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Perché militarmente non si può far entrare l'Ucraina nella Nato

Standardizzazione della Difesa, capacità di controllo dello spazio aereo e stabilità delle reti dicomunicazione. Tutto ciò che manca a Zelensky per entrare nella Nato, inclusa la pace

Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha difeso la posizione dell'Alleanza atlantica su un'eventuale adesione dell'Ucraina, proprio mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha lamentato la mancanza di una tempistica definita. A parte il probabile ampliamento del conflitto che seguirebbe dal posizionare truppe Nato a contatto di quelle russe, come avevamo preannunciato lunedì lo scopo del presidente ucraino era proprio ottenere un calendario per l’adesione, cosa impossibile fino a quando non ci saranno almeno dei cessate il fuoco e l’inizio di trattative diplomatiche.

“Siamo tutti d'accordo sul fatto che il compito più urgente ora è garantire che l'Ucraina prevalga come nazione sovrana e indipendente in Europa”, ha detto Stoltenberg ai giornalisti dopo il primo giorno del vertice di Vilnius, in Lituania, dove ha spiegato: “Quindi la cosa più importante che possiamo fare è continuare a fornire armi, munizioni e supporto militare, perché a meno che l'Ucraina non prevalga come nazione, come nazione democratica in Europa, non c'è questione da discutere sulle garanzie di sicurezza o l'appartenenza alla Nato”.

Queste sono state anche le parole per le quali Zelensky ha definito “assurda” la mancanza di un cronoprogramma per far parte dell’Alleanza, anche se da più parti ha ottenuto il privilegio, tutt’altro che scontato, di non dover seguire tutta la procedura prevista in questi casi, ma soltanto la metà. Sta di fatto che la parte del processo di adesione riguardante l’organizzazione delle forze armate, qualora il conflitto si chiudesse sarebbe stato ampiamente dimostrato, ma le parole del capo ucraino hanno scatenato l’ira di Washington poiché, come ha anche ribadito lo stesso Stoltenberg, a nessun Paese è mai stato offerto un tale modo per l’adesione, affermando che tutti i candidati devono soddisfare le condizioni previste dai regolamenti della Nato e ottenere il sostegno unanime dei futuri alleati.

Il portavoce, al quale è stato prolungato il mandato di un mese, ha commentato: “Se guardiamo a tutti i processi di adesione che sono stati completati, non ci sono state scadenze per quei processi poiché si sono sempre basati sulla verifica di varie condizioni.” Anche perché la Nato per accogliere l’Ucraina ha intrapreso tre azioni: un programma a più livelli per aiutare la transizione del Paese all'equipaggiamento militare occidentale e fornire assistenza nella ricostruzione del settore della difesa; un nuovo Consiglio Nato-Ucraina in cui le parti si incontreranno alla pari per discutere gli obiettivi strategici; e per ultima la rimozione del requisito del piano d'azione formale per l'adesione all'alleanza che costituisce un lungo e completo esame delle compatibilità militari e civili con i membri dell'alleanza, comprese le procedure anti-corruzione, per poter accelerare il processo di adesione.

E su quest’ultimo non pare proprio scontata la parte dedicata ai risvolti “civili”, intesi come stabilità interna, alla luce della situazione del Donbass e della Crimea. Era dunque ovvio che Zelensky non avrebbe portato a casa il calendario desiderato, così come appare chiaro che le forze ucraine hanno in uso armi di ogni tipo e provenienza di fabbricazione, senza uno standard occidentale se non riguardo alcuni sistemi forniti dai singoli Paesi che della Nato fanno parte. E se Francia e Germania hanno aperto all’invio di nuove forniture militari, specialmente Parigi che potrebbe svecchiare i suoi arsenali mandando a Kiev missili a medio-lungo raggio, la dichiarazione finale della Nato non lascia a Zelensky altri margini di manovra se non quelli di aprire un negoziato: “Saremo in grado di estendere un invito all'Ucraina ad aderire all'Alleanza quando gli alleati saranno d'accordo e le condizioni saranno soddisfatte”.

Delle tre condizioni descritte, quella relativa alla standardizzazione dei sistemi d’arma non riguarda soltanto l’addestramento delle truppe all’uso, alla manutenzione e all’approntamento costante, ma soprattutto alla protezione e all’interazione delle comunicazioni tattiche e delle reti dei dati sensibili. Se sul piano militare, prima del conflitto, la Difesa ucraina faceva ampio affidamento negli arsenali di epoca sovietica, oggi qualsiasi arma disponibile viene usata senza un vero piano di integrazione, utile a consentirne un uso da parte di diversi reparti, mentre sul piano informatico il Paese era già modernizzato e per certi versi ha dimostrato una robustezza delle sue reti maggiore di quella russa.

Ma per allineare la Difesa agli standard Nato ci vorrà tempo e soprattutto organizzazione, cosa impossibile durante un conflitto ad alta intensità come quello in corso. Su tutto, il tempo è necessario anche per potersi dotare di mezzi per il controllo del proprio spazio aereo, come probabilmente avverrà con gli F-16 concessi dagli Usa, ma dei quali ancora non è stata definita la versione. Questi dovranno essere dotati di sistemi di comunicazione occidentali come i “link-16”, detto anche TADIL-J, una rete protetta per lo scambio e la condivisione di dati tattici (testi, foto, filmati e audio) utilizzata dalla Nato ma anche dalle nazioni autorizzate dal Mids International Program Office, l’Ufficio di programma internazionale. Grazie alle sue caratteristiche, velivoli, navi, sommergibili e forze di terra possono scambiarsi i dati del proprio quadro tattico e quindi decidere una strategia condivisa basata sulle stesse informazioni. La gestione del Link-16 non è affatto banale e seppure sia previsto che un terminale possa cadere in mani nemiche, ciò non deve riguardare i codici di accesso rendendo la rete penetrabile dall’esterno.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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