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Il voto del Senato per l'impeachment di Donald Trump a Washington il 13 febbraio 2021 (Ansa).
Politica

Impeachment: Trump assolto

Non è stata raggiunta la maggioranza di due terzi per arrivare alla condanna.

Il Senato ha assolto Donald Trump nel suo secondo processo di impeachment. Sono stati 57 i voti contro l'ex presidente, 43 quelli a favore. Il quorum di due terzi necessario per arrivare a una condanna non è quindi stato raggiunto: uno scenario, quest'ultimo, che è del resto sempre stato considerato improbabile. Tutti i senatori democratici hanno votato contro Trump, insieme a sette repubblicani: Richard Burr, Bill Cassidy, Susan Collins, Lisa Murkowski, Mitt Romney, Ben Sasse e Pat Toomey. Da rilevare invece che il capogruppo dell'elefantino, Mitch McConnell, non si è espresso a favore di una condanna, nonostante i suoi rapporti con l'ex presidente si fossero guastati non poco.

Ricordiamo che, ad oggi, Trump è stato l'unico presidente ad essere messo in stato d'accusa due volte e l'unico ex inquilino della Casa Bianca a subire l'impeachment (processo che, secondo la Costituzione, dovrebbe in teoria essere esclusivamente rivolto ai «funzionari civili»). Il tentativo dei democratici era quello di arrivare a una condanna, per poi tenere un voto (a maggioranza semplice) per interdire Trump dai pubblici uffici ed evitare così sue eventuali ricandidature in futuro. Una strategia che, quasi da subito, è stato chiaro sarebbe fallita, visto che – come detto – era scontato che non ci fosse una maggioranza dei due terzi.

Un fattore, questo, che aveva portato svariati senatori democratici a voler accelerare i tempi del processo che, effettivamente, è durato appena cinque giorni. Il rischio per l'asinello era che, facendo impantanare la Camera alta con l'impeachment, il neo presidente, Joe Biden, potesse riscontrare delle difficoltà nel portare avanti la propria agenda programmatica al Congresso. Non è tuttavia al momento escluso che i democratici tenteranno di interdire Trump attraverso altre vie (si parla per esempio di una risoluzione che invochi il XIV emendamento).

Come che sia, questo processo lascia gli Stati Uniti politicamente più spaccati che mai. Biden può contare su una maggioranza parlamentare risicatissima. E, in questo senso, qualcuno dei suddetti sette senatori repubblicani favorevoli alla condanna di Trump potrebbero rappresentare per lui un soccorso politico non di poco conto (soprattutto su riforme divisive come quella dell'immigrazione). In tutto questo, il Partito repubblicano dovrà invece cercare di risolvere il proprio dibattito interno: se da una parte ci sono ampi settori dell'establishment che vogliono farla finita con Trump, dall'altra ci sono esponenti che – pur magari condannando gesti specifici dell'ex presidente – non ritengono utile gettare alle ortiche la sua eredità politica.

Un'eredità che, pur con i suoi limiti, ha comunque esteso la base dell'elefantino a quote elettorali significative (dagli operai della Rust Belt alla minoranza ispanica). Tra l'altro, non va neppure trascurato che – piaccia o meno – l'ex presidente, secondo i sondaggi, continua per ora a godere del sostegno della maggioranza della base repubblicana. La conclusione di questo processo costituisce una sorta di «anno zero» per il Partito repubblicano: una compagine che deve presto decidere quale strada intraprendere. Anche perché lo spettro di una scissione non è poi più così remoto.

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Stefano Graziosi