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(Ansa)
Economia

Il Green Deal europeo, sempre più chiaro, sempre meno realizzabile

Il caro prezzi delle materie prime e la loro mancanza nel vecchio, piccolo, continente stanno diventando problemi insormontabili

Rendere l’Europa neutrale sul clima entro il 2050 e ridurre le emissioni di Co2 del 55% entro il 2030. L’obiettivo del Green Deal europeo è chiaro. Ma la transizione verde ha un costo e una strada piena di ostacoli. Costi e approvvigionamento delle materie prime e burocrazia sono i tre temi principali. “Nel mondo il 60% della generazione di energia avviene oggi da combustibili fossili, in Europa siamo intorno al 40%. Non me la sento di dire che abbiamo un sistema che sta andando verso l’abbandono delle fonti fossili. E per una buona ragione, perché l’alternativa è un sistema non affidabile, come continuità di fornitura. Pensare di avere un sistema totalmente basato solo alle rinnovabili è un azzardo che fatico a pensare come possa essere parte di una politica energetica saggia”, spiega Carlo Scarpa Professore di economia industriale all’Università di Brescia.

Le materie prime, per costi e affidabilità di fornitura (scarsità e spesso concentrazione in poche aree geografiche) pesano sulla transizione dell'industria europea verso la neutralità climatica. Oltre il 50% dei costi di produzione dei moduli fotovoltaici dipende dal prezzo dei materiali per farli. Si arriva al 70% nel caso degli impianti eolici. Quindi non stupisce che nel 2022 si sia assistito a un rallentamento sugli investimenti in Europa. L’eolico e il solare non hanno costi marginali, ma costi dettati dall’inflazione nel mercato delle materie prime, a partire dal costo del gasolio che serve per estrarre e lavorare le materie prime. E non dimentichiamo la questione della ondivaga e a volte scarsa disponibilità dei metalli e dei minerali necessari, che sta facendo salire ulteriormente i costi. “Sono saliti i prezzi delle materie prime come acciaio, alluminio e tanti metalli. Questo sull’eolico ha un impatto rilevante. Nel fotovoltaico c’è un problema di silicio, che non è inesauribile e in più ha costi di smaltimento” spiega Scarpa. Il rallentamento degli investimenti eolici è stato particolarmente pronunciato nella seconda metà del 2022. L'UE deve costruire 30 GW di nuovi parchi eolici per raggiungere gli obiettivi e per l'eolico offshore passare da oltre 15 GW di oggi a oltre 100 GW entro il 2030. In Italia le rinnovabili vanno piano. Nel 2022 (dati Anev) sono stati installati solo 456 megawatt di nuova potenza eolica (siamo arrivati 11,7 GW complessivi). Il solare è andato meglio, aumentando di 2,6 GW nel 2022. “Il problema dei costi della transizione ecologica è anche la creazione di problemi di competitività in un mercato che per certe produzioni è molto globalizzato. Infatti, Germania e Italia (i Paesi europei più presenti nell’industria manifatturiera) sono dovuti intervenire in modo pesante per sussidiare le loro aziende, fiscalizzando una serie di oneri, scaricandoli sui consumatori. Pensiamo al sostegno italiano per molti anni alle rinnovabili (eolici e fotovoltaici)”, continua Scarpa

Per decarbonizzare l’economia europea altro “problema” è la corsa alle materie prime critiche (CRM). L’Unione Europea è molto dipendente dall’estero per terre rare, metalli del gruppo del platino e litio (100%), per il tantalio (99%) e per il cobalto (86%). E si stima che per il 2050 la quantità di litio, per esempio, dovrà necessariamente essere 60 volte superiore. La scarsità di questi materiali e/o il loro costo eccessivo creano problemi alla domanda di veicoli elettrici per esempio. Sono tutte materie prime rilevanti per la produzione di batterie ricaricabili, magneti, circuiti. Questo per alcuni settori produttivi potrebbe diventare il collo di bottiglia per la transizione energetica.

Nel conteggio costi-benefici c’è poi la questione “tempi”. In Europa sono bloccati 80 gigawatt di progetti eolici. “Ci vuole più tempo ad avere l’autorizzazione che a costruire un impianto. Una macchina statale efficiente è fondamentale per la trasformazione ecologica. L’Italia, per esempio, è ben posizionata per il fotovoltaico, ma l’elemento di scala è rilevante. Costruire un grande impianto ha un costo più basso che fare pannelli sopra i tetti degli edifici. Se si accelerasse l’iter delle autorizzazioni allora potremmo avere un impatto in termini di investimenti davvero significativo. I grandi impianti hanno costi di produzione molto più bassi”, spiega Roberto Castaldi Direttore Centro studi, formazione, comunicazione e progettazione sull’Unione europea e la Global Governance (CesUE, spin-off della Scuola Sant’Anna di Pisa).

A fianco ai costi per trasformare le realtà produttive ci sono quelli per la trasformazione dei nostri comportamenti. Cambiare il parco macchine, la mobilità, le case e gli edifici. Tutto questo ha e avrà un prezzo. “Ma questo crea anche lavoro, dall’edilizia a nuovi lavori. Nuove catene del valore in termini di nuove industrie. L’Italia è tra i Paesi più avanti nell’economia circolare. Per noi quindi rappresenta un’opportunità, più che per altri Paesi che sono più indietro. C’è poi da contare l’investimento nella transazione digitale, che deve andare di pari passo con quella ecologica. E qui l’Italia è un po’ indietro. Il nodo vero è capire chi pagherà: se sarà a livello nazionale di ogni singolo Stato o a livello europeo. Il vero nodo è questo”, conclude Castaldi.

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Cristina Colli