Matteo Messina denaro
(Ansa)
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Non è con Matteo Messina Denaro malato che si misura la forza del paese

Il boss dei boss ricoverato in ospedale chiede un allentamento del carcere duro. Ma è altrove che l'Italia deve dare segnali di forza

Matteo Messina Denaro è malato, molto malato. Da anni lotta con un tumore e proprio mentre andava a curarsi dal «male» è stato catturato dai Carabinieri. Oggi però le sue condizioni di salute sono peggiorate, si sono aggravate al punto che il suo legale ha subito chiesto lo stop al regime del 41 bis: «Non ci può restare» ha dichiarato il legale spingendo per la una richiesta di stop al carcere duro per il mafioso più pericoloso, violento, spietato che forse abbiamo mai avuto.

Fin dal principio sapevamo che questo momento sarebbe arrivato; il momento in cui la sua malattia ci avrebbe portato davanti al bivio: provare pietà o no per un uomo che non ha mai conosciuto, lui, il significato della parola PIETA’? Ovviamente il tema divide. Per fortuna la risposta è molto più semplice del dovuto. MMD non è di certo il primo grosso criminale che vive una condizione simile. Per mesi si è ad esempio parlato e discusso di Alfredo Cospito, anche lui al 41 bis, anche lui malato, anzi, debilitato ai limiti dello stremo da uno sciopero della fame; ecco, lo Stato ha tenuto il punto, non per cattiveria, non per crudeltà ma semplicemente applicando la Legge. Ed è questo che determina alla fine la forza di una nazione.

La forza di un paese che garantirà anche a Messina Denaro le cure necessarie per lui come per qualsiasi altro essere umano, senza dimenticare il suo stato nelle strutture e nelle modalità stabilite da medici e giudici.

La cronaca di questi giorni ci ha mostrato i limiti di una legge non applicata o troppo morbida. Nwekw Chukwuka, il nigeriano che ha aggredito, che ha tentato di violentare ed alla fine ha ucciso in maniera animalesca Iris Setti a Rovereto un anno prima aveva già aggredito passanti e persone per strada. Per lui è stato usato forse troppo il cuore, il perdono, la strada del recupero come dimostrò anche lo slogan del sindaco di Rovereto che all’indomani dell’assalto in strada scrisse un invito ai suoi cittadini, spaventati: «Fidiamoci di noi». Abbiamo visto com’è andata a finire.

E ci vorrebbe anche un po’ più di forza contro i piromani responsabili delle fiamme che distruggono, ogni estate, ettari ed ettari del nostro paese. Ad oggi il massimo della pena, nove anni di carcere (che tra un permesso ed uno sconto alla fine saranno 6) è stato dato ad un uomo responsabile non di uno, ma di 50 incendi, 50 in cui sono stati distrutti boschi, colline, case e strutture e diverse persone hanno rischiato la vita. Ecco, forse qui si che servirebbe una mano più pesante, non al 50esimo incendio ma subito al primo. Chissà mai che a questi maghi del fuoco non scappi la voglia di appiccare fiamme qua e là. Inoltre li si potrebbe anche condannare, come pena aggiuntiva, allo spegnimento di altri roghi, con i Vigili del Fuoco, tanto per capire cosa si rischia…

Come servirebbe una mano pesante (a norma di legge, sia chiaro, quelli che una volta chiamavano schiaffoni ormai sono stati aboliti) per i tre vandali, anzi writer bravi nell’arrivare in cima all’ingresso della Galleria di Milano, il Salotto del capoluogo lombardo per imbrattare il tutto con le loro bombolette spray. Una volta individuati e fermati (speriamo accada in tempi brevi) sarebbe molto utile una condanna esemplare, pubblica, con annessa riparazione del danno a loro spese davanti alle migliaia di turisti abitualmente nella zona il tutto in diretta social, con i volti ed i nomi in primo piano. Certo, un nell’annetto in caserma sarebbe servito, per un corso accelerato di rispetto delle regole, delle cose, dell’Italia ma purtroppo è stato abolito anche questo.

Questi sarebbero segnali importanti, di serietà e di forza. Per Matteo Messina Denaro bastano il codice penale e le regole della carcerazione.

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Andrea Soglio