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Politica

Se l'Europa sposa la guerra

A un anno dallo scoppio della guerra Russia - Ucraina, Nona Mikhelidze, analista dell’Istituto Affari Internazionali di Roma, racconta gli scenari possibili del conflitto in corso.

Siamo già arrivati al primo anniversario, ma non ancora a un tornante della storia o a una svolta significativa sulla guerra. Un fatto che prelude all’intensificazione degli sforzi bellici anziché ad accordi di pace. Le forze che si scontrano con furia devastatrice non riescono a prevalere davvero le une sulle altre. Kiev si difende bene ma le forze armate russe, che hanno dato inizio all’invasione, in queste ore hanno iniziato ad ammassare altre centinaia di migliaia di soldati nei punti di maggior attrito, preparandosi a quella che molti predicono sarà la «campagna di primavera». Il che da un lato non fa che aumentare l’incertezza sugli esiti del conflitto, e dall’altro allinea le cancellerie europee e le obbliga a prendere posizioni sempre più nette.

Anche perché dal modo in cui l’Europa risponderà all’aggressione russa dell’Ucraina si determinerà il futuro equilibrio dell’ordine globale. E se si osserva in queste settimane un crescendo di solidarietà e forniture di armi a Kiev, restano ancora molte le voci contrarie al prosieguo delle ostilità per fermare Mosca. Di certo, è così per la popolazione italiana, che si domanda a che punto sarà la guerra in Ucraina a un anno da oggi? Quali saranno i confini disegnati dalla politica e difesi dalle armi?

Lo abbiamo chiesto a Nona Mikhelidze, analista dell’Istituto Affari Internazionali di Roma (IAI), a margine degli interventi di Putin e Biden sullo stato dell’arte del conflitto. Di origine georgiana, Mikhelidze ha diretto il Programma Eurasia dello IAI e oggi è responsabile di ricerca. I suoi interessi professionali abbracciano da sempre la politica europea di vicinato e la risoluzione dei conflitti nel Caucaso meridionale, così come la politica estera russa post-sovietica. Il che ne ha fatto un punto di riferimento in Italia per chi si occupa o ha interessi nel comprendere meglio le dinamiche dello spazio post-sovietico.

«Quello che noto è che vi sono due narrazioni molto diverse tra loro. Anche fisicamente, vi sono due tipi di comunicazione opposti. Il discorso di Vladimir Putin sullo Stato della Nazione mi è parso peggio delle sessioni del Politburo: con un presidente posizionato in posa ieratica, a distanza siderale dalla sua audience di alti funzionari, che tiene un discorso retrivo di fronte a musi lunghi e volti tirati, dai quali traspare quell’atmosfera da dittatura che ancora definisce l’ambiente politico russo. Se Mosca non riesce ad affrancarsi dallo stile sovietico, dall’altro lato invece osserviamo un Joe Biden che accenna persino una corsetta prima di prendere parola all’ombra del Castello di Varsavia, circondato da una folla di bambini, che poi corrono a salutarlo festanti. Il senso della libertà è tutto qui: la sua presenza si percepiva forte in Polonia, mentre la sua assenza a Mosca era palese. Poi ci si chiede perché e da cosa fugga l’Ucraina…»

Da cosa fugge, esattamente?

Basta analizzare i contenuti del discorso di Putin per comprendere perché l’Ucraina intenda andare verso un mondo più libero»

Putin si sente ancora forte, e ha ostentato sicurezza

Ciò che si è colto con maggior evidenza a mio parere è che la carta che aveva da giocare, quella dell’imprevedibilità, non è più nel suo mazzo. Putin ha praticamente rispolverato le medesime cose che va ripetendo da anni, senza aggiungere nulla di significativo o di nuovo. Ce le aveva già propinate un anno fa, il 21 febbraio, quando ha riconosciuto l’indipendenza delle Repubbliche di Donetsk e Luhansk. E le ha ripetute ancora alla vigilia della guerra. Soprattutto, però, ha parlato molto più di Occidente che non dell’Ucraina. Anzi, Putin non ha voluto neanche menzionare l’Ucraina come soggetto ma soltanto come aggettivo, a voler sottolineare che neanche esiste un Paese con quel nome. E nel parlare di ingratitudine di fronte all’assemblea ha portato l’esempio proprio dell’Italia, dicendo “li abbiamo aiutati durante la pandemia e guardate come ci hanno ripagato”. Ha citato l’Occidente inteso in senso collettivo ma poi ha menzionato specificamente l’Italia, curioso no?

Quale significato può avere?

Sembrava volesse presentare il conto. Certo, ricordiamo tutti che all’epoca [del governo Conte, ndr] accadde qualcosa di insolito. Forse dovremmo riavvolgere il nastro per capire meglio

Di là dai messaggi trasversali e dalle minacce putiniane, la guerra prosegue. Le trattative in corso potranno cambiare lo status quo?

Al momento non c’è nessuna trattativa, intesa nel vero senso del termine. Solo sullo spazio mediatico italiano si è paventata l’ipotesi di una proposta cinese per una soluzione “alla coreana” del conflitto. La cosa mi ha meravigliata

Per quale motivo?

La Cina non proporrebbe mai qualcosa che non stia bene anche ai russi. Quindi quello che sta bene ai russi, come potrebbe funzionare per gli ucraini e di conseguenza per gli occidentali, visto che l’Occidente aiuta l’Ucraina? Ritengo inoltre che dobbiamo liberarci da questa proiezione colonialista, dove all’Ucraina non è riconosciuta una soggettività propria e un’indipendenza nelle decisioni. Vorrei far notare che non siamo più nella Guerra fredda, quando le decisioni venivano prese dietro le quinte e chi si trovava oltre la Cortina di ferro viveva in un mondo chiuso dove niente era dato sapere»

Neanche in Occidente si sapeva davvero molto delle decisioni prese a livello internazionale.

In ogni caso quel mondo non c’è più, siamo in una realtà ben diversa, tecnologica, digitalizzata, dove seguiamo la guerra in diretta. Pertanto, non è proprio possibile tornare indietro

Proviamo allora ad andare avanti. Cos’è emerso dalla conferenza di Monaco sulla sicurezza? Era un appuntamento cruciale per discutere il sostegno a Kyiv e definire l’ordine internazionale di domani.

Uno dopo l’altro, abbiamo visto il ministro della difesa tedesco dire che l’Ucraina deve vincere la guerra. Poi la ministra degli Esteri tedesca affermare che l’Europa rigetta il concetto di cessione di territori in cambio di pace, perché questo non porterebbe a una pace giusta e durevole. Quindi, il Segretario di Stato americano Blinken sostenere che si può vincere la guerra. Infine, il presidente francese Macron dichiarare che l’imperialismo e la guerra coloniale russa devono fallire. Senza contare che è la prima volta nella storia che un presidente Usa va in una zona di guerra dove non ci sono le truppe americane a proteggerlo a dire che questa è una lotta per la libertà, aggiungendo che gli Stati Uniti non permetteranno che Putin ottenga la vittoria sull’Ucraina. Si tratta di posizioni nette, che non lasciano spazio a incertezze».

Quindi, nessun piano cinese o terzo potrà congelare il conflitto?

Dopo Monaco, e specialmente dopo queste dichiarazioni, penso sia impossibile accordarsi alle spalle di Kiev, così come decidere di non fornire loro più armi per costringerli ad accettare un accordo di pace. Non sono ottimista neanche sul piano cinese. A Monaco il ministro degli Esteri Wang Yi ha semmai sottolineato il rispetto dell’integrità territoriale e la sovranità dei Paesi, il che è un principio molto importante per la Cina stessa. Mi avrebbe sorpreso una proposta di pace in contraddizione con questo principio. Secondo il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, comunque, durante la visita di Wang a Mosca non si sarebbe discusso di alcun piano di pace. Ho la sensazione che la Cina abbia altri interessi e questioni da discutere col Cremlino. Penso inoltre che Pechino non abbia modo di influenzare Putin, e credere il contrario è un po’ esagerato. Così come è esagerato pensare che Biden possa influenzare Zelensky al punto da convincerlo a cedere dei territori.

Di certo, non può fare molto l’Italia in tal senso…

Il governo italiano sulla vicenda ucraina si sta muovendo nella giusta direzione, e questo è un merito specifico di Giorgia Meloni: è solo grazie a lei se siamo compatti con il resto d’Europa, non certo grazie alle altre anime della coalizione, da cui un giorno sì e uno no provengono discorsi stravaganti sulla guerra. Mentre va dato atto a Meloni di aver mantenuto una coerenza nel sostenere Kiev anche quando era all’opposizione, e dunque a maggior ragione adesso. Già in campagna elettorale aveva sostenuto che se anche l’Italia si fosse dissociata e avesse smesso di fornire il proprio supporto all’Ucraina, questo non avrebbe cambiato l’andamento della guerra. L’Occidente sarebbe andato avanti comunque, mentre l’Italia sarebbe stata marginalizzata. Quindi, la sua linea di governo dimostra pragmatismo

Insomma, un anno di guerra è ormai passato, sic transit gloria mundi. Dove saremo invece il prossimo 24 febbraio?

Io penso che verso l’estate potremo conoscere meglio verso quale direzione va la guerra. Non è possibile prevedere quando finirà la guerra, ovviamente. Ma giunti all’estate alcune cose emergeranno certamente in maniera più chiara di adesso

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Luciano Tirinnanzi