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Economia

Volete l'auto elettrica? Dateci il nucleare

Il corso green imposto da Bruxelles, con lo stop ai motori termici nel 2035, obbliga a scelte rapide in materia di politica energetica. Senza le quali l'Italia rischia di restare ferma

Oggi 16 febbraio è la giornata del risparmio energetico e degli stili di vita sostenibili. In diversi luoghi del mondo saranno spente le luci di monumenti e simboli cittadini. Intanto, in uno dei numerosi condomini milanesi ci sono cento garage singoli, come in tante città italiane. Tra vetture e scooter, è plausibile che lì vengano ricoverati almeno 130 mezzi. Pensiamo per un attimo che entro 10-15 anni tutti gli inquilini decidano di cambiarli in favore di mezzi elettrici. Chiamate alcune società specializzate e fatti due calcoli tra kilowatt, opere e condutture necessarie, chi ha la fortuna di avere il garage facilmente collegabile al contatore dell’appartamento risolve il problema senza troppi problemi. Chi invece è proprietario di box interrati o sotto i giardini deve affrontare una spesa enorme. Per sole 50 vetture, stando a quanto riferisce il tecnico interpellato, la quantità di energia necessaria per effettuare ricariche contemporanee, seppure lente (notturne), è pari a quella che passa dalla cabina di media tensione che serve una media azienda energivora. E gli impianti da realizzare, dalla strada fino alla presa della vettura, necessitano di scavi e installazioni decisamente invasivi, tanto che, all’assemblea condominiale, la maggioranza dei no alla realizzazione è quasi unanime. E peggio sarà laddove i palazzi sono storici o protetti da vincoli artistici.

Abbiamo raccontato questo episodio (reale) per cercare di fare chiarezza su una questione che pare essere ignorata da chi soffia sull’elettrificazione della mobilità: la fretta. Immaginando un mondo automobilistico completamente elettrificato, secondo le ricerche fatte da diverse università sparse per il mondo (americane, inglesi, svedesi) sorprendentemente si scopre che a mancare non sarebbe la “potenza elettrica”, poiché se tutto ciò che corre sulle strade con le ruote andasse a batteria, l’intero settore non consumerebbe più del 10% dell’elettricità disponibile sul pianeta. Molto, certamente, ma una quantità gestibile. Perché parte di quella che si produce e si utilizza oggi serve per trasportare e raffinare il petrolio, fino a fornire benzina e diesel, quindi ci sarebbe una sorta di ribilanciamento tra energia non più così richiesta per creare carburanti e quella necessaria per le ricariche. La buona notizia, quindi, è che se per 50 litri di diesel servono materia prima ed anche 150 Kwatt di energia, questi non dovranno essere più utilizzati per quello scopo. Ma più rapida sarà la domanda, se spinta da date messe per ideologia, più veloce sarà l’aumento del costo dell’idrocarburo per chi non ne può fare rapidamente a meno, come autotreni e mezzi pesanti. Con il rischio concreto di arrivare a 4-5 euro al litro entro breve tempo, con le conseguenze che abbiamo visto sul costo dei beni primari come frutta e verdura.

Il punto sta proprio nei tempi necessari per la conversione, che sarà meno traumatica e tanto più rapida quanto la potenza elettrica sarà disponibile con continuità e a costi ridotti. In altre parole la pretesa sbagliata della legge appena varata da Bruxelles per la fine della vendita di motori termici, seppure punti al 2035, è quella di imporre praticamente tutto, subito a qualsiasi costo perché “faremo delle politiche di aiuto e saranno dati incentivi”. Con le fonti rinnovabili così discontinue, a partire da una siccità che aggraverà la situazione in regioni ad alta produzione di energia dall’idroelettrico come la Lombardia, con un eolico scarsamente efficace e un solare per il quale ci sono troppi cavilli normativi per ottenere allacciamenti e vendita dell’energia alla rete (oltre che una vita finita degli impianti e lo smaltimento), ci rimane rimane un possibile aumento della disponibilità di gas anche in stagioni senza necessità di consumo per riscaldamento, oppure il sempre poco nominabile nucleare.

Non a caso Francia, Regno Unito e non soltanto vanno in quella direzione. Dunque l’approccio opposto, ovvero creare una mobilità elettrica che convenga perché sostenuta da fonti energetiche continue e affidabili, sarebbe quello opportuno seppure più lento. Un Paese con una politica energetica lungimirante dovrebbe quindi sincronizzare le due cose: più nucleare, più potenza elettrica, con un percorso che non arriverà in tempo per il 2035 ma potrebbe facilmente concretizzarsi entro il decennio successivo. Ci sarebbe così il tempo per organizzare le reti di distribuzione e rifornimento dell’energia, per imparare a sfruttare quelle dell’illuminazione stradale per le potenze ridotte (bici e scooter), sviluppare la ricarica a induzione eccetera, senza devastare il territorio, le città e l’architettura. Bisogna quindi uscire dalla logica del terrore che si è diffusa negli ultimi anni, quella del ricatto secondo il quale l’opinabile calcolo dell’aumento di 2 gradi della temperatura media del pianeta entro il 2050 porterebbe alla fine del mondo. Facile, per le archistar, far realizzare ai praticanti immagini con alberi al posto dei parcheggi, meno semplice sarà far digerire la gente che non può più permettersi l’automobile, la gita fuori porta improvvisata, la spesa del sabato e il fine settimana fuori porta. Con il rischio concreto – già in atto - che vivere in città diventi una condanna per la propria mobilità personale. Con conseguenze devastanti anche nel mercato immobiliare e in tanti altri aspetti dell’economia.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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