giulia cecchettin
(Ansa)
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Il parlare a vanvera su Giulia fa male a tutte le vittime di violenza

Ovunque si sente in diritto di dire cose, senza sapere che certe parole, oltre che essere sbagliate, feriscono

Quando si parla di violenza bisogna sempre ricordare il punto di vista delle vittime. Dopo l'omicidio di Giulia Cecchettin parrebbe che chiunque si senta in diritto di esprimere la propria opinione, anche non conoscendo le dinamiche sottese a questi fenomeni, lo possa fare.

Questi episodi non possono e non devono divenire spettacolarizzazione, il cui effetto è solo quello da un lato di aumentare il rischio di emulazione, dall’altro quello di banalizzare il problema. Le soluzioni facili non esistono, riprova ne è il fatto che, elementi seppur corretti, espressi da anni nella stessa maniera, non hanno sortito effetto alcuno. Il problema all’origine del fenomeno è culturale e sociale, ma non può essere risolto dicendo “cambiamo la società” perché la società siamo noi e ognuno di noi deve mettersi in discussione e cercare di modificarsi.

Nessuno di noi è scevro da stereotipi e pregiudizi che si manifestano anche in una banale frase come “è una donna con gli attributi”. Non è inserendo l’educazione emotiva e sentimentale a scuola che si ovvia al problema, è cambiando il modo di ragionare, facendo sì che gli educatori, in primis i genitori, si responsabilizzino e ritornino ad educare. È semplice delegare alla scuola e, ancor più facile, dopo aver avuto questa irresponsabile pretesa, lamentarsi perché il proprio figlio è stato sgridato, correndo in sua difesa dinnanzi anche a condotte devianti e prevaricatorie.

È indispensabile che i figli apprendano il rispetto, comprendano che sono parte di una società e che i propri comportamenti hanno un effetto sugli altri. È indispensabile che capiscano che la vita è costellata da delusioni e difficoltà e che devono costruirsi da sé gli strumenti per non annegare e questo lo possono fare solo attraversando sfide, dolori, disinganni, insuccessi e fallimenti. Se non ammettiamo pubblicamente di avere un gravissimo problema educativo e di disvalore non potremo ai risolvere nulla. E ci si trova così a leggere frasi ad effetto sulla violenza cariche di stereotipie che feriscono profondamente le vere vittime.

La vera vittima non si sente tale e non si riconosce come tale e questo è un punto fermo da cui partire quando se ne parla, anche con una apparente semplice immagine. Quello che di grave sta accadendo in questi giorni è la banalizzazione della violenza, è un trasformare un problema grave e serio in frasi ad effetto che non solo non servono a nulla, ma che soprattutto espongono le vittime a un grande rischio. In questi giorni sto ricevendo telefonate da pazienti e conoscenti che sono state vittime di violenza il cui filo conduttore è che si sentono violentate e non considerate dal modo in sui si sta parlando di questo argomento. Si viola la loro intimità perché la percezione che hanno le donne che hanno subito violenza quando leggono o sentono narrate certe cose è totalmente diversa. Riporto una frase di una di queste donne che mi ha chiamato stamane “sembra che siano entrati in casa mia, che abbiano assistito a tutto e lo abbiano reso un fatto pubblico esponendomi alla mercè del popolo”. Raccontare nei dettagli gli eventi e le storie non aiuta le vittime, anzi, le umilia, le fa sentire ancor più sporche e inadatte.

Lo scopo di parlarne è quello di aiutare e, quello che sta accadendo negli ultimi giorni, è tutt’altro.

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Cristina Brasi