ponte stretto messina
(Ansa)
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Cattedrale sullo «Stretto di Messina»

La Rubrica - Come Eravamo

Da Panorama del 12 gennaio 1985

di Massimo Riva
E' questione ormai di poche settimane: al più tardi entro Natale l'apposita commissione darà il via definitivo alla costruzione del grande ponte sullo Stretto di Messina. Ci vorranno anni per realizzare l' opera, ma l'Italia potrà alla fine vantarsi di possedere l'ottava meraviglia del mondo: un ponte con un' unica campata di circa tre chilometri e mezzo. Un coro praticamente unanime di consensi sta accompagnando le ultime decisioni in proposito.
E' favorevole il governo perché vuole riscattare con questa opera grandiosa anni di passiva inerzia nel campo delle grandi infrastrutture pubbliche. Sono entusiasti gli amministratori locali perché si attendono i benefici effetti del grosso investimento in casa loro. Felicissime sono le imprese di costruzione che parteciperanno a questo business da parecchie migliaia di miliardi. Non meno contenti sono tecnici e progettisti perché potranno mostrare al mondo intero la loro capacità di risolvere i complessi problemi legati alla realizzazione di un' opera tanto ardita.
In verità, argomenti solidi a favore di questo progetto non mancano. Primo: si collega stabilmente la Sicilia al continente accorciando l'Italia, come si è spinto a dire il presidente dell'Iri, di oltre 200 chilometri Secondo: si concentra finalmente in una delle zone più diseredate del Paese un investimento che darà lavoro a molti disoccupati. Terzo: sbalordendo il mondo con la capacità tecnica dei progettisti e delle imprese italiane si porranno le premesse per ottenere nuove e maggiori commesse per grandi opere anche in altre parti del pianeta. A dispetto di argomenti apparentemente così buoni e di tanto unanime entusiasmo, appare ragionevole sollevare qualche perplessità di fondo sulla convenienza dell'operazione.
I dubbi principali riguardano due capisaldi dell'armamentario retorico messo in campo a sostegno del ponte sullo Stretto: primo, che l'opera serva ad avvicinare la Sicilia all'Europa; secondo, che essa possa essere oggi la migliore occasione per un rilancio economico delle regioni meridionali. Davvero la Sicilia sarà più prossima all'Europa attraverso questo ponte? In realtà, compiuta l'opera, Messina sarà più vicina a Reggio Calabria: tutto qua. La gran parte dei sostenitori del ponte dimentica o fa finta di dimenticare che uno dei problemi più drammatici del nostro Paese è la arretratezza della sua rete di trasporti ferroviari. Per far viaggiare una cassetta di arance siciliane da Messina al Brennero, verso i mercati del Nord Europa, ci si impiega oggi quasi più tempo di quanto occorresse negli anni Trenta.
L'ostacolo dello Stretto non è che uno dei problemi da risolvere e di certo non il maggiore. I guai veri sorgono proprio nel momento in cui i prodotti (o i viaggiatori) siciliani giungono a Reggio Calabria. La risalita della penisola diventa un cammino penoso, lentissimo, su strade ferrate inadeguate e sovraccariche di traffico. A che servirà guadagnare, con il ponte, anche una mezza giornata di viaggio se poi le cassette di arance continueranno a rischiare di marcire prima del loro arrivo alla frontiera tedesca? Sarà anche vero, come dice il presidente dell'Iri, che la realizzazione del ponte può accorciare l'Italia di oltre 200 chilometri. Ma a che servirà questo vantaggio se poi la penisola, in termini di moderna percorrenza ferroviaria, resterà lunga duemila chilometri invece dei mille della sua realtà geografica? Detto in altri termini: se si vuole davvero congiungere la Sicilia al continente, non sarebbe assi più urgente spendere i cinquemila miliardi, previsti oggi per la costruzione del ponte, al fine di realizzare un veloce e capace asse di trasporto ferroviario da Reggio Calabria al Brennero?
Qualche meridionalista malizioso dirà a questo punto: ecco il solito nordista che vuole sottrarre al Mezzogiorno uno dei maggiori investimenti pubblici dei prossimi anni. Niente affatto. C'è modo e modo di spendere cinquemila miliardi a vantaggio delle regioni meridionali. Uno è quello di concentrarli tutti nella costruzione di un grande monumento, utile, ma soprattutto vistosissimo un altro modo è quello di impegnare questi soldi nella realizzazione di opere pubbliche magari meno appariscenti, ma di più sicuro vantaggio per tutti. Un esempio concreto. Che accadrebbe se i famosi cinquemila miliardi fossero spesi per rifare da cima a fondo la linea ferroviaria che collega Reggio Calabria a Napoli? Si tratta di circa 450 chilometri su cui si potrebbero impegnare oltre 10 miliardi a chilometro: c'è quanto basta per farne uscire un gioiello del trasporto ferroviario, con benefici che si dilaterebbero a macchia d'olio in tutte le zone toccate o soltanto lambite dalla strada ferrata. Si dirà che la costruzione del ponte sullo Stretto non deve essere vista in opposizione o alternativa alla modernizzazione della rete ferroviaria. Già, così dovrebbe essere ma così non è.
Mentre la realizzazione del grande monumento sullo Stretto conta oggi sul sostegno di molte forze, il disinteresse verso la questione essenziale del trasporto ferroviario è totale. In queste condizioni, altro che rilancio dell'economia meridionale e avvicinamento della Sicilia all' Europa. Si realizzerà, piuttosto, l'ennesima cattedrale nel deserto: un grandioso monumento alla modernità dei trasporti senza che attorno vi siano trasporti effettivamente moderni. Riaffiora, purtroppo, alla memoria il ricordo dei caldi entusiasmi per le trasvolate atlantiche di Italo Balbo: mentre gli altri Paesi si costruivano una solida industria aeronautica, l'Italia inseguiva la gloria di effimeri primati. Evidentemente, il fascino pomposo del genio italico e delle opere del regime è duro a morire.

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Redazione Panorama