendo in entrambi i casi un numero di progetti insufficienti per poter andare avanti.

«Le case e gli ospedali di comunità nonostante i tagli alla fine verrano finanziati tutti. Una parte con i fondi del Pnrr ed il restante con i fondi previsti dall’articolo 20 della legge finanziaria 67/88, che autorizza gli investimenti per l’ammodernamento e la ristrutturazione edilizia del patrimonio pubblico sanitario. Stiamo anche lavorando per reclutare personale medico ed infermieristico da mettere all’interno e nonostante le difficoltà contiamo di aprirle tutte» spiega il ministro della salute Orazio Schillaci.

Sul tavolo del ministero quindi l’obbiettivo principale è quello di cercare del personale sanitario e tra le varie ipotesi si sta ragionando di stipulare dei nuovi contratti con i medici di medicina generale e le guardie mediche, mentre per quanto riguarda la carenza di infermieri si ipotizza di reclutarne di nuovi dall’India o dall’Africa per evitare che queste strutture restino vuote come già è accaduto in diverse regioni d’Italia. Basti pensare che le case di comunità, dovrebbero avere al loro interno un team composto da 10 medici di medicina generale, 8 infermieri e 5 unità di personale amministrativo ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette.

Case e ospedali di comunità: i dati di Agenas

Dai numeri di Agenas, è funzionante meno di una casa di comunità su dieci delle 1.400 che erano previste per le prime cure, la prevenzione e la diagnosi. Si tratta di 122 strutture contro 1308 non attive, nemmeno il 10% di quelle finanziate principalmente con i fondi del Pnrr. Per quanto riguarda gli ospedali di comunità, dei 403 previsti ne sono stati attivati solo 31, pari al 7,1% del totale. Infine le centrali operative attive, che dovrebbero rappresentare una cabina di regia per l’assistenza extra ospedaliera, al momento sono solo 14 su 610.

Anche Fabio de Iaco Presidente SIMEU (Società Italiana di Medicina d'Emergenza Urgenza) ha commentato i tagli del Pnrr
«Sulle case di comunità: da sempre sottolineiamo che si tratta di scatole vuote, fino a che non si troveranno le risorse professionali necessarie. Ma il loro taglio senza una proposta alternativa sembra proprio la presa d’atto dell’impossibilità di agire efficacemente sulla medicina del territorio. Non vorremmo che fosse un segnale di resa».

Ci sono stati altri tagli?

«Sulla digitalizzazione: gli obiettivi sulla digitalizzazione dei DEA e sul potenziamento del fascicolo sanitario elettronico sono gli unici, nel PNRR, che possono portare un contributo migliorativo anche nell’area ospedaliera e segnatamente nei Pronto Soccorso. Abbandonarli o ridimensionarli significa rinunciare all’unico strumento davvero efficace per il miglioramento, un fascicolo elettronico che diventi vero strumento di lavoro e non il totem inutile che è adesso. Penso innanzi tutto ai pazienti oncologici che, entrando in un Pronto Soccorso, avrebbero assoluta necessità di un efficace trasferimento delle informazioni provenienti dai servizi oncologici o di medicina palliativa, informazioni oggi praticamente inaccessibili. E il problema ha ricadute immediate sulla qualità dell’assistenza che possiamo offrire. Ma più in generale la questione coinvolge tutti i pazienti con patologie croniche o anche con patologie avute oggetto di accertamenti invisibili per il Pronto Soccorso o per i reparti ospedalieri».

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Linda Di Benedetto