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(Ansa)
Economia

Le politiche climatiche verdi avvelenano l’economia tedesca

Berlino paga un conto salato all'estero alle ideologie green che costano caro

L’ambizione europea di diventare il primo continente climaticamente neutro ed essere il modello di riferimento per un pianeta “verde” sta presentando ai cittadini tedeschi i primi tangibili effetti di una potenziale deindustrializzazione. La fuga verso il carbone cinese di una delle principali industrie chimiche tedesche, la BASF, che proprio dalla patria dell’Energiewende europea vuole fuggire lasciando disoccupati 2.600 addetti per salvare l’azienda dal baratro “green”, è uno di questi. L’aumento dei costi energetici di oltre tre miliardi di euro sommati ai vincoli normativi ed alla lentezza dei processi burocratici europei hanno suggerito alla multinazionale tedesca di spostare parte delle attività fuori dalla Germania.

Secondo BASF lo sviluppo della sua unità produttiva in Cina contribuirà al calo della sua domanda di gas naturale nel paese ottenendo una riduzione delle sue emissioni di CO2 di 0,9 milioni di tonnellate metriche all'anno: un successo climatico del governo dei Verdi. BASF potrebbe non essere l’ultimo gruppo a lasciare il paese secondo Matthias Zachert, CEO di Lanxess. I prezzi dell'energia non sono più competitivi in Germania ma soprattutto Zachert non ritiene che l'energia possa essere tornare, in futuro, a prezzi simili a quelli che avevano garantito la competitività dell’economia tedesca.

Altre due importanti aziende chimiche tedesche Evonik e Covestro, che insieme impiegano oltre 50.000 persone, hanno annunciato un pesante calo dei profitti che potrebbe avere conseguenze occupazionali. Covestro, come BASF, la scorsa settimana ha annunciato l'intenzione di costruire un grande impianto di materie plastiche in Cina. La produzione di prodotti chimici di base, fertilizzanti o composti azotati, come l'ammoniaca, è stata particolarmente compromessa ed il dubbio, persistente, è se la produzione dell'industria chimica tedesca potrà riprendersi vista anche la volontà di BASF di ridurre la sua produzione in Europa in modo permanente. Un sondaggio condotto dall'Associazione tedesca dell'industria chimica, VCI, alla fine di gennaio, ha mostrato che quasi la metà delle aziende chimiche vorrebbe ridurre i propri investimenti in Germania a causa dei costi energetici.

Difficoltà certificate anche nel recente Bollettino economico della Bce che rileva “segnali del fatto che le importazioni, soprattutto di beni intermedi, abbiano in parte rimpiazzato la produzione manifatturiera locale nei settori a maggiore intensità energetica" nella UE. L’analisi segnala che in Germania a metà del 2022 l’industria chimica avrebbe iniziato a importare ammoniaca anziché produrla, a causa dell’elevato volume di gas necessario alla sua fabbricazione.

Volumi delle importazioni di manufatti per sottosettore.


Variazioni percentuali dei volumi delle importazioni e contributi in punti percentuali rispetto a gennaio 2020.


Così mentre diventa manifesta l’intenzione “del resto del mondo”, Cina e le altre economie emergenti, di non seguire in alcun modo il percorso climatico europeo la lobby eolica non sembra ancora paga e Hans-Dieter Kettwig, CEO di Enercon GmbH, il più grande produttore tedesco di turbine eoliche, ha criticato la prevista limitazione dell'uso dell'energia eolica a “solo” il 2% della superficie della Germania: l’estensione del nostro Friuli Venezia Giulia per intenderci. Sostenendo come sia necessario più che triplicare la già enorme potenza eolica tedesca passando da oltre 60 GW fino a 200 GW con l’unica apprezzabile differenza che quando Eolo smette di soffiare invece di qualche migliaio di pale ferme se ne vedranno alcune decina di migliaia.

Comunque molte turbine eoliche in Germania sono già ferme, nonostante il vento, semplicemente perché le reti elettriche non sono nemmeno in grado di trasmettere l'elettricità generata. Spesso la rete elettrica è sovraccarica e rende inutili ulteriori investimenti in energie rinnovabili intermittenti, tecnologia bandiera del governo dei Verdi, visto che l’infrastruttura della rete è del tutto inadeguata. E naturalmente al danno si aggiunge la beffa perché i consumatori devono comunque corrispondere centinaia di milioni di euro ogni anno agli operatori per l'elettricità che avrebbero potuto generare durante la fase di distacco dalla rete.

Tuttavia il “Geisterstrom”, letteralmente “energia fantasma”, pare essere un problema ignoto al cancelliere Scholz ed al ministro Habeck, così come il fatto che mantenere le turbine collegate alla rete costringe, in caso di sovrapproduzione di energia elettrica, ad instradarla all'estero a prezzi negativi. Visto che la compensazione per i produttori è pari alle entrate che avrebbero ricevuto se avessero immesso regolarmente l'elettricità in rete qualcuno ipotizza che la soluzione più semplice sarebbe quella di smettere di pagare l’"energia fantasma". Ma con questa soluzione il governo dei Verdi teme di non trovare abbastanza imprenditori disposti ad investire i loro soldi in turbine eoliche. Nel frattempo, a portare in attivo i bilanci, ci pensano i consumatori tedeschi.

La confusione in cui si dibatte il governo è palese: se da un lato con il ministro Habeck annuncia che le proiezioni di crescita della domanda di elettricità in Germania prevedono un aumento dagli attuali 550 terawattora a 700-750 terawattora entro il 2030, per la diffusione della mobilità elettrica e delle pompe di calore, dall’altro tempo è allo studio un nuovo progetto di legge che prevede la possibilità, per gli operatori di rete, in situazioni di crisi, di ridurre a tempo indeterminato la fornitura di energia alle pompe di calore, auto elettriche private e sistemi di accumulo delle batterie.

In un quadro in cui l'espansione dell'energia eolica e solare rende la produzione di energia sempre più inaffidabile, gli obiettivi climatici più severi, imposti da Scholz e Habeck, comportano l'introduzione “pianificata” di 15 milioni di auto elettriche, 6 milioni di pompe di calore, nonché dei sistemi elettrici di l'accumulo. Secondo la Frankfurter Allgemeine Zeitung i gestori di rete temendo di essere il capro espiatorio dell’incompetenza del governo hanno dichiarato in una lettera al Ministero dell'Economia e della "Protezione climatica" di non essere in grado di tenere il passo con il "livello di ambizione" del governo federale e con la crescita delle auto elettriche e la conseguente domanda delle infrastrutture di ricarica.

E, se da un lato, Deutsche Bahn, le ferrovie tedesche, ha raddoppiato i treni per il trasporto del carbone, in media, 30.000 tonnellate vengono trasportate alle grandi centrali elettriche ogni giorno, dall’altro l’industria tedesca della mobilità sostenibile ha le sue gatte da pelare con E-bility, il produttore di scooter elettrici, che nel mese di febbraio ha presentato istanza di fallimento. Dopo le difficoltà di approvvigionamento e l’aumento dei costi energetici la perdita dei finanziamenti ha compromesso la sostenibilità economica dell’azienda. Analoga sorte per la start-up berlinese Avocargo, che vende e noleggia biciclette cargo elettriche, e ha presentato istanza di insolvenza per una situazione debitoria ormai fuori controllo. Ed anche il produttore di auto elettriche solari Sono Motors dovrà interrompere la produzione dell’auto elettrica solare Sion per mancanza di finanziamenti.

Audi sta considerando di aprire la sua prima fabbrica negli Stati Uniti visti i generosi sussidi promessi dall’Amministrazione Biden ed anche la casa madre, Volkswagen, potrebbe essere coinvolta nella costruzione della fabbrica di auto elettriche statunitense. Nel frattempo i consigli di amministrazione di BMW, Mercedes e Volkswagen sono sempre più frustrati dalla politica dei Verdi, che richiede l'eliminazione radicale di tutti i veicoli a benzina, diesel e ibridi senza aver minimamente valutato lo sforzo tecnico ed economico costituito dalla realizzazione dell'infrastruttura elettrica. E’ sperabile che, nel tempo ottenuto rinviando sine die il voto per l'adozione del regolamento sulle emissioni di CO2,i liberali tedeschi riportino alla realtà i loro colleghi al governo.

Decisone, quella sul bando dei motori endotermici, di cui il governo Meloni si è assunto la paternità sostenendo la necessità di una transizione sostenibile, equa e pianificata con attenzione, per evitare ripercussioni negative sotto l'aspetto produttivo e occupazionale. Appunto. Allora forse è opportuno che il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Pichetto Fratin, ed il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Urso, osservino con attenzione le immagini dell’ANSA che arrivano da Portovesme, dove gli operai solo saliti per protesta su una ciminiera contro la chiusura dell’unico impianto italiano di zinco e piombo da primario. In particolare osservino quelle riprese che svelano, tutt'attorno allo stabilimento, la presenza massiccia di pale eoliche, icona della loro inefficienza sistemica.

Prezzi medi annuali dell'elettricità nel mercato del giorno prima e differenze su base annua UE27/EEA e Svizzera.


Dati in Eur/MWh. Fonte ACER.

Perché osservando il grafico qui sopra, tratto dal Wholesale Electricity Market Monitoring 2022 dell’Agenzia UE per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell'energia (ACER) è facile rendersi conto che l’Italia è la maglia nera dell’UE dei prezzi elettrici. Anche peggio della Germania...

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Giovanni Brussato