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Peter Schwartz: «Vi racconto il mondo che sarà»

Anziani bionici che fanno sport a 140 anni ed esseri umani capaci di respirare anche sott’acqua. Chip per rafforzare il cervello, protesi per potenziare il corpo. Le previsioni di un noto futurologo che, molte volte, ha avuto ragione. E con Panorama traccia gli orizzonti dopo la fine (imminente) della pandemia


Steven Spielberg l’ha voluto per disegnare l’universo cinematografico di Minority Report, per inventare la tecnologia che permetteva a Tom Cruise di prevedere i crimini e sventarli prima che fossero commessi. Qualche anno prima, per il film Deep Impact, aveva immaginato le conseguenze tremende dello schianto di una cometa sulla Terra.

Peter Schwartz è abituato a tratteggiare l’improbabile come a indovinare l’imminente: ha partecipato ad Arpanet, la rete di computer che fu il preludio di internet; ha contribuito al programma Apollo, che portò il primo uomo a zonzo sulla luna. Ingegnere aeronautico di formazione, si è specializzato nell’anticipare il domani: è diventato un futurologo, uno dei più apprezzati a livello globale. Il suo bestseller The art of the long view (l’arte della vista lunga) è un manuale adottato nelle più blasonate business school del pianeta; nel libro The long boom, uscito nel 1999, preconizzava crisi economiche e attacchi terroristici. Su entrambi i fronti, ha avuto ragione.

Oggi si occupa di pianificare le strategie del colosso del cloud Salesforce, che ha appena speso quasi 28 miliardi di dollari per acquisire Slack, uno dei software più usati al mondo per la collaborazione aziendale a distanza. Con la pandemia il lavoro è diventato flessibile e Schwartz ne è un convinto sostenitore: a Panorama risponde in videochiamata dalla sua casa alle Hawaii. Camicia casual, sorridente e un po’ abbronzato, non si sente per niente in vacanza: «Mi alzo alle 4 del mattino per le riunioni con l’Europa, di sera ho meeting virtuali con Singapore. Ma ho l’opportunità di farlo da dove voglio, perciò ho scelto di essere in paradiso».

È il lato felice dello smart working.

Abbiamo imparato che molte cose possono essere gestite a distanza, in modo altrettanto efficace. Tante persone torneranno alla loro vecchia scrivania, però l’equilibrio complessivo sarà cambiato.

Questa elasticità è davvero una benedizione?

Sì e no. Si è più reperibili fuori orario, si recupera il tempo necessario per arrivare in ufficio. Se lo moltiplichiamo per 500 milioni di individui che prima si muovevano da un punto all’altro delle città, si ha un aumento di produttività notevole. Ma si perde parte di quella che dipende dal contatto con gli altri, dalle relazioni dirette con loro.

Il coronavirus è stato il deep impact contemporaneo, un urto durissimo sulle nostre vite. Nonostante i morti e le cicatrici finanziarie, intravede un qualche lieto fine?

Il vaccino è parecchio efficace ed espone a rischi molto bassi. Via via che più soggetti lo faranno, i dubbi e le preoccupazioni cadranno e l’abitudine si diffonderà ovunque, anche negli Stati Uniti, dove la nuova amministrazione è più competente di quella prima.

Per essere accurati, lei ha affermato che la precedente non riconosceva l’esistenza della pandemia, dunque non poteva combattere qualcosa che non accettava.

I numeri del contagio sono lo specchio delle competenze dei singoli governi. L’Asia ha fatto bene, l’Ue non così tanto, gli Usa sono ancora fuori controllo. Escludendo che qualcosa vada storto con il vaccino, la maggior parte della popolazione europea e americana lo avrà ricevuto per la fine del 2021. Entro quest’anno dovremmo essere in grado di uscire dalla pandemia e dalla crisi che ha scatenato. Ci vorrà molto più tempo perché l’economia possa riprendersi, specie se penso a negozi, ristoranti, piccoli business. In compenso, gli esseri umani hanno la caratteristica di dimenticare in fretta.

Cosa propone per ridurre il rischio di altre infezioni globali?

Il vecchio futuro è andato, ne è nato uno nuovo in cui tutto succede di corsa. Serviranno strategie di risposta rapida e sistemi permanenti di controllo della salute dei viaggiatori. Non solo cercando le bombe in aeroporto, ma le persone che possono far esplodere i virus.

Guardando oltre, se Spielberg la chiamasse per un altro Minority Report, che tecnologie immaginerebbe?

Nel primo film avevamo pensato al dialogo con le macchine attraverso i gesti, non con la voce. Che sarà invece protagonista, assieme alle interazioni neurali. Fra 30 o 40 anni potremo chiedere qualcosa al computer usando il pensiero e il pc o lo smartphone ci risponderà. Tom Cruise non potrebbe farne a meno. La vera protagonista, però, sarebbe la biologia.

Si riferisce agli sviluppi della riscrittura genetica in laboratorio?

Avremo super anziani relativamente in salute, in grado di fare sport a 140 anni. Saremo esseri umani aumentati, fisicamente e mentalmente più capaci.

Individui alla Robocop, un misto di naturale e artificiale.

Assolutamente. Pensiamo a soggetti che dopo un incidente avranno riportato danni al cervello. Tramite un chip potranno recuperare la memoria perduta. E se non sarà tra cinque anni accadrà tra 20, ma protesi robotiche per braccia, piedi e mani diventeranno la norma. Non solo: sapremo essere creativi, le forme classiche della nostra fisicità non rappresenteranno più un limite.

Faccia un esempio.

Io vivo alla Hawaii, devo indossare maschera e tubo per vedere i pesci. Magari un giorno sapremo respirare sott’acqua, renderci anfibi. È plausibile che nell’arco di mezzo secolo la specie umana conoscerà una diversità profonda, radicalmente superiore rispetto a quella a cui siamo abituati oggi.

Una teoria dominante è che servirà a poco. Saremo schiacciati dall’intelligenza artificiale, dominati dalle macchine.

Siamo molto, molto, molto lontani (Schwartz lo ripete per tre volte, ndr) dal raggiungere una tecnologia che si comporti come il nostro cervello, che abbia qualcosa di simile a motivazioni individuali, capacità di giudizio, una vita autonoma. L’idea che un’Ai possa essere potenzialmente pericolosa è, al momento, cattiva fantascienza. Non mi mette alcuna ansia. Arrivare a comprendere a fondo la mente e replicarla è una sfida enorme.

Qual è la sua previsione?

L’affermarsi di macchine sofisticate in grado di svolgere compiti molto complessi. L’intelligenza artificiale ovunque. Le porte riconosceranno il nostro viso e si apriranno senza bisogno della chiave, giusto per citare un piccolo, semplice caso.

Le soluzioni evolute avranno costi accessibili?

Saranno a buon mercato, sì, disponibili per chiunque. Il mio telefonino ha un potere di calcolo di gran lunga maggiore di quello che ci è servito per portare l’uomo sulla luna. Quel che più conta, internet sta rendendo il sapere disponibile a tutti. Attraverso un cellulare, un ragazzo del Mali può seguire le lezioni del MIT.

I nostri figli abiteranno un mondo migliore di questo?

La storia è dalla parte degli ottimisti. Già oggi, nonostante le guerre, la pandemia, le varie battute d’arresto alla crescita, il numero di persone che vivono nel benessere non ha precedenti. È incredibile lo sviluppo che hanno conosciuto la Cina, l’India, il Vietnam, il Ghana. Non c’è nulla all’orizzonte che suggerisca lo spezzarsi di questa tendenza.

Un po’ le spiace non essere parte di un domani tanto promettente?

Mi piacerebbe arrivare a 150 anni, probabilmente non ci riuscirò. Eppure, ho già vissuto più di chiunque altro nella mia famiglia, sono il dipendente più anziano di Salesforce, ho 74 anni e le mie abilità a tennis non sono mai state migliori. Grazie alla medicina moderna, le articolazioni funzionano e il cervello sembra a posto, ho la possibilità di arrivare ancora un po’ più lontano. Per essere onesto fino in fondo, vorrei di più. Sogno l’immortalità. Sarebbe splendido vedere come sarà il mondo tra mille anni.

Qualcuno avrà mai questo privilegio?

Nulla è impossibile, di sicuro richiederà uno stile di vita molto salutare.

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