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(Ansa)
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La sfida di Biden a Putin sull'import energetico

Il presidente americano ha bloccato l'import di gas e petrolio dalla Russia: una mossa che può danneggiare significativamente Putin. Ma, a causa delle sue pregresse misure ambientaliste, la Casa Bianca rischia un cortocircuito politico

Stop all’import di gas e petrolio dalla Russia. Joe Biden ha scelto la linea dura, decidendo di colpire Mosca in un settore particolarmente delicato. “Gli Stati Uniti stanno prendendo di mira l'arteria principale dell'economia russa. Stiamo vietando tutte le importazioni di petrolio, gas ed energia russi”, ha dichiarato martedì il presidente americano. “Ciò significa che il petrolio russo non sarà più accettabile nei porti statunitensi e il popolo americano infliggerà un altro colpo alla macchina da guerra di Putin”, ha proseguito.

Va detto che, con questa mossa, la Casa Bianca potrebbe infliggere effettivamente un duro colpo al Cremlino. Va anche ricordato che inizialmente Biden fosse scettico su una tale opzione: per quanto gli Stati Uniti dipendano considerevolmente meno dell’Europa dall’energia russa, questa mossa farà infatti salire ulteriormente il prezzo del gas. Ciò detto, vari settori del mondo politico americano hanno premuto affinché la Casa Bianca adottasse una tale linea. E’ anche per questo che il presidente ha voluto in un certo senso mettere le mani avanti. “Questo è un passo che stiamo facendo per infliggere ulteriore dolore a Putin, ma ci saranno dei costi anche qui negli Stati Uniti”, ha affermato. Come detto, con questa mossa, Biden colpisce il presidente russo in un settore per lui particolarmente sensibile: il che potrebbe indebolire il Cremlino nel pieno della sua invasione ai danni dell’Ucraina. Dall’altra parte, l’inquilino della Casa Bianca rischia però anche un cortocircuito.

Innanzitutto è bene ricordare che, nel 2020, Biden aveva basato gran parte della sua campagna elettorale su una linea di svolta green. E, proprio in tal senso, una volta entrato in carica, si è premurato di bloccare l'oleodotto Keystone XL, con grande gioia degli ambientalisti. Il problema è che i limiti di questa politica sono ben presto venuti a galla. Un nodo emerse già lo scorso agosto. A causa del prezzo crescente della benzina, Biden esortò l’Opec di aumentare la produzione di petrolio: una richiesta che irritò sia gli ambientalisti che i repubblicani, i quali accusarono il presidente di aver messo a rischio l’autonomia energetica degli Stati Uniti.

Un tema, quest’ultimo, che sta riemergendo con forza. In particolare, a finire nel mirino è stato un recente viaggio di funzionari americani in Venezuela, che aveva l’obiettivo di discutere un eventuale alleggerimento delle sanzioni statunitensi all’export petrolifero del regime di Nicolas Maduro. Un viaggio che non è stato stigmatizzato soltanto dai repubblicani, ma anche da alcuni importanti esponenti dello stesso Partito democratico. “Nicolas Maduro è un cancro per il nostro emisfero e non dovremmo dare nuova vita al suo regno di torture e omicidi”, ha detto il presidente della commissione Affari esteri del Senato, Bob Menendez in una nota. “In quanto tale, mi oppongo fermamente a qualsiasi azione che riempia le tasche degli oligarchi del regime di profitti petroliferi mentre Maduro continua a privare i venezuelani dei diritti umani fondamentali, delle libertà e persino del cibo”. Non solo: per far fronte al problema energetico, la Casa Bianca starebbe intensificando i contatti anche con Arabia Saudita e Iran. Il che pone il problema di una crescente dipendenza degli Stati Uniti da Paesi non esattamente in linea con gli standard democratici occidentali: tra l’altro – paradosso dei paradossi – sia il Venezuela che l’Iran intrattengono storicamente significativi legami proprio con la Russia. E’ quindi in tal senso che i repubblicani hanno buon gioco nell’accusare l’attuale presidente di aver ridotto l’autonomia energetica americana.

Un ulteriore problema riguarda poi il versante transatlantico. A causa della loro maggiore esposizione all’energia russa, i Paesi dell’Unione europea si stanno mostrando molto più cauti sul divieto di importazione di gas e petrolio da Mosca. Lo scorso 7 marzo, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, si è detto infatti contrario all’adozione di una simile misura. Anche in questo caso, pur mutatis mutandis, si scorgono delle scelte miopi fatte in passato. Anziché puntare su una maggiore indipendenza energetica negli scorsi anni, l’Unione europea ha preferito abbandonarsi a una retorica ideologica, con il risultato che, oggi, Bruxelles non può permettersi la linea dura nei confronti della Russia. Tra l’altro, questo disallineamento rischia di rendere non troppo efficace il blocco decretato da Biden: tale provvedimento avrebbe infatti un effettivo senso solo in presenza di un reale compattamente transatlantico.

Ma il problema per l'inquilino della Casa Bianca non è solo geopolitico. I malumori tra i democratici si registrano infatti anche sul fronte dell’aumento dei prezzi. In particolare, il senatore Chris Murphy ha lasciato intendere che i repubblicani starebbero sostenendo il divieto di import dalla Russia con lo scopo di far alzare i prezzi dell’energia e incolpare conseguentemente Biden. Un discorso, questo, che si inserisce nel quadro dell’incipiente campagna elettorale in vista delle elezioni di metà mandato del prossimo novembre.

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Stefano Graziosi