8 febbraio, Whatsapp cambia ed è polemica su pubblicità e dati
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8 febbraio, Whatsapp cambia ed è polemica su pubblicità e dati

Chi non accetta i nuovi termini del servizio è fuori. Le norme in arrivo hanno sollevato molte polemiche per la volontà della app di condividere i dati degli utenti con Facebook. Non in Europa, almeno per ora

È a metà tra la sonora marcia indietro e il classico tanto rumore per nulla. I fatti: come di norma accade per i servizi sul web, WhatsApp comunica un imminente aggiornamento dei suoi termini di servizio, a partire dall'8 febbraio. Agli utenti, progressivamente, arriva una notifica per informarli di questo cambiamento. La scelta è duplice: accettare entro quella scadenza, e tutto funzionerà come sempre; rifiutare e scontarne le conseguenze: essere accompagnati alla porta. Arrivederci e grazie, o meglio saluti e addio. Lo scotto è non poter più utilizzare il servizio di messaggistica più famoso al mondo, essere estromessi dalla sua affollata comunità di 2 miliardi di utenti attivi.

Di solito va così: si accetta supinamente, senza leggere niente, perpetrando l'ennesimo salto nel buio ansiosi di tornare a rispondere agli amici, al partner, alla mamma, all'intasata chat di classe. Stavolta, invece, scoppia la polemica perché tra le clausole si legge che WhatsApp, di proprietà di Mark Zuckerberg, intende condividere alcuni importanti dati degli utenti con la creatura madre, Facebook, anche per fini pubblicitari.

Intanto si scansi qualsiasi equivoco: non si parla mai di contenuti dei messaggi, che sono crittografati e inaccessibili alla piattaforma stessa. Quindi no, nessun assalto al Santo Graal, all'ultimo residuo di privacy virtuale. Se scriviamo alla fidanzata che ci piace il nuovo televisore di un certo brand, non troveremo la pubblicità di quel prodotto ad aspettarci paziente e tentarci su Facebook qualche minuto dopo.

Eppure, sul piatto c'è una galassia di informazioni accessorie che aiutano comunque a farsi un'idea del nostro profilo e dei nostri comportamenti, a cucirci ancora meglio addosso proposte e inserzioni, a intuire la nostra capacità di spesa. Tra questi, li elenca puntualmente la BBC, l'indirizzo IP che indica il luogo dal quale ci si connette (un centro di una metropoli è, sulla carta, ben diverso per capacità di spesa di una periferia estrema), il tipo di modello di smartphone che si usa (altro indice della propensione ad aprire il portafogli), nome e numero di telefono.

Un'autostrada, quest'ultima coppia di dati, che permette alle aziende che fanno advertising sul social principale di contattarci più facilmente non in assoluto, ma quando decidiamo di interagire con loro. Per esempio, fai una domanda su Messenger e ti arriva la risposta su WhatsApp. E non è tutto: il sito Ars Technica, che ha contattato direttamente un esponente della piattaforma per saperne di più, aggiunge al calderone delle informazioni che potrebbero transitare verso Facebook anche la foto del profilo, lo status, l'ultima volta che un iscritto è stato online. Abbastanza per mettere a fuoco la confidenza di ognuno con lo strumento digitale, la sua assiduità d'utilizzo. O captare qualche passione mettendo insieme gli indizi: chi usa la foto di una supersportiva come immagine principale, di sicuro non disdegna le sirene dell'automobilismo. Chi ha scelto il ritratto di un campione di calcio, alzerà le antenne davanti proposte commerciali che rientrano nell'universo del pallone.

È il putiferio. Elon Musk, fresco di nomina a uomo più ricco del mondo, consiglia di passare a Signal; Skype, creatura di Microsoft, punge con un tweet in cui ricorda che no, non cede a terze parti i dati degli utenti: ogni riferimento è puramente casuale. I grandi giornali come The Guardian ricordano in un editoriale che non si può essere utenti di WhatsApp senza diventare clienti di Facebook, che ci piaccia o no. Magari è la direzione, la traiettoria, per il momento non sarà il presente. Almeno nell'Unione Europea.

Il colosso guidato da Mark Zuckerberg è chiamato a indossare i panni dell'indignato, a evidenziare bene i termini della questione. A chiarire che in Europa questo rimbalzo di informazioni da un fronte all'altro non può farlo, a far da scudo provvede una norma enorme, solida, che si chiama Gdpr, nata proprio per la protezione dei dati dei consumatori. Se uso un servizio A, quello non può cedere in blocco o in parte la mia identità a B. E infatti: «Non ci sono cambiamenti alle pratiche di condivisione dati di WhatsApp nell'area europea legate agli aggiornamenti riguardanti i termini di servizio e l'informativa sulla privacy. A scanso di equivoci, WhatsApp continuerà a non condividere le informazioni dei suoi utenti europei con Facebook per consentire a quest'ultima di usarli al fine di migliorare i suoi prodotti o per le pubblicità» è la nota ufficiale che arriva dalla divisione irlandese di WhatsApp, mentre su Twitter Niamh Sweeney, «director of policy for WhatsApp» per l'area Emea che include Europa, Medioriente e Africa, è perentoria: «È stato scorrettamente riportato» cinguetta «che l'aggiornamento degli ultimi termini di servizio di Whatsapp richiedono agli utenti nella regione Europa di dare il loro consenso alla condivisione di dati con Facebook per finalità pubblicitarie per continuare a usare il servizio. Questo è falso». Mentre assicura che nulla cambierà, si spinge oltre: «L'ultimo aggiornamento alla nostra Privacy Policy vuole fornire informazioni più chiare e dettagliate ai nostri utenti su come e perché usiamo i dati».

Lodevole, cristallino, sebbene rimanga l'amaro in bocca, o quantomeno un retrogusto fastidioso. Intanto perché fuori dai confini dell'Ue, WhatsApp vuole fare e farà ciò che l'Unione vieta. E la storia dimostra che non sempre i regolatori sono capaci di contrastare lo strapotere di queste piattaforme, la loro capacità di monetizzare da un servizio che è gratuito, ma non è fornito certo per filantropia. Dunque, la vicenda potrebbe ripetersi, magari più sottotraccia, con sfumature e alleggerimenti incapaci di generare lo stesso caos. Inoltre, è evidente quanto tutti noi siamo sottoposti alla tirannia dell'aut aut: o accetti o sei fuori. E rischi di essere escluso dalla buona parte delle dinamiche interattive, a distanza, della tua vita sociale e professionale. Senza WhatsApp, oggi, non è semplice comunicare. Non è difficile intuire chi abbia davvero il coltello dalla parte del manico.

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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