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(Ansa)
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Quando la mamma è dentro gli abusi sessuali

Recenti casi di cronaca hanno visto mamme complici degli stupratori delle figlie. Ecco cosa spinge queste donne ad annullare l'istinto materno

I casi di cronaca recente, come quello di Monreale, dove la madre somministrava la pillola anticoncezionale alle figlie per non farle incorrere in una gravidanza a seguito degli abusi sessuali perpetrati ad opera del padre, del nonno e dello zio, portano a riflettere sul ruolo femminile, materno per arrivare a chiedersi come, alcune donne, riescano a disinnescare l’istinto di protezione materno sino al punto di divenire delle madri abusanti.

Gravi esperienze di natura traumatica subite in età infantile sarebbero in grado di bloccare lo sviluppo cognitivo. Ciò accadrebbe per effetto di una difesa psichica dinnanzi al dolore subito che risulterebbe essere intollerabile. Sono svariati gli studi che correlerebbero l’abuso sessuale ed il maltrattamento alla plasticità neuronale, ossia alla capacità del sistema nervoso di modificare i propri circuiti, sia dal punto di vista strutturale che funzionale, in base all’esperienza, con lo scopo di adattarsi all’ambiente. Queste esperienze di natura altamente traumatica modificherebbero le strutture del cervello influenzandone il funzionamento anche a distanza di anni. Il maltrattamento produrrebbe difatti una rapida perdita delle funzioni cognitive dipendenti dall’ippocampo, struttura cerebrale deputata al consolidamento dei ricordi, producendo una marcata alterazione dei processi di memoria. Si consideri inoltre che, il trauma infantile, avrebbe un maggior potenziale di danno rispetto a un trauma subito in età adulta in quanto, in età precoce, il cervello non avrebbe una sufficiente tolleranza allo stress.

In questi casi si è dinnanzi a traumi caratterizzati da un’esposizione ripetuta e prolungata agli eventi traumatizzanti, come ad esempio l’abuso sessuale, il maltrattamento e la violenza assistita. Tra le risposte di difesa psichica si ravviserebbero il diniego e l’intorpedimento psichico. Il diniego è un meccanismo di difesa inconscio atto a fronteggiare in maniera accettabile vissuti quali colpa, ansia, rabbia, paura, legati ad aspetti inaccettabili della nostra vita o della realtà esterna. Per natura la mente allontanerebbe contenuti psichici, eventi intollerabili o non pensabili, col fine di proteggerci. In tali contesti l’inconscio alzerebbe delle vere e proprie barriere che non consentirebbero al pensiero di giungere alla conoscenza consapevole. In questo modo ricordi, pensieri, emozioni, desideri e sentimenti inaccettabili diventerebbero mentalmente inaccessibili. L’intorpedimento psichico è invece un’alterazione dello stato di coscienza caratterizzato da un senso di vuoto psichico e da difficoltà di comprensione.

Questi elementi spiegherebbero come spesso, i bambini che hanno subito traumi importanti, dimentichino gli eventi della loro vita, presentando anche amnesie complete per gran parte dell’infanzia e spesso anche durante la vita adulta. Oltre all’oblio degli eventi, questi bambini apparirebbero indifferenti al dolore, mancanti di empatia, incapaci di riconoscere e definire i sentimenti e con la tendenza ad evitare l’intimità psicologica.

Nei casi di vittime di abuso sessuale si presenterebbero dei comportamenti specifici per fascia di età. Dai 0 ai 2 anni saranno presenti dei comportamenti internalizzati, quindi una tendenza a mostrare ansia, apatia, mutismo selettivo, scarsa socialità, oltre a sentimenti di impotenza, vergogna, colpa e disturbi di natura psicosomatica. Dai 2 ai 5 anni si aggiungono comportamenti esternalizzati, ossia una modalità comportamentale connotata da forme di aggressività, di impulsività, di iperattività, di scarsa capacità di prestare attenzione, di provocazione; sono presenti anche comportamenti sessuali inappropriati. Dai 6 ai 18 anni si aggravano i problemi comportamentali e le difficoltà relazionali. Dopo i 18 anni permangono i comportamenti internalizzati ed esternalizzati, gli atteggiamenti aggressivi e antisociali associati a manifestazioni di depressione, ansia e disturbi somatici, questo ultimo elemento si ravvisa in particolar modo nelle donne. Sono altresì presenti difficoltà nelle relazioni intime e nell’assunzione del ruolo parentale.

Sarebbe stata identificata inoltre una forte correlazione tra un attaccamento disorganizzato, caratterizzato da emozioni contrastanti nei confronti della propria figura di accudimento, e la presenza di traumi irrisolti nel genitore che si occupa del bambino. Il ricordo del trauma non risolto tenderebbe ad affiorare alla coscienza in modo compulsivo, frammentario e imprevedibile. Quando questo avviene nella mente di un genitore che sta accudendo un bambino piccolo, si produrranno espressioni di paura nel volto del genitore e il bambino sarà spaventato dal notarle. Si creerebbe così nel bambino un conflitto insolubile tra il sistema di attaccamento, che lo obbliga a cercare la vicinanza protettiva del genitore ogni volta che si trova in pericolo, e il sistema difensivo più arcaico che lo obbliga a fuggire o a immobilizzarsi di fronte ad uno stimolo che gli incute paura. Questo conflitto insolubile tra bisogno di vicinanza protettiva al genitore e bisogno di allontanarsi dallo stesso, divenuto fonte di paura o di pericolo, si verificherà anche se, mentre accudisce il figlio, il genitore con trauma non risolto diventerà improvvisamente violento verso il bambino. Tale forma di attaccamento comporterebbe un grado di distorsione della realtà, frutto dell’adattamento e dettato dal tentativo di proteggersi dal dolore del rifiuto che il proprio adulto di riferimento dà come risposta alle proprie richieste di aiuto e vicinanza.

Una delle conseguenze sul lungo termine è il trovarsi delle bambine nel corpo di una donna. Lo sviluppo fisico sarebbe avvenuto regolarmente, a differenza di quello cognitivo che sarebbe rimasto bloccato all’epoca del trauma. Il divenire madre da parte di queste donne non corrisponderebbe quindi a divenire una figura genitoriale. La distorsione della propria realtà, i traumi vissuti, il trauma dell’attaccamento e le conseguenze psichiche relative, impedirebbero la capacità di essere consapevoli del proprio ruolo. Esse si percepirebbero ancora delle bambine totalmente inconsapevoli di essere madri. Il bisogno a cui rispondono non sarebbe quindi quello di accudimento della prole, ma l’accondiscendere alla figura che si ha fianco, che sia essa marito, padre, fratello, assecondandone ogni desiderio nel disperato tentativo di essere accettata e amata.

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Cristina Brasi