renzi-padoan-legge-stabilità
Alessandro Di Meo/Ansa
Economia

Tasse, ecco tutte le spese occulte che pagheremo

Dalla scuola alle sigarette, dalla Tari all'imposta di soggiorno. Ecco come, a colpi di piccoli balzelli, la pressione fiscale aumenta

Fino al 22 febbraio sono aperte le iscrizioni per l’anno scolastico 2016/2017 e, assieme alla canonica tassa d’iscrizione, molti genitori hanno trovato un bollettino in più. Si tratta del cosiddetto contribuito volontario: un versamento effettuato direttamente all’istituto superiore dove viene iscritto il proprio figlio, detraibile al 19% dalla dichiarazione dei redditi, e che in teoria non dovrebbe essere destinato al funzionamento ordinario della struttura ma solo a finanziare servizi aggiuntivi, senza alcun obbligo per le famiglie degli studenti.

Ma è stata sufficiente una ricognizione lungo le scuole dello Stivale per scoperchiare una realtà assai diversa. In molti licei e istituti professionali il versamento, compreso fra i 40 e i 200 euro annui, è ormai diventato di fatto obbligatorio, unica stampella possibile per tenere insieme manutenzione e offerta didattica di qualità.

Dallo scorso anno il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini promette di intervenire su questa stortura ma, nonostante lo stanziamento di fondi aggiuntivi e un paio di circolari facilmente aggirabili, la situazione è rimasta la stessa di prima.

Il caos scolastico è solo l’ultima tappa di un percorso che ha reso i contribuenti italiani sempre più simili agli abitanti della Sherwood medioevale. Come a Londra re Giovanni diceva che le sue tasse erano sopportabili e programmava regalìe per i contadini, così a Roma Matteo Renzi sbandiera un calo della pressione fiscale nel 2015 (seppure limitato allo 0,1 per cento) e rende stabili gli sgravi Irpef che aggiungono 80 euro in busta paga per i redditi più bassi.

A re Giovanni furono fatali le crociate per far saltare ogni previsione di spesa; a Renzi e al ministro dell’Economia Piercarlo Padoan rischiano di esserlo la stretta vigile di Bruxelles sui nostri conti pubblici, e soprattutto la mancata spending review. Lo scorso anno la spesa corrente avrebbe dovuto ridursi di 20 miliardi di euro, ma in realtà il taglio si è fermato a 5,7. E nei prossimi dodici mesi, oltre agli interessi sul debito resi più onerosi dallo spread in risalita, ci saranno da finanziare operazione importanti come l’abolizione dell’Imu sulla prima casa (3,6 miliardi), la riduzione di tre punti dell’Ires (altri 7,45) e l’ultima tranche di intervento a favore degli esodati (non meno di mezzo miliardo). Insomma, serviranno risorse fresche. E parecchie.

Per recuperare contante, la vorace macchina della pubblica amministrazione ha una sola scelta, peraltro non certo un’esclusiva di questo governo: puntellare la nostra vita quotidiana di balzelli, micropagamenti, bolli, bollini e bollettini, accise, aumenti, aliquote ritoccate, detrazioni rinnegate e contributi una tantum. Tasse occulte, come quelle sul macinato, sui mattoni e persino sull’acqua che scorre che lo sceriffo di Nottingham imponeva ai sudditi di Sherwood. Oggi come allora il re è lontano e formalmente ignaro della ferocia dei suoi esattori. Così, senza neanche un Robin Hood a vegliare su di noi, non ci resta che arrenderci e pagare.

Dalle sigarette ai Tango bond

Per ora l’esecutivo non ha ancora fatto ricorso ai due grandi classici del crowdfunding pubblico, pure inizialmente previsti per gennaio: l’aumento dell’Iva e quello delle accise su sigarette e carburanti. In realtà, però, il mantenimento delle aliquote attuali è legato a una serie di parametri finanziari previsti ma non ancora raggiunti, e senza i quali già da luglio rischiamo di confrontarci con i due scaglioni Iva principali che passeranno in un colpo solo dal 10 al 13 e dal 22 al 24 per cento.

Senza contare che nel biennio 2014-2015 le aliquote erano già state ritoccate all’insù per diversi prodotti di uso comune, dal caffè erogato dai distributori automatici agli alcolici, un altro evergreen. Per quanto riguarda i carburanti sono comunque già previste due tranche di aumenti consecutivi tra 2017 e 2021, per complessivi 835 milioni. E le sigarette? Spremute anche quelle, solo che invece di ricorrere al solito aumento delle accise sul pacchetto, per il quale occorrerebbe il via libera del parlamento, il 3 febbraio si è deciso di innalzare le tasse sul prezzo medio del tabacco alla raccolta: il risultato sarà comunque un aumento al dettaglio.

Per non sbagliare, comunque, il legislatore ha anche alzato di dieci centesimi a fialetta il prelievo sulle sigarette elettroniche, già vessate da una pressione fiscale del 58 per cento: la colpa del settore, in questo caso, è di aver macinato troppi utili nei primi anni di vita, diventando un facile bersaglio degli esattori.

Perchè quando gli sceriffi di Nottingham sentono odore di soldi non ce n’è per nessuno. Volete un’altra prova? Al ministero dell’Economia starebbero già studiando come tassare coloro che sono riusciti, dopo 15 anni di battaglie giudiziarie, a farsi rimborsare cash i soldi che avevano investito nei Tango Bond, i titoli di Stato argentini.

La torta vale 1,35 miliardi: secondo i risparmiatori si tratta di un risarcimento, peraltro su investimenti già gravati ai tempi da regolari imposte di bollo, mentre via XX Settembre pregusta l’idea di trattare almeno parte della somma alla stregua di una cedola, trattenendo dunque per sè un’aliquota del 26 per cento. La stessa che pesa su quasi tutte le rendite finanziarie e sugli investimenti dei nostri fondi pensione, dopo l’innalzamento di sei punti percentuali scattato a metà 2014.

Ancora prima, con la Stabilità 2012 firmata Mario Monti, erano stati inaugurati l’imposta di bollo sulle transazioni finanziarie, quella sui conti correnti (16 euro per i depositi minimi) e il contributo di solidarietà dello 0,2 per cento su redditi e pensioni superiori ai 200 mila euro. Quest’ultima doveva essere una misura una tantum per rimettere in sesto i nostri bilanci a rischio default, ma è diventata una costante. Esattamente come l’aumento dell’imposta di registro da 168 a 200 euro, il prelievo straordinario Ires sulle imprese energetiche noto a tutti come Robin Hood Tax e altri balzelli minori.

A proposito di bolli, non si può non citare il capolavoro compiuto dalla pubblica amministrazione che, dopo aver strombazzato la digitalizzazione integrale delle procedure di acquisto, dallo scorso primo luglio obbliga i fornitori a consegnare una copia cartacea di ogni ordine concluso telematicamente con l’applicazione di una marca da bollo di 16 euro. Ogni quattro facciate.

La mannaia di ticket e tributi locali

Alla rassegna delle tasse occulte non poteva mancare il capitolo sanità. Nonostante l’importo dei ticket sia cresciuto negli ultimi cinque anni del 26 per cento, da gennaio per ben 203 prestazioni mediche non sarà più consentita la gratuità della cura se non dietro prescrizione medica. Fra gli interventi per i quali viene ristretto il perimetro di rimborsabilità ci sono l’esame per il colesterolo, la risonanza magnetica agli arti e alla colonna vertebrale, alcuni test legati alle genetica e alle intolleranze.

Diverse tipologie di Tac verranno passate solo se giustificate dal sospetto di traumi gravi o patologie oncologiche, mentre buona parte delle cure odontoiatriche, già gravate da liste d’attesa lunghissime, resteranno gratuite solo per gli under14 e le fasce disagiate.

Insomma, spenderemo di più per bere, fumare (o smettere), curarci, chiudere contratti, comprare casa e persino per risparmiare. Magari almeno i sindaci avranno cura di noi. E invece no. Gli sceriffi di Nottingham sono abilissimi a incunearsi fra municipi e governatorati, grazie al combinato disposto di tagli agli enti locali e assist legislativi del governo. Risultato: oneri contributivi in crescita praticamente ovunque dopo l’emendamento del governo che ha abolito l’Imu sulla prima casa e riunito tutti gli altri tributi in una sola local tax, consentendo un significativo ritocco alle aliquote che da Bolzano a Lampedusa sono così schizzate in maniera abbastanza uniforme verso il tetto massimo del 2,5 per mille (nel 2014 la media era del 2 per mille).

In quasi tutte le grandi città sono aumentati anche il prelievo su seconde case e negozi e le addizionali Irpef, mentre dove la quota era già ai massimi, come a Roma, sono state aumentate le tariffe delle utenze pubbliche. Cattive notizie anche dalla tassa sui rifiuti: secondo un’analisi di Confcommercio dal 2010 a oggi, nonostante il calo nella produzione, abbiamo speso per la Tari il 55 per cento in più. A conti fatti l’aumento ha fatto uscire dalle nostre tasche altri tre miliardi, con un esborso aggiuntivo stimato di oltre 100 euro a famiglia. E per i pubblici esercizi va anche peggio, con rincari medi che nel quinquennio sfiorano il 500 per cento e schiere di pizzaioli e parrucchieri pronte, giustamente, a rifarsi sui nostri scontrini.

Muoversi costa caro

Le cose non vanno meglio sul fronte dei trasporti, dove anche quest’anno faremo i conti con l’odiosa tassa sulle targhe. Nel 2015 abbiamo versato 41,78 euro sull’acquisto di ogni auto nuova e 22,26 per le motociclette. Di solito la tassa finisce nel calderone delle spese di immatricolazione, mitigando il nostro status percepito di tartassati. Il governo Renzi ha promesso la scomparsa dell’obolo per fine 2016 ma nel frattempo lo ha aumentato di un euro e mezzo. Ai ritmi attuali di vendita di nuove vetture fanno circa 60 milioni di euro, che verranno incassati dalle province. Pardon,  dalle città metropolitane che ne hanno preso il posto per farci risparmiare.

Non che solcare i cieli sia più conveniente. Tra i regalini della Stabilità 2016 c’è anche l’aumento dell’addizionale comunale sui biglietti aerei: da 6,5 a 9 euro, 10 per gli scali romani di Ciampino e Fiumicino. Se poi a Roma voleste fermarvi pure a dormire, sappiate che dal 30 ottobre scorso ogni giorno, o meglio ogni notte, è buona per spillarvi un euro in più dato che l’amministrazione capitolina, come ogni altra, ha facoltà di alzare ulteriormente la tassa di soggiorno, che dagli hotel quattro stelle in su potrà adesso raggiungere i 7 euro.

Per il momento resta a sei, comunque la più alta fra gli 832 comuni (meno del 10 per cento del totale, ma pari al 70 per cento della ricezione turistica) che hanno deciso di introdurla. Appena tre anni fa il massimale consentito era di soli tre euro, ma si sa come vanno queste cose.

In tema di mobilità, tuttavia, la stangata più consistente del 2016 è quella che investirà chi con i mezzi ci lavora. Tra gli ultimi correttivi apportati alla Legge di Stabilità 2016 ci sono infatti quelli che riguardano il settore dell’autotrasporto. Lo sconto sulle accise, già cancellato lo scorso anno per i veicoli Euro0, da gennaio non è più previsto anche per gli Euro1 ed Euro2, facendo risparmiare così allo Stato 160 milioni che ricadranno, in termini di maggiori costi, su padroncini, traslocatori, corrieri e via discorrendo.

Non basta, perchè da quest’anno vengono tagliati i massimali al credito d’imposta sul gasolio per taxi, servizi di noleggio con conducente e traghetti. Funzionano a gasolio anche le caldaie, che nelle aree disagiate e in quelle più fredde del Paese godevano di sgravi compresi fra i 12,7 e i 15,3 euro ogni mille litri di combustibile. Ma questo bonus, ridotto del 49 per cento nel 2015 con una misura che doveva essere transitoria, è stato di nuovo sforbiciato nel 2016, e stavolta del 57 per cento. Il risparmio per le casse pubbliche, stavolta, è scritto nero su bianco nel testo del decreto attuativo che recepisce la norma: altri 23,7 milioni.

A proposito di caldaie, c’è una spesa che quasi tutti affrontiamo e che, nonostante l’importo irrisorio e la cadenza biennale, merita di essere raccontata perchè illustra alla perfezione le logiche kafkiane all’interno delle quali siamo costretti a muoverci quando su di noi incombono gli sceriffi. Il bollino verde è una certificazione che viene rilasciata a chiunque, pubblico o privato, effettui la manutenzione ordinaria e il controllo fumi previsti ogni due anni per la centralina. Il bollino ha un costo compreso tra i 5,99 e i 10 euro, riscossi dal tecnico autorizzato per conto della provincia.

Quello che molti non sanno è che il bollino verde, in realtà, non certifica proprio nulla. Non è una patente di ecosostenibilità o di congruità della propria caldaia (per la quale fa fede il timbro del tecnico sul libretto), tanto che non è nemmeno obbligatorio. Lo dice la legge. Allora, perchè pagarlo? Semplice: perchè chi non lo fa rischia di dover versare fino a otto volte l’importo in caso di ispezione. Tutto vero. La legge, infatti, che ci crediate o no, consente alle province - che in realtà non esistono più ma possono delegare il compito ai comuni i quali a loro volta possono incaricare il tecnico che è già venuto a casa vostra a offrirvi il bollino - di effettuare ispezioni a campione per "verificare l’ottimale tenuta della caldaia".

Le ispezioni sono gratuite, ma solo per chi ha il bollino verde. Altrimenti si pagano fino a 54 euro. Amen. Magari faremo come i sudditi di Sherwood e torneremo a scaldarci con i falò. Anzi, forse è meglio di no, visto che nel 2013 per approfittare del boom del pellet a uso domestico avevano alzato l’accisa anche lì.

I più letti

avatar-icon

Gianluca Ferraris

Giornalista, ha iniziato a scrivere di calcio e scommesse per lenire la frustrazione accumulata su entrambi i fronti. Non ha più smesso

Read More