Renzi Matteo Renzi
Matteo Renzi (Ansa)
Politica

L'esordio senza botto di Renzi

La Rubrica - Come Eravamo

Da Panorama del 18 dicembre 2013

Gli avremmo concesso i canonici 100 giorni, che non si negano a nessun capo di governo fresco di vittoria alle elezioni. Tutto il tempo di consumare la luna di miele, digerire gli effluvi del successo, metabolizzare il nuovo ambiente e prenderne le misure. Perfino in questo momento (un momento atroce, in cui l’Italia ha un disperato bisogno di fare in fretta) avremmo accuratamente e caritatevolmente evitato di dare subito il tormento a Matteo Renzi. Ci saremmo messi lì buoni buoni ad ascoltare le mirabolanti ricette, ad attendere i primi risultati del suo impegno di vero king maker dell’esecutivo, a ingollare altri pasticconi di «sogni&retorica», prodotti tipici della vecchia e collaudata Leopolda. Insomma tutto, pur di vedere finalmente applicato al governo immobile di Enrico Letta il rivoluzionario precetto di Galileo: «Eppur si muove!»

E invece che cosa ci combina Matteuccio nostro? Niente.

Nel senso che dopo aver intimato di qua e di là che «belli miei, addavenì il 9 dicembre e vedrete...», che «dopo l’8 dicembre cambierà tutto, ma proprio tutto», che «il giorno dopo le primarie, se vinco io, il governo o fa come dico io o va a casa», beh insomma, dopo avere promesso e minacciato sfracelli, alla fine non è successo niente. Intendiamoci: nessuno s’aspettava dopo il trionfo renziano, spacciato da molti suoi cantori come la più grande vittoria elettorale di tutti i tempi, di vederlo nelle vesti di Giove Soter, salvatore di tutta l’umanità; ma era lecito aspettarsi che somigliasse quantomeno a Giove Apòmuios, «cacciatore di mosche». Macché. Per dirla col Poeta, «elli avea del cul fatto trombetta». E ci siamo capiti.

Insomma, Renzi ha avuto tutto il tempo per preparare la sua scossa al Paese. Non dico un programma dettagliato, ma almeno una lista di quattro cose da fare subito non poteva metterla giù? Ci saremmo aspettati un Renzi gagliardo e non supponente presentarsi da Letta, a Palazzo Chigi, con la lista della spesa, con una terapia improcrastinabile per dare finalmente uno shock al governo della stabilità cimiteriale. Invece niente, zero tagliato. «Se ne riparla a gennaio» hanno convenuto i due ex democristiani.
A gennaio? Ma sì, dopo le feste, perché tanto di tempo ne abbiamo. Con l’Italia che dà pericolosissimi segnali di deriva sociale (vedi i forconi e le altre manifestazioni di protesta figlie del degrado e della disperazione), come si fa a dire «se ne riparla a gennaio»? E poi, quando arriverà gennaio, reciteremo la tiritera su che cosa è prioritario e che cosa no, inizieremo i defatiganti esercizi contabili col ministro Fabrizio Saccomanni, il quale puntualmente ci spiegherà che «no, l’Europa non lo consente, non si può fare»? Manco il tempo di cominciare e già il «rottamatore» rischia di finire triturato negli ingranaggi della politica vecchissima. Come spiegarsi altrimenti alcune scelte della sua segreteria, in dipartimenti cruciali come il lavoro, di persone certamente perbene ma di sicuro già contaminate dalla peggior malattia della politica italiana, e cioè dal trasformismo, pur essendo ancora minori di anni 40?

Diciamola tutta: Matteo Renzi accucciato davanti a Letta a Palazzo Chigi nel tardo pomeriggio del 9 dicembre è l’immagine della vecchia politica con i suoi riti bizantini, inutili e dannosi. Peccato.

C’eravamo illusi sulla possibilità di un colpo d’ala e ci siamo ritrovati con il «nuovo» leader pronto a benedire vecchie e nuove intese, vecchi e nuovi inciuci. C’eravamo illusi che il voto sul futuro del governo Letta rappresentasse un’occasione irripetibile per dare un colpo di frusta a un premier ormai imbolsito dai suoi stessi giochi di potere e ci ritroviamo con la fiducia degradata ad atto di «pura formalità». Altro che rottamazione, altro che cambiamento. E quel «se ne riparla a gennaio» per i dettagliucci legati al programma di governo (il 9 dicembre Renzi avrebbe dovuto avere sotto il braccio minimo 10 disegni di legge) sono la plastica rappresentazione del fatto che il nuovo segretario è partito col piede sbagliato. Può rimediare, per carità. Vediamo se ne sarà capace.


Le 8 battaglie di Matteo

  • La ristrutturazione del Pd
No problem, il fedelissimo Luca Lotti ha in pugno l’organizzazione: via forum e dipartimenti, alleggerimento dell’apparato, riduzione delle spese. Possibile l’addio alla (troppo costosa) sede di via del Nazareno per traslocare in via Tomacelli.

  • Ricontrattazione degli accordi con l’Unione
Non è materia su cui il segretario del Pd possa intervenire direttamente. La palla è in mano al governo, e dunque a Enrico Letta, che incasserebbe ogni eventuale gloria in proposito.

  • Riforma elettorale
Di elezione del sindaco d’Italia, tutela del bipolarismo, doppio turno, i grillini non vogliono nemmeno sentir parlare; idem Forza Italia. L’unica (cauta) apertura è venuta da Angelino Alfano. Ergo: mancano i numeri.

  • Trasformazione del Senato in una camera (non elettiva) delle regioni
A parole tutti, nel Pd e fuori, sono d’accordo, ma le riforme costituzionali hanno tempi lunghi. Forza Italia potrebbe confermare il voto per ridurre i tempi per le riforme alla Costituzione, salvando il risultato.

  • Taglio delle spese della politica
Dal dimezzamento delle indennità parlamentari all’abolizione delle province, alla semplificazione burocratica: qui è più facile fare asse coi grillini e passare subito all’incasso. La partita delle riforme istituzionali è in mano a un’altra renziana doc: Maria Elena Boschi.

  • Riforma della giustizia
Nel programma renziano il Pd deve proporre «progetti» da esaminare con circoli, amministratori, parlamentari. Traduzione: non abbiamo troppa fretta. Oltretutto, bisognerebbe discutere alcune storiche richieste di Berlusconi come la separazione delle carriere per i magistrati. Ma il popolo del Pd (renzianamente: «partito della legalità») accetterebbe un’alleanza col Cavaliere condannato e decaduto?

  • Semplificazione del mercato del lavoro
Include valorizzazione e rilancio dei centri per l’impiego, ripensamento del ruolo dei sindacati e riforma della rappresentanza. Vorrebbe dire rompere col mondo sindacale, Cgil in testa; e già i rapporti con Susanna Camusso non sono lietissimi. Renzi e il Pd si possono permettere uno strappo?

  • Civil partnership per gay e lesbiche
Dal Pd a Sel, da M5s a un pezzo di Forza Italia (asse Bondi-Galan), in Parlamento c’è una sensibilità trasversale sul riconoscimento delle omocoppie. Una legge sarebbe a portata di mano, ma finora Renzi, cattolico ed ex scout, ha fatto il pesce in barile.

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Giorgio Mulè