carro armato russo
(Ansa)
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L'Ucraina avanza nella guerra contro la Russia dimenticata dal mondo

Negli ultimi mesi, tra il conflitto tra Israele e Palestina e gli attacchi terroristici di Hamas, la guerra in Ucraina sembra essere già stata dimenticata. Eppure di scontri ne stanno accadendo sul campo

Già dimenticata la guerra in Ucraina? Eppure, di cose ne stanno accadendo sul campo, sia pur nell’indifferenza generale, diplomazia compresa. Kiev ad esempio avanza nel Kherson, dove alcuni corpi speciali hanno oltrepassato il fiume Dnipro e si sono attestati vicino a Pidstepny, 20 chilometri a est di Kherson e a circa 3 dal Dnipro stesso, dove il gruppo di intelligence Drg ha preso il controllo di un tratto della strada che collega i villaggi di Poima, Cossack Lagery e Krynyk.

Poca cosa, si dirà. Ma in verità ciò dimostra quantomeno la vitalità delle truppe ucraine, che sono avanzate anche a sud di Bakhmut e a ovest della regione di Zaporizhzhia. E inoltre hanno compiuto un’avanzata a est di Andreevka (area di Bakhmut), mentre continuano a cercare di sfondare a ovest di Robotyne (distretto di Zaporizhzhia).

Per comprendere l’intensità di questi scontri e dare un ordine di grandezza, basti dire che nelle ultime 24 ore l’esercito russo avrebbe perso – secondo Kiev – almeno 800 soldati, portando così il conto dei miliari russi uccisi nel conflitto a quota 296.310. Sarebbero stati distrutti anche 44 sistemi di artiglieria e 28 cannoni russi. Inoltre, la flotta russa nel Mar Nero – sempre secondo fonti ucraine – starebbe gradualmente abbandonando la Crimea, o quantomeno ripiegando a Oriente vista l’impossibilità di sottrarsi al tiro dell’artiglieria nemica.

A Kupiansk e Avdiivka, invece, sarebbero in avanzata le forze di Mosca: per bocca dello stesso presidente ucraino Zelensky, quelle «sono battaglie dure». Il Cremlino continua a bombardare indiscriminatamente tutto il Paese, e alcuni missili hanno sfiorato la centrale nucleare di Khmelnytsky, danneggiando le finestre degli edifici amministrativi e dei laboratori della struttura; mentre avrebbero respinto alcuni dei prodigiosi missili Atacms forniti dagli Stati Uniti, finora considerati non intercettabili.

Inoltre, questa mattina (26 ottobre 2023) i cittadini di San Pietroburgo e di varie altre località hanno visto balenare nel cielo delle strane scie bianche: temendo un attacco contro la Russia, in molti hanno chiesto informazioni e condiviso video dell’evento, che sono diventati subito virali. È dovuto intervenire il Cremlino a spiegare che, in realtà, si è trattato di un’esercitazione: le forze strategiche russe hanno simulato un «massiccio attacco nucleare in risposta a un attacco atomico nemico». Il test riguardava missili balistici intercontinentale (lanciati da un sottomarino in navigazione nel mare di Barents) e missili da crociera attivati da bombardieri Tu-95.

La guerra come un macabro show

Insomma, dal fronte ucraino giungono notizie non proprio di secondo piano. Notizie che, tuttavia, scompaiono di fronte al dramma parallelo della Striscia di Gaza, dove una platea di osservatori internazionali - sempre più assetata di sangue e azione - si divide già in tifoserie pro o contro Israele, e quasi vorrebbe scommettere sul giorno e l’ora esatta in cui l’esercito di Gerusalemme entrerà in forze a Gaza, come se stessimo tutti osservando solo l’ultimo episodio di un’attesissima serie televisiva.

Lo strabismo internazionale cui la politica e i media contemporanei ci hanno ormai abituato tende notoriamente a spettacolarizzare tutto, persino la morte e la guerra. E, come per una fiction, quando ci si è ormai assuefatti o quando l’informazione è satura di notizie su un determinato argomento, si cerca qualcosa di più «avvincente» altrove: si cambia simbolicamente canale.

Così sta accadendo per la guerra in Ucraina, in prima pagina e al centro di ogni dibattito fino a che non è scoppiata la - grave, gravissima - crisi di Gaza. Per quanto i riflettori si siano spenti sul quadrante russo, però, quella parte di mondo non solo continua a essere in fiamme. Ma in effetti c’è un filo conduttore neanche troppo sottile che vede, ad esempio, Mosca improvvidamente allineata al mondo arabo (Iran in testa), in spregio alla vicinanza di lunga data tra il popolo israeliano e il popolo russo.

Vladimir Putin e Bibi Netanyahu si sono sempre rispettati e si pensava che fossero vicini e solidali l’uno con l’altro, specie dopo che l’assetto dell’attuale Medio Oriente è passato per le loro mani, in ordine al contenimento dei jihadisti dell’Isis nella regione (dalla Siria al Libano), dove i rispettivi governi si sono coordinati a lungo per non intralciarsi a vicenda nel respingere il Califfato.

Invece, il Cremlino si è già apertamente schierato dalla parte di Hamas, nonostante centinaia di migliaia di cittadini russi risiedano tuttora in Israele, il quale da parte sua comprende circa 1,5 milioni di cittadini nativi di lingua russa. E nonostante oltre 100 mila cittadini israeliani vivano ancora in Russia, 80 mila dei quali residenti nella capitale russa.

L’asse anti Israeliano si riunisce a Mosca

C’è di più: il 26 ottobre Vladimir Putin ha ricevuto una delegazione di Hamas guidata da Mousa Abu Marzouk, alto dirigente politico dell’organizzazione terroristica. La notizia è stata confermata dallo stesso ministero degli Esteri russo. Ma, quel che è peggio, «casualmente» era presente anche il vice ministro degli Esteri iraniano, Ali Bagheri Kani, a Mosca per incontrare il suo omologo russo, Mikhail Galuzin.

Il Cremlino, in evidente difficoltà sul terreno di scontro con l’Ucraina, non può sconfessare chi sostiene Hamas, perché sono gli stessi soggetti che gli forniscono le armi per continuare a combattere gli ucraini: Teheran su tutti. Né Vladimir Putin può fare a meno degli altri sodali di Hamas: gli Hezbollah del Libano, ma soprattutto la Siria. Attraverso il porto siriano di Tartous, infatti, la flotta russa può muoversi tranquillamente nel Mediterraneo e il presidente Assad non dimentica che se ancora siede a Damasco, lo deve proprio ai russi. Così come a Putin conviene tenersi amica anche la Turchia di Erdogan che, nonostante sia il presidente di un Paese NATO, si è affrettato a dichiarare il proprio sostegno all’organizzazione terroristica che torreggia su Gaza sin dal 2006.

In definitiva, tutti questi soggetti - Putin, Erdogan, gli uomini di Hamas e gli ayatollah iraniani da una parte; Zelensky e Netanyahu dall’altra - hanno in comune il fatto di avere la guerra alle porte di casa, e al contempo di essere leader sempre più in bilico, consapevoli che quello che stanno vivendo potrebbe essere l’ultimo capitolo della loro storia politica.

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Luciano Tirinnanzi