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(Ansa)
Politica

Storia, cultura, numeri dell'estrema destra in Italia che non può sfociare in alcun ritorno del fascismo

La vicenda di Acca Larenzia ha riportato all'attenzione la realtà di gruppi e movimento di ispirazione fascista. Ma i numeri e le basi culturali raccontano di una realtà limitata e debole

Fu Umberto Eco negli anni Novanta a parlare per primo di un tipo nuovo di fascismo, ampio e trasversale, che stava conquistando terreno. Non uno relegato all’Italia e al ventennio mussoliniano, ma un fronte assai più largo e variegato, senza vincoli né confini neanche ideologici. Eco lo definì «fascismo eterno», anticipando il ritorno delle destre in Europa che oggi tanto preoccupa le sinistre e i socialisti, che gridano al pericolo di un apparente dilagare di idee considerate anti-democratiche di cui le destre in generale si farebbero portatrici, più o meno consciamente. Ma è davvero così?

Il caso italiano aiuta a sgombrare il campo da facili scorciatoie. Anzitutto, come osservò Pier Paolo Pasolini a riguardo del nostro passato, «l’Italia non ha avuto una grande destra perché non ha avuto una cultura capace di esprimerla. Essa ha potuto esprimere solo quella rozza, ridicola, feroce destra che è il fascismo». E, almeno in questo, i recenti episodi di Acca Larentia e ancor prima del «pistolero di capodanno» Emanuele Pozzolo, sembrerebbero dargli ragione.

La destra italiana erede di quel passato non ha saputo coltivare né grandi pensatori né leader degni di questo nome, eccezion fatta probabilmente per il presidente e fondatore del Movimento Sociale Italiano, Giorgio Almirante, che godette di una stima personale e trasversale anche da parte dei suoi più acerrimi nemici.

Ed è proprio a lui che si deve fare riferimento per riconnettersi alle radici di quella destra democratica che molti anni dopo avrebbe portato Giorgia Meloni e il suo Fratelli d’Italia fin dentro le sacre stanze di Palazzo Chigi. Almirante fu funzionario del regime fascista durante la Repubblica Sociale Italiana e, in seguito alla caduta del fascismo, si ritagliò un ruolo da esponente di spicco della Prima Repubblica, mantenendo la carica di deputato dal 1948 alla sua morte, avvenuta nel 1988. In quegli anni, Msi era il vero punto di riferimento dei neofascisti e di quella galassia di partiti che – dai monarchici fino al partito liberale – venivano considerati l’ala destra dell'arco costituzionale.

Negli anni Ottanta, quando negli Stati Uniti di Ronald Reagan i conservatori divennero un modello di riferimento politico anche per l’Europa, molte formazioni che non rifiutavano ma anzi favorivano il capitalismo, diedero vita a movimenti destrorsi che, come dimostra il caso italiano di Forza Italia, intendevano affrancarsi dai rigurgiti fascisti e neofascisti, per guardare al futuro.

Berlusconi stesso ha spiegato più volte che fu grazie a Forza Italia se i fascisti vennero arginati, perché «legittimati» e «costituzionalizzati». Ma ha anche sostenuto che Forza Italia era in verità un partito «di centro» e non propriamente «di destra», e che semmai la coalizione di «centrodestra» con cui sarebbe andato al governo, era tale solo perché formata sia da un centro (lui) che da una destra (Fratelli d’Italia di Meloni e Lega di Salvini).

Ciò detto, dopo la svolta di Fiuggi con la quale Fini provvide in maniera spiccia e definitiva alla cancellazione di ogni memoria legata al fascismo per dare legittimità alla nuova destra che avanzava, ci si sarebbe aspettati una normalizzazione dei rapporti tra sinistra e destra. Solo la Fiamma Tricolore di Pino Rauti, infatti, si oppose alla svolta moderata di Alleanza Nazionale, condannandosi all’irrilevanza.

Mentre l’astro nascente Giorgia Meloni, proveniente dallo stesso Msi di cui Gianfranco Fini fu segretario, dopo aver archiviato l’esperienza di An e dello stesso Fini (cacciato a male parole da Berlusconi), ha reintrodotto la fiamma missina nel simbolo del suo partito Fratelli d’Italia, e per questo è stata inquadrata subito come polo di attrazione identitaria per i neofascisti. Inoltre, dopo aver iscritto il suo partito fra i conservatori in Europa, è stata tacciata di essere una forza smaccatamente anti-democratica.

Dall’altra parte, la Lega di Matteo Salvini ha fatto di peggio agli occhi delle sinistre: si è infatti posizionata fra i sovranisti italiani, dove siedono anche i francesi di Marine Le Pen e gli olandesi di Geert Wilders, leader definiti entrambi (forse, a ragione) di «ultradestra».

Ma è con l’avvento al potere di Vladimir Putin e la creazione di Russia Unita - il partito del presidente - che le formazioni della destra europea si sono saldate e galvanizzate, e che la lega ha compiuto un salto di qualità. In alcuni casi, infatti, Mosca ha non solo favorito ma persino finanziato (per lo più in maniera occulta) tali partiti, allacciando rapporti: prima con la Npd e poi con l’AfD in Germania; poi con la Fpö in Austria; quindi, con il Front National (dal 2018, Rassemblement National) di Marine Le Pen, in Francia; e appunto con la Lega di Matteo Salvini.

Se queste frequentazioni europee sono sembrate pericolose o quantomeno inopportune agli occhi degli italiani moderati, semmai sono state le crisi occupazionali, le ondate migratorie incontrollate e il terrorismo jihadista – che hanno posto la questione della sicurezza al centro del dibattito politico internazionale – ad aver preparato il terreno perché partiti extraparlamentari ed estremisti di destra proliferassero.

In Italia, queste formazioni hanno assunto il volto di Casapound e Forza Nuova, le due principali realtà dichiaratamente neofasciste ancora presenti nel nostro Paese. Casapound nasce a Roma nel 2008, ma diventa un vero e proprio partito soltanto dieci anni dopo: nonostante il clamore mediatico (inopinatamente favorito dalle sinistre) e le innumerevoli azioni dimostrative, tuttavia è ancora oggi fermo allo zero virgola dei voti. Se i suoi follower su Facebook sono circa 270mila, per quel che vale, i tesserati invece raggiungono a malapena le 20 mila unità. L’apice politico di Casapound è stato aver ottenuto un seggio per il consiglio comunale di Ostai, dove ha raggiunto il 9,1% dei voti. Non proprio un successo brillante o il segno di una forza politica temibile. Semmai, il segno di un clan folkloristico e quasi esclusivamente romano-centrico.

Anche la formazione dichiaratamente neofascista Forza Nuova, creata nel 1997 da Roberto Fiore e Massimo Morsello, dopo l’esperienza universitaria sotto il nome di Lotta Studentesca, si è voluta confrontare con le urne: alle elezioni del 2008 ha racimolato appena lo 0,3% di voti e, quando ci ha riprovato nel 2019, non è andata oltre lo 0,7%. Stiamo parlando tutto sommato di meno di 200 mila voti. Anche qui, insomma, niente di minaccioso per la nostra democrazia. È pur vero che, a livello internazionale, Forza Nuova fa parte di Alliance for Peace and Freedom, dove vivacchiano la greca Alba Dorata, il Partito Nazionaldemocratico di Germania, la spagnola Democracia National. Ma tutte queste forze di ultra destra, anche messe insieme, difficilmente raggiungerebbero percentuali a due cifre o tali da far pensare a una vera «ondata» di estremismo di destra in Europa.

Giorgia Meloni si è trovata in una situazione di grave imbarazzo a causa loro quando, nell’ottobre 2021, un gruppo di energumeni usi a fare il saluto romano ha assaltato la sede storica della Cgil a Roma; tra loro, infatti, sguazzavano membri o simpatizzanti di Forza Nuova, e anche di Casapound. Il fatto, che cadeva il giorno prima dello spareggio elettorale per le comunali a Roma, Torino e Trieste, ha provocato una reazione tanto scontata quanto generale, suggellata da una grande manifestazione nella capitale. Risultato: le destre sono state sconfitte in tutti questi Comuni. A riprova del fatto che non c’era (e non c’è) in Italia un problema di «assalto alla democrazia» o di imminenti marce su Roma, semmai i segni del dilagare dell’inciviltà e del teppismo di strada. Che in strada era e lì resta confinato.

Lo stesso dicasi per i saluti romani ad Acca Larentia, Roma, dove questo 7 gennaio si è svolto un raduno di centinaia di fascisti, per commemorare l’omicidio di tre giovani missini nel 1978. Un caso a dir poco marginale e a tratti ridicolo dove i rigurgiti dei nostalgici del Ventennio si sono esauriti in una mezz’ora, che tuttavia ha trovato uno spazio e un’eco spropositati sulla stampa nazionale.

Nulla, infatti, c’entra tutto ciò Fratelli d’Italia e con il governo in carica, se non altro perché tale manifestazione si svolge ogni anno a partire dal 1979 secondo le medesime modalità. Inoltre, anche considerando il numero dei partecipati e i relativi voti potenziali da far confluire verso l’estrema destra, siamo ancora nel territorio dello zero virgola.

Dunque, non si comprendono l’allarme e tantomeno le preoccupazioni di quanti – in Italia come all’estero – gridano al «pericolo fascista» e all’avanzata delle destre: posto che le destre in un sistema democratico hanno piena titolarità ad avanzare, non è neanche questo il caso.

Eppure, finanche il Washington Post e il New York Times si sono scomodati per tentare di incendiare il dibattito italiano. «Fratelli di Italia non è un movimento fascista, come la carismatica leader dell’estrema destra italiana Giorgia Meloni insiste a ripetere. Ma non sono neanche non fascisti» scriveva nell’estate 2022 il celebre quotidiano statunitense, corroborato da un precedente articolo del New York Times che definiva il futuro dell’Italia «desolante» e il partito di Giorgia Meloni «pericoloso per la democrazia».

Eppure, mentre in Italia l’ultima marcia sui palazzi del potere da parte di soldataglie fasciste risale all’ottobre del 1922, invece un assalto armato al Congresso americano da parte di migliaia di facinorosi di destra si è svolto non un secolo fa, ma nel gennaio 2021, quando il presidente Trump – che anche grazie alle destre estreme è diventato presidente – ha rifiutato di riconoscere il voto democratico e rischiato di dar vita a una guerra civile negli Stati Uniti.

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Luciano Tirinnanzi