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(Getty Images)
Salute

Infarti e vaccino Covid, nessuna relazione, nessun allarme

Sui social aumenta il dibattito per un presunto aumento dei casi di malori e decessi per problemi cardiaci e c'è chi lega tutto questo al vaccino. Ma i medici di settore (e studi in loro possesso) dicono un'altra cosa

L'ultimo caso è quello del sindaco di Chiavari (nota località turistica ligure). Marco Di Capua, morto per un malore improvviso: aveva 50 anni. Un decesso simile a quello di altre persone, apparentemente senza problemi di salute, anche loro colpite da malori improvvisi, soprattutto infarti o crisi cardiache. Casi, finiti sui giornali, da cui è nato soprattutto sui social l'allarme per un presunto un improvviso aumento di infarti da ricondurre in qualche modo al vaccino contro il Covid.

«Non ci sono ancora dati disponibili - spiega il presidente della Società Italiana di Cardiologia Ciro Indolfi - che stabiliscano un nuovo aumento di decessi come quello del 2020 dove le morti per infarto come causa indiretta del Covid sono triplicate. Infatti lo scorso anno a causa del coronavirus il 50 per cento delle visite ambulatoriali previste per le persone con problemi cardiaci è saltato perché il sistema sanitario è andato in tilt e per la paura dei pazienti di venire in ospedale o ambulatorio. Meno cure ha quindi portato ad un grande aumento dei decessi. Di certo le notizie sull'aumento improvviso di casi di infarti o malattie cardiovascolari correlate al vaccino trovano scarsa evidenza scientifica. Secondo uno studio condotto negli Stati Uniti sindromi autolimitanti, quali miocardite e pericardite osservate dopo la vaccinazione sono rispettivamente 20 e 40 su 2 milioni di persone e nessun decesso. Durante lo studio inoltre è stato osservato che la miocardite si è sviluppata rapidamente nei pazienti più giovani, soprattutto dopo la seconda vaccinazione. Mentre la pericardite ha colpito i pazienti più anziani più tardi. VA sempre ricordato, e forse con il Covid ce ne siamo dimenticati, che le malattie vascolari sono da sempre la principale causa di morte in Italia».

I dati della Società Cardiologia del 2020

In Italia le malattie cardiovascolari rappresentano quasi la metà dei decessi (44%). La cardiopatia ischemica rappresenta la prima causa di morte in Italia, con il 28% di tutti i decessi, mentre gli eventi cerebrovascolari raggiungono il terzo posto subito dopo il cancro. L'epidemia di Coronavirus Disease-19 ha rubato un anno di vita agli italiani: l'aspettativa di vita post-pandemia in Italia è scesa a 82 anni. La speranza di vita alla nascita è diminuita di 1,2 anni nel 2020 rispetto al 2019. In particolare, gli uomini non sopravvivono in media più di 79,7 anni (-1,4 anni rispetto al 2019), mentre per le donne si attesta a 84,4 anni (-1%) rispetto all'anno precedente. A 65 anni, l'aspettativa di vita scende a 19,9 anni (18,2 per gli uomini, 21,6 per le donne). Inoltre, nel 2020 il numero medio di figli per donna è stato di 1,24, il più basso in Italia dal 2003.
L'Italia è stata la prima nazione occidentale ad essere colpita dalla pandemia e si è fatta cogliere impreparata. Oltre alla mortalità correlata all'infezione da SARS-CoV-2, la Società Italiana di Cardiologia è stata la prima a descrivere il fenomeno, confermato poi in altri paesi, di una riduzione di circa il 50% dei ricoveri per infarto miocardico e del 46% di riduzione per insufficienza cardiaca acuta nel 2020. Ancora più interessante, è stato osservato un aumento di tre volte della mortalità nell'ospitalità nei pazienti con infarto nella prima ondata della pandemia. I risultati di questo studio sono stati pubblicati sull'European Heart Journal, la più importante rivista cardiologica europea. L'epidemia di COVID-19 è stata associata a una notevole diminuzione dei tassi di angioplastiche coronariche da 178 a 120 casi per 100.000 residenti/anno durante l'epidemia di COVID-19.Le motivazioni per la riduzione dei ricoveri per infarto sono state attribuite ad una paura del contagio da parte dei pazienti e da una disorganizzazione temporanea della rete delle patologie tempo-dipendenti essendo il SSN focalizzato e fortemente impegnato quasi esclusivamente nella gestione della pandemia.Infine, durante la pandemia non sono state effettuate milioni di visite ambulatoriali di pazienti con patologie cardiovascolari e l'effettivo impatto negativo di ciò nella prevenzione primaria e secondaria è ancora sconosciuto. La pandemia ha rinnovato l'interesse per l'erogazione di servizi di assistenza sanitaria tramite il ricorso a tecnologie innovative come la telemedicina, questa rimane in Italia ampiamente sottovalutata e sottoutilizzata. Infatti, l'erogazione delle prestazioni sanitarie e sociosanitarie abilitate dalla telemedicina contribuisce ad assicurare equità nell'accesso alle cure nei territori remoti, costituendo un supporto alla gestione delle cronicità, ed un canale di accesso all'alta specializzazione, e garantendo al tempo stesso una migliore continuità della cura attraverso il confronto multidisciplinare di ausilio fondamentale per i servizi di emergenza-urgenza.

«Speriamo - continua Indolfi - che il Recovery Fund (Next Generation Eu) rappresenti un'opportunità unica per l'Italia per poter riorganizzare un sistema sanitario universale che in passato ha garantito a tutti i cittadini parità di trattamento sanitario a prescindere dal reddito. C'è però bisogno di progettare in Italia una nuova e moderna organizzazione sanitaria, una Università basata sul merito, una medicina cardiovascolare indipendente dalla politica, con meno burocrazia, efficiente a livello nazionale e con pari opportunità per la prossima generazione di cardiologi».

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Linda Di Benedetto