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Ansa
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Terremoto Turchia e Siria: oltre 5000 le vittime. Danni inestimabili

A oggi sono 8000 le persone salvate ma ci vorrà ancora molto tempo prima di poter delineare un quadro definitivo post sisma

Sale ad almeno 5.016 il bilancio dei morti del terremoto in Turchia e Siria e sono oltre 8000 le persone che sono state salvate ma ci vorrà ancora molto tempo prima di avere un quadro definitivo delle vittime e dei danni causati. Il sisma ha fatto registrare valori di Magnitudo 7,8 e 7,5 e ci sono state oltre 300 scosse di assestamento che continueranno forse per mesi.La Turchia è uno dei Paesi più soggetti a terremoti al mondo perché si trova sulla placca anatolica compresa tra due grandi faglie (fratture della crosta terrestre): la faglia dell'Anatolia settentrionale che attraversa il Paese da ovest e la faglia dell'Anatolia orientale a est.

«L’area interessata dal sisma dello scorso 6 febbraio compresa tra la Turchia meridionale e dalla Siria settentrionale è una delle zone a più alta pericolosità sismica del Mediterraneo dove si scontrano tre placche: Anatolica, Arabica e Africana» ci spiega Antonello Fiore, Presidente Società Italiana di Geologia Ambientale (SIGEA) - APS.


Cosa ha causato il terremoto?

«Il terremoto è stato causato dall’attivazione di una frattura della crosta terrestre chiamata dai geologi “Faglia Est Anatolica” con direzione nordest-sudovest. Dobbiamo considerare queste fratture della crosta anche con una dimensione che continua in profondità, come un foglio. In base alla forte energia liberata dalla faglia è stato ipotizzato che la rottura abbia interessato una porzione della faglia “Faglia Est Anatolica” lunga circa 190 km e larga circa 25 km».

Si erano già verificati sisma di questa intensità in Turchia?

«Nell’archivio storico mondiale dei terremoti sono riportati per la Turchia meridionale e la Siria settentrionale alcuni con effetti distruttivi nel 859, nel 1124 e nel 1513. Al confine con la Siria, nei pressi della città di Aleppo, è da ricordare anche il terremoto del 13 agosto 1822 che provocò un numero di vittime stimato tra 20000 e 60000. Più recentemente si può ricordare il terremoto di Izmit del 17 agosto 1999, avvenuto sulla Faglia Nord Anatolica, nella parte occidentale della Turchia, di magnitudo 7.2 che provocò più di diciassettemila vittime e il terremoto del 24 gennaio 2020 di magnitudo 6.8 che ha colpito la provincia di Elaziğ nella Turchia orientale».


Quali potrebbe essere gli effetti in Italia?

«Le immagini del devastante terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria ci rimandano ai diversi terremoti che hanno colpito anche il nostro Paese. Case accartocciate, soccorritori instancabili che mettono a repentaglio la propria vita pur di non lasciare nulla di intentato, gente disperata.Dal punto di vista geodinamico questo terremoto non può avere nessuna influenza sul nostro sistema di faglie attive, sono contesti totalmente diversi.Abbiamo visto che è stata attiva per poche ore l’allerta maremoto nel Mediterraneo, diramata in base alla forte energia liberata dal terremoto e alla sua distanza. Allerta rientrata dopo che le misurazioni delle dimensioni dell’onda anomala che si è generata e che non ha causato danni alle nostre coste. Anche questo terremoto, lontano da noi, oltre a confermare la grande generosità del popolo italiano nei confronti della Turchia e Siria, ci deve far riflettere sulla necessità di un piano organico di adeguamento sismico degli edifici costruiti prima dell’entrata in vigore delle norme antisismiche a partire dagli edifici pubblici e aperti al pubblico, senza trascurare l’aspetto culturale con l’aggiornamento dei piani comunali di protezione civile e il trasferimento concreto e pratico dei contenuti ai cittadini».


Cosa sta succedendo alla terra?

«I terremoti sono fenomeni naturali che interessano aree note. Nel senso che noi sappiamo dove si verificheranno e con quale energia, ma non possiamo prevedere il giorno e l’ora. I terremoti in luoghi non abitati non producono danni a cose e persone. Ma nei luoghi abitati le nostre case devono essere in grado di resistere alle scosse».

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Linda Di Benedetto