Giuliano Urbani, il nome giusto per il Quirinale?
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Giuliano Urbani, il nome giusto per il Quirinale?

Ritratto dell'ex ministro della Cultura tra i nomi del centrodestra per succedere a Napolitano

Voleva realizzare la rivoluzione liberale con Giovanni Agnelli, ma poi convinse Silvio Berlusconi a realizzarla per conto dell’Avvocato.

Professore, colomba, volto umano... Giuliano Urbani? «Il migliore dei lottizzati del centrodestra». Lo disse per celia e alterigia egli stesso come usano fare i professori e dicendolo disse la verità. Lo etichettarono come intellettuale prestato al centrodestra, in realtà fu Urbani a “inventarselo” quel centrodestra insieme a quella schiera la “pattuglia dei professori” la chiamavano, di cui Berlusconi ha sempre menato vanto: i vari Luciano Coletti, Saverio Vertone, Pietro Melograni e Marcello Pera, chi scomparso e chi allontanatosi con circospezione, malinconia e cariche istituzionali come onorevole esilio.

E fu sempre Berlusconi a confermare che quel professore che aveva studiato con Norberto Bobbio alla fine lo «convinse a strappare alla sinistra la rivoluzione liberale». Era la mattina del 30 giugno del 1993 quando Urbani uscì dalla sua villa di Arcore e fu Bruno Vespa a ricordarlo: «Berlusconi chiamò il responsabile marketing editoriale della Finivest, Gianni Pilo, e gli disse “c’è il rischio di fare un partito in quatto e quattr’otto».

Nome di alto profilo, buono anche per il Quirinale ha pensato il centrodestra che adesso, come riportano le cronache, lo inserisce nella lista dei “quirin-abili”, quella lista da sempre preclusa a quella parte di mondo salvo eccezioni che riportano alle eminenze grigie alla Gianni Letta.

Urbani appartiene proprio a quella categoria che sa parlar ragionato e che non ha bisogno di adulare per essere rispettato. Uomo buono per ogni istituzione che sa di cultura salvo “incomprensioni”.

Dunque Urbani al ministro della Cultura nel 2001 appunto, ma anche alla Rai come consigliere d’amministrazione nel 2006, Urbani al vertici di musei, Urbani dal centro Einaudi all’associazione per il Buongoverno di Forza Italia.

A Berlusconi dava ripetizioni «piccole tecniche elettorali», disse faceto ad Antonello Caporale, ma fu anche ministro della Funzione Pubblica nel primo governo di Forza Italia. In realtà voleva il ministero degli Interni o tutt’al più degli Esteri dissero le malelingue. Di certo si sarebbe visto bene alla guida del governo al posto di Lamberto Dini quando il governo cadde. Ma che farci. Lo hanno accusato di aver fatto troppe nomine a sinistra, lo rimproverò la destra, Vittorio Sgarbi fece di più…"Ha favorito la sua amante", gridò.

Dove l’amante starebbe per l’attrice Ida Di Benedetto, allora produttrice cinematografica. E mai professore fu più corteggiato dai rotocalchi come Urbani, tanto da ingaggiare una lotta a colpi di querele con il settimanale “Oggi”, che ne aveva fatto un vip sibarita.

Una, no, addirittura due amanti, gliene affibbiò la stampa con tanto di pubblicazione di lettera della prima compagna, tale (siamo a metà tra la diceria e il possibile) Fatima Milica Cupic «sono stata un’amante, una sorella, una mamma di cui si poteva fidare ciecamente». Diciamo quasi ciecamente, dato che nel momento in cui infuriò la guerra Sgarbi-Urbani (mai la politica fu un intruglio di dannunzianesimo kitsh come in quell’occasione) la dichiarata amante fece la sua apparizione nel dopo festival messo su dallo stesso Sgarbi che la utilizzò come prova regina o meglio come figurante nel circo allestito dal critico d’arte dalla scurrilità facile.

Pivot di basket, amante della samba («ho fatto lezioni in Brasile»), non per questo meno professore con momenti d’invettiva nei confronti della sua creatura, Forza Italia nel frattempo Pdl,  addirittura definita «aliena» perché ci «vogliono leader autorevoli. Autorità deriva dal latino augeo, accrescere».

Critico, ma in disparte a metà tra la delusione di un Marcello Pera e ipotesi di abbandono come Beppe Pisanu. Ma sempre con una fede incondizionata nel “carisma”.

«Senza Berlusconi il Pdl non esiste», non per questo indisposto verso una convergenza tra destra e sinistra tanto da benedire l’esperimento Monti, momento fatale dettato dalla storia: «Sia Bersani che Berlusconi devono garantire i voti in parlamento a una politica imposta dalla storia». L’equilibrio lo ha dimostrato perfino quando dovette parlare del nuovo segretario Angelino Alfano, il segretario più vilipeso dalla stessa destra: «E’ il migliore tra i suoi».

Solo una volta dovette rinunciare ai suoi libri, alla dolcezza dello stile, del savoir faire. Si dirà: lo imponeva la Repubblica. Un siparietto improbabile dovette risultare quello con Umberto Bossi che se lo ritrovò a cena nel 2001 per concordare delle riforme istituzionali.

E dovette soffrire non poco quando in uno scatto di bile, il suo premier lo etichettò con un infelice «quello stronzo di Urbani». Berlusconi gli chiese scusa, disse Urbani, ma si sa che quando si parla di televisione il bon ton salta e di televisione si discuteva in quella circostanza. Finì così in un reality televisivo a colpi d’intercettazioni. «Non abbiamo difeso il compagno Agostino Saccà…», ebbe a dire al telefono quando si ritrovò consigliere Rai, intercettazioni che lo stesso Urbani chiosò come «spazzatura napoletana».

Ecco, gli ha procurato più guai la televisione che la politica, confermando l’adagio che il mezzo mal si accorda con la cultura universitaria. Scomodo incidente che coinvolse non solo Urbani, ma altri consiglieri della televisione di Stato, fu l’inchiesta del 2006 sugli “stipendi d’oro” dei manager (per inciso quello di Alfredo Meocci) costata una sanzione di 14 milioni di euro per l’incompatibilità di Meocci. Ha preferito l’esilio volontario, il farsi da parte per essere sopra la parte, gesto che lo accomuna a Marcello Pera, fino a oggi, quando il suo nome torna in cima nella lista che il centrodestra propone e che poi sta alla base di una ipotetica trattativa, smentita da tutti, ma invocata da tanti.

Probiviro del partito, tuttavia dimenticato (scrisse una lettera di tre pagine quando venne convocato da Alfano che lo voleva tra i garanti) anche se pochi mesi fa parlava come se fosse candidabile… «mancanza di senso dello stato, troppi dirigenti trasandati», già una dichiarazione di «presentabilità» prima degli impresentabili di Lucia Annunziata. Quel “presentabile” di Giuliano Urbani.

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Carmelo Caruso