Senato, tutti i numeri di Letta (e quelli di Renzi)
Ansa/Matteo Bazzi
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Senato, tutti i numeri di Letta (e quelli di Renzi)

Il nuovo presidente del Consiglio parte da una base di 174 voti di fiducia (con un quorum di 161), alla quale se ne potrebbero aggiungere altri 10/12

Mentre le agenzie battono che le dimissioni di Enrico Letta sono irrevocabili e che non ci sarà "nessun passaggio parlamentare", l'attenzione di tutti si concentra proprio sul Parlamento, anzi - per la precisione - sul Senato, vero campo minato per la tenuta del prossimo governo di Matteo Renzi. 

Andiamo di pallottoliere. Il risultato più brillante incassato in termini di fiducia da Enrico Letta al Senato risale a dicembre del 2013. Subito dopo la scissione del PdL la Camera alta vota la fiducia alla nuova maggioranza che dalle larghe passa alle piccole intese.

Il presidente del Consiglio riceve 174 voti, 13 in più del numero magico necessario (quorum) che è di 161 senatori. Questi sono i numeri reali, ma si possono conteggiare anche i voti degli assenti giustificati (i 5 senatori a vita), arrivando a 179. Restiamo comunque a 174 voti e vediamo da dove provengono.

107 voti sono del Pd (i senatori piddini sono 108, ma Piero Grasso è presidente del Senato e non vota). A questi si aggiungono i 31 voti di uomini e donne del Nuovo Centro Destra (Ncd) di Angelino Alfano, fuoriusciti dal Pdl (oggi Forza Italia), 7 senatori di Scelta civica di Mario Monti e 12 parlamentari del gruppo Per l'Italia (che si sono distaccati da Scelta Civica). Poi, ci sono 10 senatori delle Autonomie, 4 fuoriusciti grillini (Anitori, De Pin, Gambaro e Mastrangeli) e 3 senatori di Gal (Gruppo Grandi Autonomie e Libertà). A questo numero si potrebbero aggiungere i 5 senatori a vita (Mario Monti, Elena Cattaneo, Carlo Rubbia, Carlo Azeglio Ciampi e Renzo Piano). E saremmo a 179.

Il nuovo governo di Matteo Renzi partirebbe da qui, dal numero 174, ma potrebbe alzare l'asticella dei consensi al Senato, raggranellando altri voti da nuove provenienze. L'obiettivo del presidente del Consiglio in pectore è di raggiungere quota 186-190 senatori e potrebbe farcela. Come? Grazie all'aiuto di quei partitini a cui a gennaio lo stesso Renzi voleva togliere "potere di ricatto" attraverso una nuova legge elettorale.

In pista scenderebbero alcuni senatori di Sinistra Ecologia e Libertà (Sel), non senza creare una spaccatura nel partito guidato da Nichi Vendola. Sarebbero tra 4 e 7 i senatori di Sel pronti a sostenere un esecutivo guidato dal sindaco di Firenze. A questi si potrebbero unire una decina di dissidenti del Movimento 5 stelle, che già sbuffano per il guinzaglio di Grillo e Casaleggio e che potrebbero riabbracciare gli ex compagni del movimento che già hanno sostenuto il governo del fu Enrico Letta.

Già, e fin qui il pallottoliere e la matematica. In potenza il nuovo governo Renzi che nascerà nelle prossime ore potrebbe avere una fiducia più ampia di quella di Letta, ma nella politica spesso i numeri non tornano. E' vero che Sel potrebbe dare una mano e sostenere il neonato esecutivo, ma già ha messo delle condizioni, che vanno nella direzione dei diritti per i gay e le coppie di fatto e poi la legalizzazione delle droghe leggere, l'eutanasia e il fine vita. Storici cavalli di battaglia del partito del governatore della Puglia. 

Dall'altra parte, però, lo "zoccolo duro" della maggioranza al Senato (passata e futura) passa per i 31 voti dei membri di Ncd e Angelino Alfano ha già messo le mani avanti: Renzi va bene, ma basta che il nuovo governo non sia di sinistra. Come a dire, se entrano quelli di Sel noi non ci stiamo. 

A conti fatti, quindi, Matteo Renzi parte con un consolidato di 174/179 voti al Senato, ma se vuole farli crescere dovrà trovare una via politica per accontentare proprio quei "partitini" che avrebbe voluto depotenziare solo qualche settimana fa.

Insomma, volente o nolente, il suo esecutivo sarà retto dai "partitini", che al Senato sono fondamentali. E ci si chiede, poi, perché questi partitini (tutti, di destra, centro e sinistra) dovrebbero votare una riforma suicida della Camera Alta che li cancellerebbe tutti col bianchetto. Ma questa è un'altra questione, a cui Renzi penserà (se ancora ne avrà voglia) non appena si sarà insediato a Palazzo Chigi.

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Anna Mazzone