houthi
(Getty Images)
Dal Mondo

Che cosa vogliono gli Houthi che stanno tenendo in scacco il mondo

Colpiscono le navi cariche di merci e di petrolio dirette in Europa costringendo i convogli a cambi di rotte che portano ad aumento dei prezzi. Il tutto con il benestare e le armi dell'Iran

Come sia possibile che un gruppo di miliziani come gli Houthi dia scacco al sistema mercantile mondiale è la domanda del momento. Corey Ranslem, capo di Dryad Global, un'importante società di sicurezza marittima, lunedì scorso in un'e-mail al Time ha scritto: “Sembra che il livello di minaccia sia aumentato per quasi tutte le navi e ora abbiamo quattro grandi compagnie di navigazione che sospendono le operazioni in questa regione e stanno prendendo la rotta intorno all'Africa”. Il rischio fa aumentare i premi assicurativi, così la soluzione è impiegare tre settimane in più per consegnare le merci, ma evitare che le navi possano essere colpite da droni e razzi. Tanto per fare un esempio: da Suez e quindi prima dal Mar Rosso passano le merci di multinazionali e grandi catene, una di queste è Ikea, i cui dirigenti sono ovviamente preoccupati di rimanere senza componenti.

Viene quindi spontaneo chiedersi chi e quanti siano i ribelli Houthi. Sono l'evoluzione di un gruppo chiamato “Gioventù Credente” che ha guidato un movimento revivalista per il ramo zaydita dell’Islam negli anni ’90. Senza diventare matti con l'intricato schema delle scuole musulmane, gli Zayditi sono una delle sette principali degli sciiti. Nello Yemen molti musulmani zaiditi, che costituiscono circa il 35% della popolazione (quindi circa 15 milioni), ritengono che la crescente presenza dell’Islam salafita influenzato dall’Arabia Saudita stia interferendo con il loro patrimonio culturale e i loro diritti. E dopo che il loro capo Hussein al-Houthi – che sognava con irrealismo uno Yemen libero ed economicamente indipendente - fu ucciso, nel 2004, questi militanti iniziarono a lanciare insurrezioni contro il governo dello Yemen e cambiarono il nome dell'organizzazione. Di fatto accusavano, in parte con ragione, che la società yemenita era corrotta e violava i diritti culturali dei musulmani zaiditi. Nel 2011 le proteste divennero di massa e portarono alla cacciata del presidente dello Yemen, Ali Abdullah Saleh, al potere da 34 anni. La comunità internazionale cercò di istituire un governo di transizione che escludesse gli Houthi, ma questi entrarono con la forza nella capitale per chiedere l’inclusione. Ne nacque un conflitto si è intensificato nel 2015, quando i ribelli Houthi cambiarono diametralmente posizione per allinearsi con l’ex presidente Ali Abdullah Saleh contro il governo sostenuto a livello internazionale. Ecco quindi che l’Arabia Saudita, nazione trainante nella guerra contro gli Houthi, trova resistenza grazie all'Iran che sostiene gli Houthi. Questi per vocazione vogliono sostenere i palestinesi perché ciò li aiuta a guadagnare popolarità cercando consenso interno anche tra chi non sostiene il loro fallimentare progetto politico. Stiamo parlando di gente che sulla bandiera porta la scritta “Dio è sommo, morte all'America, morte a Israele, maledizione sugli ebrei, vittoria per l'Islam.” Il movimento è quindi nato nel cuore degli Zaidi sugli altopiani tribali dello Yemen settentrionale, dove si distinsero per il militarismo aggressivo e la loro devozione al nuovo leader Abd al-Malik. Fin dall’inizio gli Houthi hanno sposato una virulenta posizione antioccidentale e antiisraeliana. L’uccisione di prigionieri, il reclutamento forzato di bambini soldato e gli stupri sono diventati all’ordine del giorno dal 2015. L’houthismo ha sostituito il tradizionale tribalismo Zaidi, già indebolito dall’urbanizzazione e dall’emergere di uno stato sociale. Il vero punto di forza degli Houthi però non è tanto questo, né tantomeno l'arsenale di cui possono disporre, quanto la posizione strategica dello Yemen, che controlla l'accesso al mar Rosso attraverso lo stretto di Bāb el-Mandeb (Porta del lamento funebre), ovvero 40 km di mare che congiungono il Mar Rosso con il Golfo di Aden e quindi con l'Oceano Indiano. Un punto del mondo che quindi ha una importanza enorme per il traffico marittimo, non a caso diverse potenze militari, tra le quali la Cina, hanno basi sull'altra sponda dello stretto, ovvero a Gibuti (anche l'Italia ha una sua base, ma più per le operazioni nella vicina Somalia).

Intanto alcuni giganti del trasporto marittimo tra cui AP Moller-Maersk e Hapag-Lloyd, ma anche grandi realtà come BP, Ikea e Danone, hanno annunciato nei giorni scorsi che prenderanno la rotta più lunga e costosa attorno a Capo di Buona Speranza. E ora che l'operazione internazionale “Guardiani della prosperità” difenderà le navi che transitano da e per Suez, gli Houthi hanno dichiarato che attaccheranno soltanto quelle dirette ai porti israeliani, ma che lo faranno ogni dodici ore. Il generale americano in pensione Kenneth McKenzie, ex comandante del Comando centrale degli Stati Uniti, che sovrintende al Medio Oriente, intervistato da diverse testate specializzate ha dichiarato: “Gli appartenenti al gruppo sciita radicale degli Zaidi vogliono essere visti come coloro che assumono un ruolo più importante nel cosiddetto Asse della Resistenza, vogliono cioè acquisire influenza per i propri negoziati con Riyadh per porre fine alla guerra civile nello Yemen.”

Di fatto l'azione Houthi nel mar rosso gli permette una visibilità internazionale e un motivo di distrazione da altri reali problemi dello Yemen, come la crisi economica. Di fatto le banche del paese sono in fallimento, anche se il regime Houthi proibisce di dichiararlo.

I ribelli sovra tassano i cittadini, hanno instaurato una cultura della paura e idealizzato, senza mai farne oggetto di analisi critica e realista, il sogno di al-Houthi.

Perché è meglio non attaccare nello Yemen (per ora)

Verrebbe da chiedersi quindi perché israeliani e americani non mettano a segno azioni militari per neutralizzare il traffico di armi verso i punti di lancio di missili e droni degli Houthi. Di fatto l'operazione “Guardiano della prosperità” è una misura difensiva che prevede la scorta di navi, e come tale non scoraggerà gli attacchi. La ragione di questa scelta è dovuta a diversi fattori: se attaccati i ribelli probabilmente guadagnerebbero preziosi punti di propaganda e gli attacchi aerei nello Yemen si sono rivelati poco efficaci a causa del territorio montuoso. Anche l’Arabia Saudita deve trattenersi per le medesime ragioni, mentre Israele non ha certo bisogno di buttare benzina sul fuoco aprendo altri fronti. Tutti hanno interesse che l'attività di supporto dell'Iran non diventi un appoggio aperto e ancora più conflittuale. Ciò che invece potrebbe accadere è che venga presto attaccata la nave da guerra – di comando e controllo - iraniana Behshad, che ancorata a Hodeidah può fornire agli Houthi le informazioni su quali navi attaccare. La Behshad ha sostituito la Saviz, che fu attaccata dagli israeliani nell’aprile 2021.

Infine c'è il fattore tempo: nel lungo termine gli effetti negativi degli attacchi Houthi supereranno quelli positivi. Ad oggi generi alimentari e merci vengono spediti via Aden, territorio controllato dai nemici degli Houthi, dunque le azioni contro le navi possono essere viste come una grande scommessa: la loro speranza è un accordo con l'Arabia Saudita per porre fine alla guerra nello Yemen, ma mentre prima del conflitto di Gaza, Riyadh sembrava disposta a consentire una vittoria degli Houthi nella guerra civile, ora questo sembra meno probabile e il rischio è che lo Yemen sia destinato a dividersi in regioni indipendenti, economicamente poverissime e ostili tra loro.

I più letti

avatar-icon

Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

Read More