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(Ansa)
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Chiamiamolo stupro "collettivo" e non di un "branco"

La terribile vicenda che ha visto 7 ragazzi violentare una minorenne mostra un nuovo modo ed un approccio mentale diverso dietro le azioni di questi gruppi

Quando si parla di stupro collettivo viene spesso utilizzata l’accezione “branco”. L’uso di tale termine crea un costrutto di delegittimazione del singolo individuo, in quanto si va a richiamare un’immagine di un’entità a sé, e non quella di un gruppo formato da singoli soggetti, in grado di ragionare e di agire responsabilmente per conto proprio. Si tratta di uno specifico fenomeno definito “deindividualizzazione” o “deindividuazione”, ossia la perdita di autoconsapevolezza e di autocontrollo che si sperimenta in determinate situazioni in cui l’individuo si trova ad agire all’interno di dinamiche sociali e di gruppo. I meccanismi che sottostanno allo stupro collettivo riguardano precisi fenomeni di deresponsabilizzazione, di contagio emotivo tra membri e di giustificazione ideologica per mezzo della deumanizzazione della vittima. Questa tipologia di violenza scaturisce dall’attivazione di un comportamento primitivo di dominio e di predazione del maschio sulla femmina, dove sesso e aggressione risultano essere connessi.

Quello che però consente di far meglio comprendere questi meccanismi alla base dello stupro collettivo, è il “contagio emotivo”, tipico del gruppo e della folla anonima. Le emozioni negative di rabbia, aggressività, prevaricazione si amplificano in modo incontrollato all’interno del gruppo stesso. In queste circostanze i singoli individui agiscono in virtù delle regole deliberatamente create e condivise all’interno del gruppo, tralasciando temporaneamente i valori e le convinzioni morali personali. Basta così che un elemento del gruppo inizi una violenza per far eccitare gli altri soggetti che si comporteranno mimeticamente allo stesso modo, in un crescendo sfrenato di brutalità. Alcuni individui, per età e caratteristiche personali, sono maggiormente incapaci di opporsi al contagio emotivo: sono quei soggetti poco autonomi, molto conformisti e dipendenti dal gruppo, poco abituati alla riflessione personale e alla scelta in autonomia. Alcuni di essi non sono in grado di riconoscere le emozioni che stanno provando, le agiscono solamente. In questa condizione la vittima e la sua sofferenza non vengono né viste né tantomeno colte, rendendo impossibile ogni condivisione empatica, che porterebbe a bloccare l’aggressione. Le azioni di predazione sulla donna possono essere vissute come atti per mostrare agli altri la propria mascolinità, che va, nella fattispecie, a identificarsi con la sessualità predatoria e impersonale. Non ci sono solo la diffusione del senso di responsabilità e il venire meno dei freni inibitori, questi comportamenti sono il risultato dell’interazione di molti fattori quali la giustificazione culturale della sopraffazione sessuale maschile, il carente sviluppo di capacità di autoregolazione e di riflessione su di sé, il mancato controllo dell’impulsività, un’insufficiente capacità di rappresentazione del vissuto altrui e di condivisione emotiva, una scarsa autonomia personale e dipendenza conformistica dal gruppo, l’incapacità di coniugare sesso e relazione personale in un rapporto egualitario.

Queste dinamiche riguardanti prevalentemente i gruppi giovanili, devono essere lette e analizzate in un contesto educativo e sociale del tutto particolare, basato sul soddisfacimento immediato dei bisogni individuali e sempre meno collettivi, in un surplus di beni di facile accesso e in cui i genitori non sono in grado di tollerare la frustrazione dei propri figli. L’avere tutto e subito non consente di sviluppare il desiderio, e di tollerare l’attesa. Ci si trova così ad avere un consumo scevro da emozioni, con la conseguenza di far sentire i figli da una parte padroni del mondo e, dall’altra, di essere anestetizzati a causa del bombardamento sensoriale che va ad inibire il processo di rielaborazione delle informazioni. Per tali ragioni, se non si inizierà a ragionare seriamente sulla modifica dello stile educativo genitoriale, gli stupri collettivi tenderanno ad aumentare forti di un senso di legittimizzazione culturale. Creiamo infatti previsioni su quello che faranno le persone sulla base di ciò che abbiamo incontrato nel mondo. Queste previsioni possono basarsi sull’esperienza diretta, così come sulle rappresentazioni nella società e nella cultura. Le nostre menti funzionano come “elaboratori di testi predittivi” al fine di creare stereotipi. Si tratta di verità passate, mezze verità e mancate verità che abbiamo acquisito per cavarcela più in fretta nella vita. Il sessismo è quindi legato alle convinzioni relative alla natura fondamentale delle donne e degli uomini e ai ruoli che dovrebbero svolgere all’interno della società. Le supposizioni sessiste su donne e uomini, che si manifestano come stereotipi di genere, possono classificare un genere come superiore rispetto a un altro, andando così a giustificare condotte violente come lo stupro. Tale pensiero gerarchico può essere consapevole e ostile oppure può essere inconsapevole, manifestandosi sotto forma di pregiudizi inconsci. Gli stereotipi vengono trasmessi e accolti spesso in modo inconsapevole, è quindi importante capire come funziona il meccanismo di trasmissione per poter cambiare i contenuti dei messaggi educativi.


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Cristina Brasi