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(Ansa)
Politica

Il bicchiere mezzo vuoto del vertice Italia-Africa

Difficile dare un giudizio positivo ad una vicenda in cui mancavano gran parte dei 54 paesi del continente

Bilancio deludente per Giorgia Meloni, dopo la conclusione del vertice Italia-Africa organizzato dal governo al Senato per discutere del futuro del continente africano. L’amaro è tutto nella photo opportunity scattata nel salone delle Feste del Quirinale, dove domenica sera è stata servita una cena per i leader di 25 capi di Stato e di governo africani (oltre ai vertici della Ue, dell’Onu e del Fmi). Sì esatto, appena venticinque leader.

Una cifra molto sotto le attese, considerato che il continente è costituito da 54 nazioni, e che mancava del tutto la Nigeria, il Paese più popoloso e ricco del continente, con i suoi 210 milioni di abitanti e stime di crescita vertiginose. Il presidente nigeriano Bola Tinubu era in Europa, ma ha snobbato l’appuntamento romano.

Un atteggiamento difficile a comprendersi, considerato che il Piano Mattei, tra le altre cose, prevede «una dotazione iniziale di oltre 5,5 miliardi di euro tra crediti, operazioni a dono e garanzie» come ha ben scandito la premier Giorgia Meloni, aprendo la conferenza Italia-Africa nell’Aula del Senato. «Certo, non basta» ha poi aggiunto con realismo, «per questo vogliamo coinvolgere le istituzioni internazionali e altri Stati donatori».

Peccato che l’Africa sia sorda alle strategie di Roma, cui evidentemente sembra preferire altri partner. Quali? Russia, Cina, Turchia, e in parte Francia e Stati Uniti, sebbene il revisionismo storiografico abbia portato oggigiorno molti governi africani a respingere in blocco l’Occidente, preferendogli nuove forme di schiavitù economico-debitoria e securitarie, in cui rispettivamente Pechino e Moca sono campioni ineguagliabili. Ed ecco forse la ragione del quasi boicottaggio del vertice fortemente voluto da Palazzo Chigi.

La premier italiana Giorgia Meloni, in particolare, tiene particolarmente al Piano Mattei e sembra paradossale che, stanti gli sforzi di Roma, il presidente della commissione dell’Unione africana Moussa Faki abbia avuto l’ardire di affermare che «sul Piano Mattei non siamo stati coinvolti». C’è chi, come il giornalista Tommaso Ciriaco di Repubblica maligna che già il solo fatto di averlo chiamato Mattei «come il fondatore dell’Eni - una scelta di cui sembra abbia il copyright il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari - non è stata una mossa apprezzata […] ed evoca semmai il precedente di una presenza straniera, che alimenta sospetti. E rischia di far passare l’operazione italiana come neocoloniale, per certi versi addirittura predatoria. Proprio lo scenario che la premier intende in tutti i modi evitare».

Ma è assai più probabile che le ragioni di fondo siano vicine a quelle che ha evidenziato anche Enrico Borghi, senatore di Italia Viva: «Nelle ore in cui il premier del governo di unità nazionale libico Abdulhameed Mohamed Dabaiba si trova a Roma, il viceministro della Difesa russo Yunus-Bek Yevkurov viene accolto a Bengasi dal generale Haftar. Sul tavolo, un accordo per una base navale a Tobruk, che punta a rafforzare la presenza della flotta di Mosca nel Mediterraneo».

Se a ciò si aggiunge che mancavano anche rappresentanze di Paesi quali Burkina Faso, Mali, Niger e Sudan – dove vi sono stati altrettanti golpe militari – ecco che iniziano a farsi più chiare le motivazioni di tali assenze: a boicottare il vertice romano sono stati gli stessi Paesi che da Oriente quei golpe li hanno sobillati e, in altri casi, favoriti. I nomi sono sempre i medesimi: Cina e Russia. Le ragioni di per sé evidenti: per la maggior parte mancavano proprio quei Paesi del Sahel che sono centrali per il buon esito del Piano dal punto di vista della sicurezza, essendo snodo di ogni tipo di traffico, dalle armi alla droga, dalle materie prime agli esseri umani.

I leader golpisti e altri vertici africani devono aver scambiato il concetto di «protezione» offerto loro dai regimi orientali in cambio dello sfruttamento di materie prime pregiate, per un buon affare. Senza però considerare che, liberatisi da una schiavitù coloniale, si sono legati mani e piedi a un’altra forma di schiavitù.

Non a caso l’ultima sessione del vertice Italia-Africa verteva su «Migrazioni, mobilità e questioni di sicurezza» con gli interventi dei ministri dell’Interno Piantedosi e della Difesa Crosetto. Per il resto, le direttrici d’intervento del Piano Mattei sono: istruzione/formazione; sanità; acqua e igiene; agricoltura; energia; infrastrutture. E, almeno su questo, si è fatto un passo avanti: a febbraio si svolgerà la prima cabina di regia che istituisce la governance del Piano (il decreto è stato già convertito dal Parlamento) e inizieranno le missioni preliminari della struttura del Piano in terra d’Africa (con le aziende partecipate dallo Stato in primis). Vedremo se a quel punto, i Paesi assenti avranno modo di dimostrare maggiore interesse, ma sin d’ora appare evidente che né questi Paesi sono indipendenti dai desiderata dei loro «padroni» a Oriente, né potranno collaborare fattivamente per la riuscita del Piano. A cominciare proprio dalla nostra partente più prossima, la Libia.

A poco vale il fatto che Meloni abbia sottolineato come il Piano è «un approccio nuovo, non predatorio, non paternalistico, ma neanche caritatevole. Un approccio da pari a pari, per crescere insieme. Abbiamo stabilito delle materie prioritarie sulle quali lavorare e dei Paesi pilota nei quali avviare i primi progetti».

Qui da pari a pari c’è ben poco, se è vero come è vero che, ad esempio, in Libia – che possiede la più grande riserva di greggio dell’intero continente africano, con 48 miliardi di barili – la moneta di scambio oggi è la corruzione, i lavori più redditizi sono il traffico di esseri umani e il riciclaggio del denaro, e dove l’instabilità generata dal jihadismo e dalle crisi saheliane ai confini hanno consegnato metà del Paese nelle mani della Wagner, le milizie private del Cremlino. Vladimir Putin, infatti, medita di costruire un porto nella Cirenaica guidata dal generale Haftar, per farne una base militare dove ormeggerà i suoi sommergibili nucleari attraverso i quali potrà minacciare ancor più direttamente l’Europa e l’Italia.

Per definire la sfida che attende il Piano Mattei e i suoi promotori, valga allora il pensiero del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, non volendo, durante il vertice Italia-Africa ha sottolineato proprio il risultato più difficile da conseguire: «Un proverbio africano di grande saggezza recita: “Se vuoi andare veloce corri da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme a qualcuno”. Affinché il nostro sia un cammino comune, verso gli obiettivi del benessere e della pace in Africa, in Europa e nel mondo, occorre mettere in campo congiuntamente le nostre rispettive volontà». Ecco, se la volontà di Roma è riconnettere l’Africa al Mediterraneo e all’Europa, la volontà di Cina e Russia è fare in modo che tutto questo non si possa avverare mai.

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Luciano Tirinnanzi