enrico Mattei
(Ansa)
Politica

Cambiare le regole burocratiche, oppure il “Piano Mattei” sarà un’occasione perduta

Lettera aperta alla premier Giorgia Meloni di un architetto milanese, progettista di grandi infrastrutture internazionali

L’idea italiana di un piano per l’Africa è ottima, ma potrebbe essere molto migliorata dal punto di vista operativo. Quella che segue è una «lettera aperta» indirizzata a Giorgia Meloni sul «Piano Mattei» per l’Africa, che la presidente del Consiglio ha lanciato lo scorso gennaio: l’autore è Umberto Capelli, noto architetto milanese, progettista di infrastrutture importanti come le stazioni della metropolitana di Milano e di opere internazionali come l’aeroporto di Bucarest.

Umberto Capelli

di Umberto Capelli

Gentile presidente Meloni,

mi rivolgo a lei perché il «Piano Mattei», lanciato in gennaio dal governo italiano, è sicuramente un progetto intelligente, corretto, razionale. Anche se con grave ritardo, finalmente sul tavolo arriva un’idea con un chiaro intento operativo. Mi permetto di segnalarle, però, che alcuni dei meccanismi del «Piano Mattei» rischiano di trasformarlo in un’occasione perduta. E questo sarebbe davvero un guaio. Perché «Aiutiamoli a casa loro» non dev’essere soltanto uno slogan, anche se più che condivisibile: deve tramutarsi in opere. E deve farlo molto velocemente, perché è in corso una gara contro il tempo e soprattutto contro avversari agguerriti.

Negli ultimi anni, troppi Stati africani sono finiti sotto l’influenza politica ed economica della Cina e della Russia. L’Europa e gli Stati Uniti, del resto, non hanno mai adottato una strategia in grado di aiutare il progresso dell’Africa più povera. Per questo, oggi, l’idea di «aiutarli a casa loro» diventa tanto più importante, in quanto significa anche contrastare con fatti concreti le ingerenze cinesi e russe in Africa.

Battere la concorrenza delle grandi autarchie globali è doppiamente strategico, perché in Africa le impese cinesi costruiscono strade e ponti, ospedali e aeroporti e ottengono in cambio il diritto allo sfruttamento (spesso bieco) delle risorse locali, non solo minerarie ma anche agricole e ittiche. Moltissime di queste infrastrutture «made in China», poi, sono realizzate male, tanto che diventano fatiscenti in poco tempo. Lo sfruttamento delle risorse in cambio di opere, inoltre, è stato favorito dal bisogno ed è garantito dalla corruzione. Molti Stati africani, invece, stanno cercando di crescere con regole nuove, più democratiche e corrette. Per aiutarli davvero, è necessario metterli nelle condizioni di poter scegliere tra chi corrompe e poi sfrutta, e chi invece cerca di lavorare bene e onestamente, disponendo di tecnologie più avanzate.

Per tutto questo, sono convinto che l’operatività del «Piano Mattei» avrebbe bisogno di presupposti di grande flessibilità e di maggiore concretezza. Quello che sembra essere stato dimenticato, per esempio, è che un progetto ambizioso come un «Piano per l’Africa» può iniziare con il passo giusto soltanto se offre una risposta vera ai bisogni primari dell’Africa. Sembra essere stato dimenticato, per esempio, che gli abitanti di moltissimi Paesi di quel Continente hanno due imprescindibili necessità primarie: una casa in cui vivere e un lavoro per sostentarsi. Proprio noi italiani dovremmo ricordarlo bene, perché fu così anche per noi, nel Dopoguerra, tanto che in Italia l’edilizia si trasformò in un fondamentale motore di crescita soltanto perché creava posti di lavoro e costruiva case.

È così anche in Senegal, un Paese che conosco bene. Il governo ha lanciato il «Piano Senegalese per l’emergenza», un progetto che s’è dato l’obiettivo di creare in pochi anni almeno 100.000 case, che equivalgono a 100.000 posti di lavoro, e quindi il sostentamento per almeno 500.000 persone. Tutto questo in uno Stato la cui popolazione è sotto i 17 milioni di abitanti. La rapidità di risposta è fondamentale per le necessità del Senegal, così come lo è per quasi tutta l’Africa. La stessa rapidità di risposta può consolidare anche lo slogan, trasformandolo in realtà.

Per rendere rapidamente operative soluzioni già avviate, sarebbe sufficiente agire utilizzando i principi che si applicano per le emergenze: non servono le «cabine di regia», insomma, sarebbe meglio la logica dei «commissari straordinari». Le uniche cabine di regia che possono funzionare andrebbero create – quelle sì - con i singoli Stati africani in cui si vuole operare, in modo da accelerare il dialogo sulla soluzione dei problemi prioritari, condividendo la ricerca delle soluzioni più efficaci. Azioni partecipate sono sicuramente più efficaci di molte parole.

Quel che il «Piano Mattei» sembra ignorare, invece, è che moltissimi imprenditori italiani (ed europei) hanno già in mano progetti o iniziative che possono diventare operative anche in pochi giorni, eppure non possono fare conto sul sostegno dello Stato italiano, che continua a misurare la validità dei progetti basandosi sulle condizioni dei promotori.

Mi spiego meglio: una start-up non può avere tre bilanci consolidati da fare analizzare, e un’iniziativa sviluppata sulla base delle risorse dei soci non può avere bilanci dotati di una tripla A. Molte iniziative, molti progetti, possono però sottoporre al vaglio delle istituzioni italiane i loro business plan o i contratti già sottoscritti in Africa. E molti di questi progetti e di queste iniziative posso produrre effetti significativi in tempi brevi, con la creazione di migliaia di posti di lavoro.

Mi rivolgo a lei, gentile presidente, anche perché credo che, da donna, lei apprezzi la concretezza. Il suo governo, il ministero degli Esteri, le istituzioni finanziarie pubbliche coinvolte nel Piano Mattei, dispongono delle migliori competenze e di tutte le capacità tecniche per affrontare e risolvere i problemi che spero di averle rappresentato con sufficiente chiarezza. L’occasione è troppo importante, e l’impresa del «Piano Mattei» è troppo strategica perché la sua nave si areni sugli scogli della burocrazia.

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