silicon valley bank
(Ansa)
Economia

Il crollo di Silicon Valley Bank è l'ennesima svista delle agenzie di rating

Tripla A. Per le agenzie, che criticano paesi ed economie come fossero depositari della verità assoluta, questo era il livello della banca delle start up fallita e che rischia di trascinare con se altre realtà

Come si dice oggi: “non l’hanno vista arrivare”? Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch Ratings tornano agli onori (o disonori) della cronaca con il crack delle banche americane. Fino a poche ore dal fallimento Moody’s dava a Silicon Valley Banc il voto A3 (affidabilità creditizia medio alta). È fallita. “La rischiosità di questa banca e di altre con un modello di attività simile era piuttosto evidente, perché caratterizzato da un grado di concentrazione molto elevato, sia dal lato delle attività sia delle passività. Questo modello di attività era molto rischioso”, spiega Marcello Messori, professore di Economia europea alla Luiss. È stato segnalato dalle agenzie di rating?

Le agenzie di rating hanno un potere straordinario. Sono loro che determinano l’andamento del mercato, influenzano la distribuzione dei portafogli finanziari, la valutazione del debito e il costo del capitale. Un potere straordinario in mano soprattutto a tre di loro: Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch Ratings controllano più del 95% delle valutazioni. I primi dubbi sul loro operato risalgono al 2001, ai tempi dello scandalo Enron. L’azienda si occupava di servizi energetici e fu accusata di manipolare i conti e usare complessi strumenti finanziari per ingannare investitori, creditori e autorità di controllo. Alla vigilia del fallimento Enron ricevette giudizi positivi dalle tre principali agenzie di rating. Il momento clou degli errori e delle responsabilità però è arrivato con la crisi finanziaria del 2008. “Avevano ruoli contraddittori: regolamentavano e facevano da consulenti contemporaneamente. Avevano un ruolo importante in termini di autoregolamentazione, perché la regolamentazione era legata al giudizio dell’agenzia rating ma al contempo non c’erano controlli sui potenziali conflitti di interesse. Abbiamo scoperto che molto spesso le agenzie facevano consulenza formale o informale rispetto alle società a cui attribuire rating su come emettere determinate attività in modo da avere rating elevato per quell’attività”, spiega Messori.

Tutti concordano ormai nel considerare le agenzie di rating tra i principali responsabili della crisi finanziaria tra il 2007-2009. La Commissione d’inchiesta le ha definite “facilitatori chiave del tracollo finanziario “. La sottocommissione permanente per le indagini del Senato americano ha concluso: “I rating del credito AAA imprecisi hanno introdotto il rischio nel sistema finanziario statunitense e hanno costituito una delle principali cause della crisi finanziaria“.

“C’era una carenza sul mercato finanziario internazionale di obbligazioni tripla A quindi gli emittenti hanno iniziato a chiedere rating sull’emissione delle singole obbligazioni. Le agenzie di rating, sostenendo che questo avrebbe migliorato il funzionamento dei mercati, hanno offerto di fatto anche una consulenza su come emettere obbligazioni che potessero avere rating di tripla A. Si è scoperto poi che queste obbligazioni erano molto opache e complesse e poco liquide. Questo si è accumulato prima della crisi finanziaria ed è diventato evidente poi durante la crisi, quando obbligazioni ad alto rating hanno avuto un valore che si è azzerato”, spiega Messori

L’aver assegnato valutazioni favorevoli a istituzioni insolventi come Lehman Brothers le ha portate sul banco degli imputati dopo il tracollo finanziario. “C’è anche un problema di competizione. Se le agenzie di rating danno rating basandosi su principi diversi è chiaro che si crea un comportamento opportunistico. Io vado dall’agenzia che ha criteri che si adattano meglio ai miei prodotti finanziari, per avere rating maggiore. E questo non va bene”, continua Messori

Con il caso Lehman Brothers e il tracollo finanziario si è arrivati al punto più basso di affidabilità delle agenzie di rating. “Dopo nell’area euro c’è stata una regolamentazione più rigorosa. Ma il mercato è così complesso e in evoluzione che la vigilanza centrale ha bisogno di autoregolamentazione, di un’istituzione intermedia. Ma il problema è che le agenzie di rating di cui il sistema ha bisogno devono svolgere il proprio compito minimizzando il conflitto interesse e capendo che hanno un ruolo di regolamentazione, non devono dare segnali ambigui. La soluzione? Una regolamentazione sempre più rigorosa. È essenziale un equilibrio tra evoluzione dei mercati, autoregolamentazione e regolamentazione. Bisogna creare degli standard. Ed è un lavoro senza fine, perché il mercato si evolve. Non bisogna smettere però. L’Europa è un luogo in cui la regolamentazione è molto efficace, rispetto agli Usa. Nell’area euro non avremmo potuto avere un caso Svg”, conclude Messori

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Cristina Colli