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(Ansa)
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Torna a crescere la tensione in Libia, un pericolo per l'Italia

Cresce l'instabilità in Libia e, con essa, i timori di una nuova guerra civile. Mentre Turchia e Russia mantengono la loro influenza sul Paese, l'Italia deve evitare di farsi estromettere.

La situazione sta tornando a farsi sempre più tesa in Libia. Negli scorsi giorni, vigorose proteste hanno attraversato il Paese, mentre dei manifestanti hanno preso d’assalto la sede della Camera dei rappresentanti a Tobruk. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha lanciato un appello, invitando alla calma. Dall’altra parte, il presidente del parlamento, Aguila Saleh, ha incolpato di quanto avvenuto a Tobruk i sostenitori del regime di Muammar Gheddafi. In tutto questo, le trattative per organizzare le elezioni si sono recentemente arenate, mentre sul Paese incombe la lotta di potere tra due premier rivali, Abdul Hamid Dbeibeh e Fathi Bashagha. Ricordiamo, tra l’altro, che già un mese fa erano esplosi degli scontri tra milizie nell’area di Tripoli.

Ma la crisi non nasce soltanto dalle ben note divisioni interne. Anche il contesto internazionale rischia infatti di acuirla. La Turchia mantiene una notevole influenza sulla parte occidentale del Paese e, appena poche settimane fa, il parlamento di Ankara ha approvato, su proposta di Recep Tayyip Erdogan, di prolungare di altri 18 mesi la permanenza delle proprie truppe sul territorio libico. In tutto questo, la Russia continua ad estendere la propria longa manus sulle aree orientali della Libia, grazie alla presenza dei mercenari del Wagner Group e di miliziani siriani. Ricordiamo che Mosca utilizza questo territorio come trampolino di lancio per irradiare la sua influenza sul Sahel, dove sta guadagnando terreno (soprattutto in Mali). Quello stesso Sahel in cui anche Erdogan sta acquisendo progressivamente peso (grazie alla vendita di equipaggiamento militare). Tra l’altro, sempre nell’Est della Libia, continua a muoversi la figura del controverso generale Khalifa Haftar che, spalleggiato storicamente soprattutto da Russia ed Egitto, ha al momento riconosciuto la premiership di Bashagha, pur nutrendo l’ambizione di candidarsi alle prossime elezioni. Uno scenario, quest’ultimo, fortemente osteggiato dall’Alto Consiglio di Stato libico e dallo stesso Erdogan.

La situazione complessiva risulta significativamente problematica per l’Italia: un’Italia che avrebbe estrema necessità di una stabilizzazione della Libia, per partecipare alla sua ricostruzione, incrementare l’approvvigionamento energetico e fronteggiare lo spinoso dossier dei flussi migratori. A tal fine, sarebbe opportuno che gli Stati Uniti si attivassero per potenziare il fianco meridionale della Nato, conferendo in secondo luogo a Roma un ruolo di leadership in seno a questa cornice. Sulla carta, si tratterebbe di una situazione vantaggiosa per Washington, vista la scarsa affidabilità della Francia (che ha nel recente passato spalleggiato il filorusso Haftar) e della Turchia (che intrattiene ambigui rapporti con il Cremlino). Il problema è che, nelle scorse settimane, Joe Biden – contraddicendo quanto aveva garantito in campagna elettorale – ha mostrato una notevole arrendevolezza nei confronti di Erdogan: un’arrendevolezza dettata probabilmente dal fatto che il presidente americano vuole evitare che il leader turco si sganci dalla Nato.

Un tale quadro è problematico per Roma, che ha invece assoluto bisogno della sponda statunitense per tornare a guadagnare terreno in Libia. Sarebbe quindi auspicabile che Mario Draghi faccia presente a Biden questo elemento, sottolineando che il presidente turco intrattiene rapporti già molto stretti con Vladimir Putin: una situazione che certo non si invertirà, continuando ad accontentare le sue insaziabili pretese. L’instabilità della Libia e del Sahel non costituisce un problema soltanto per l’Italia. E’ un problema per la Nato tutta, che deve tra l’altro affrontare una crescente influenza sino-russa sul Mediterraneo allargato.

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Stefano Graziosi