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(Ansa)
Economia

Debito e fisco, non è tutta colpa dell'Europa

La responsabilità fiscale è la misura più di lungo termine possibile. Se vogliamo lamentarci con l’Europa, facciamolo per la bulimia legislativa, non per i vincoli di bilancio

Il 2023 è stato per l’industria italiana un altro anno di sfide. Dopo la pandemia, le interruzioni alle catene di fornitura, la guerra in Europa, la carenza di materie prime e, per alcuni, come in Emilia e Toscana, anche terremoti e alluvioni, il 2023 è stato l’anno dell’aumento dei tassi di interesse.

Il debito a breve termine per le imprese è passato dallo 0,5%-1% all’anno al 5%. Un aumento del cinquecento o anche mille percento, da far impallidire l’inflazione al supermercato.

In Europa l’effetto è stato una brusca frenata negli investimenti, con conseguente rallentamento della crescita economica. La Germania, dopo due trimestri di sostanziale stagnazione, è entrata in recessione, anche se leggera, nel terzo trimestre del 2023.

In Lombardia, che è la locomotiva manifatturiera italiana, si stanno contraendo l’industria (-1,9%), già in rallentamento dalla primavera, e le costruzioni (-0,7%).

Ciò nonostante, l’economia italiana nel 2023 è ancora in espansione (+0,7%).

Siamo il Paese delle piccole e medie imprese. La nostra struttura produttiva frammentata - a volte un po’ caotica - ha insuperabili doti di flessibilità e adattabilità. Specialmente nei periodi di crisi riesce a battere i nostri concorrenti più diretti, come è accaduto quest’anno.

Stiamo tenendo la linea, ma dobbiamo stare molto attenti. Il prezzo pagato alle crisi è stato molto alto. Nel 2008 nel nord Italia c’erano 240 mila imprese manifatturiere. Oggi sono meno di 180 mila. In quindici anni abbiamo perso il 30 percento delle fabbriche. Quelle che sono rimaste sono più forti, ma non è detto che possano resistere ad oltranza a crisi sempre più frequenti.

In questo contesto alcuni accusano la legge finanziaria italiana di non essere abbastanza ambiziosa e di non prevedere alcuna significativa riforma strutturale.

Sicuramente si poteva fare di più sul fronte della semplificazione della nostra economia. Ma è anche vero che dopo anni di irresponsabilità che hanno creato una vera e propria sbornia di debito pubblico (ora oltre al 140% del prodotto interno lordo) finalmente, e senza remore, il dibattito si è ora incentrato sulla responsabilità fiscale.

Se non tornano i conti, prima o poi ci saranno problemi. E’ vero nelle nostre famiglie. E’ vero nelle nostre imprese. E’ vero per il nostro Stato.

Far tornare i conti è la prima e fondamentale misura di politica industriale di lungo termine.

L’alternativa sono l’instabilità e la perdita di libertà economica. I vincoli di bilancio che subiamo dall’Europa non sono causati da un pregiudizio nei nostri confronti, ma dipendono dalla nostra passata indisciplina finanziaria.

Se vogliamo lamentarci con l’Europa, facciamolo per la bulimia legislativa e burocratica che con la scusa della doverosa transizione energetica e ambientale ci è stata scaricata addosso negli ultimi anni e rischia di esserlo ancora di più in futuro.

Le piccole e medie imprese sono meno attrezzate a seguire continui e radicali imposizioni normative. Questo è il vero rischio per la nostra struttura industriale.

Mattia Adani - imprenditore e Presidente dell’Unione Europea dell’Industria del Lubrificanti

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