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Dal Mondo

Le bugie di guerra del Cremlino

Le polemiche sulla presenza del ministro russo in televisione e il ruolo della disinformazione nella strategia di Mosca, dal Dipartimento D fino alla guerra in Ucraina

«Bisogna chiedersi se è accettabile invitare una persona che chiede di essere intervistato senza nessun contraddittorio. Non è granché professionalmente, fa venire in mente strane idee» ha detto il premier Mario Draghi commentando l’intervista del ministro russo Sergei Lavrov su Rete4, che ha destato polemiche velenose in Italia e nel resto del mondo.

Specialmente dopo questo episodio, ci si chiede se l’informazione libera debba prestarsi a questi giochi di disinformazione, se debba cioè lasciar parlare a ruota libera giornalisti e opinionisti prezzolati o addirittura rappresentanti di un governo espressione di un Paese palesemente illiberale, se non addirittura ostile. Soggetti che, giocoforza, propagandano tesi funzionali a uno scopo, che non è certo quello di informare, ma semmai di plagiare il pubblico e orientarne l’opinione.

L’interrogativo è lecito e il dibattito sano. Ma ancor più importante è sapere che, quando ci si confronta con simili circostanze, vi è la certezza non soltanto che tali soggetti parlano pro domo sua (Lavrov deve difendere l’aggressione russa all’Ucraina o non avrà più un posto di lavoro a breve), ma anche che utilizzano una precisa tecnica nel farlo.

LA DISINFORMAZIONE COME STRUMENTO DI POTERE

I media italiani non possono essere così sprovveduti da non sapere che sin dall’antichità la disinformazione è stata usata come strumento di potere strategico. E ciò vale sia in Oriente che in Occidente. A maggior ragione per la Russia.

È pacifico che, specie dai primi anni Sessanta, l’Urss utilizzò in maniera sistematica la disinformazione e la propaganda come strumenti di politica estera che, secondo la visione sovietica, dovevano favorire l’indebolimento progressivo dell’Occidente capitalistico e l’espansione del sistema comunista in tutto il mondo.

Come ben racconta Luigi Sergio Germani nel saggio Bugie di Guerra, appena usciti per i tipi di Paesi Edizioni, «il Cremlino avviò un programma pluridecennale di riarmo teso a raggiungere e superare l’Occidente sotto il profilo sia nucleare che convenzionale. In questo contesto, la disinformazione e la propaganda facevano parte di una categoria più ampia degli strumenti utilizzati da Mosca - le cosiddette “misure attive” - per creare divisioni e instabilità all’interno del mondo occidentale, e fiaccare sempre di più la sua volontà di fronteggiare la sfida sovietica a livello militare».

Tutto chiaro? Le «misure attive» di cui narra Germani, comprendevano: «Il finanziamento occulto a partiti comunisti in Occidente; la strumentalizzazione di movimenti pacifisti occidentali; il sostegno fornito a movimenti rivoluzionari e gruppi insurrezionali in America Latina, Africa, Medio Oriente e Asia; l’appoggio offerto al terrorismo di sinistra in Europa (come le Brigate Rosse in Italia e la Rote Armee Fraktion, in Germania), al terrorismo etnico-separatista (Ira ed Eta) e ad altre formazioni terroristiche come il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Pflp)».

IL RUOLO DEL DIPARTMENTO D

Nel 1959, all’interno del Kgb fu costituito un apposito dipartimento per la Dezinformacija (il leggendario «Dipartimento D» dove la lettera D sta esplicitamente per «disinformazione»), incaricato di pianificare e attuare operazioni occulte di disinformazione all’estero. Nel tempo, il Dipartimento D divenne un organismo di rango persino superiore all’interno del Kgb.

La macchina propagandistica globale del regime sovietico si serviva di due strutture chiave, incaricate di coordinare le operazioni di propaganda e sovversione all’estero. La prima, il Dipartimento internazionale, si occupava di gestire i rapporti con: i partiti comunisti in Occidente e nel Terzo mondo; con altri partiti e movimenti rivoluzionari; con organizzazioni internazionali non-governative. L’altra struttura, il Dipartimento d’informazione internazionale, gestiva l’apparato mediatico internazionale dell’Urss composto da: agenzie stampa (come Tass e Novosti); emittenti radio; giornali; riviste; case editrici.

Le campagne di Dezinformacija sovietiche enfatizzarono narrative quali l’aggressività e il carattere militarista e avventuristico delle politiche americane e della Nato; i rischi crescenti di guerra nucleare derivanti da queste politiche; le crisi politiche, economiche e sociali negli Stati Uniti e nei Paesi occidentali; lo sfruttamento e l’oppressione dei popoli del Terzo mondo da parte di Usa e Occidente; la pace e la stabilità internazionale come obiettivi di fondo della politica estera sovietica. Ricorda qualcosa?

ESEMPI DI DISINFORMAZIONE ELABORATA AI TEMPI DELL'UNIONE SOVIETICA

Andiamo avanti. Ecco alcuni esempi di disinformazione elaborata dagli specialisti sovietici di «misure attive» e diffusa in tutto il mondo: «il virus Hiv/Aids è stato creato dal Pentagono nell’ambito di un progetto di ricerca sulle armi biologiche svolto nella base militare di Fort Detrick, nel Maryland»; «la Cia ha assassinato John F. Kennedy, Martin Luther King, Olaf Palme e Indira Ghandi»; «la Cia e i servizi segreti italiani hanno appoggiato le Brigate Rosse e le formazioni terroristiche di estrema destra in Italia nell’ambito della strategia della tensione». Alcune di queste tesi propagandistiche sono in auge ancora oggi.

Il Kgb, per avvalorarle, produsse una quantità enorme e pregevole di documenti falsificati di governi esteri, false lettere e telegrammi di personalità politiche, diplomatiche e militari, che venivano poi diffusi a organi di stampa in diversi Paesi. Oltre a finanziare pesantemente e in maniera occulta: partiti, giornali, case editrici, singoli giornalisti.

Oggi il Kgb non c’è più e neanche l’Unione Sovietica, ma il sistema non è mai cambiato. Del resto, il più alto rappresentante dei servizi segreti è addirittura diventato presidente della Federazione russa e non può sfuggire neanche agli sciocchi che egli agisca nel solco di una lunga e consolidata tradizione. Come ogni leader che si rispetti, Vladimir Putin sa che un impero quale quello russo ha bisogno di conservare il potere con ogni mezzo e non può prescindere dalle strutture del passato.

LA RUSSIA DI PUTIN E LA DISINFORMAZIONE

Quanto a noi, non c’è ragione di credere che quei legami che univano il giornalismo italiano al Dipartimento D siano stati recisi. Così come è ingenuo credere che la macchina della propaganda russa si sia arrestata solo perché è crollato il comunismo. I troll di Mosca, per dire, ne sono un segno evidente. Con una differenza: mentre al tempo dei sovietici la disinformazione e la propaganda puntavano ad avvicinare quante più persone al credo comunista, oggi la Russia di Putin utilizza questo strumento per smontare alcuni fatti acclarati con notizie inventate al solo scopo di confondere le acque e impedire alla verità di emergere.

Così vale per le fosse comuni di Bucha, dove non vi è dubbio che siano stati commessi crimini di guerra da parte di Mosca. Così è per la minaccia nucleare, un bluff dal sicuro impatto mediatico. Così ancora vale per l’invasione dell’Ucraina mascherata da operazione di soccorso ai filorussi del Donbass. Così, infine, vale per la denazificazione e i tentativi di far apparire i russi salvatori e gli ucraini dei mostri invasori.

I mezzi per diffondere queste teorie sono sempre gli stessi: i media, cui oggi si aggiungono certamente i social network, e i soldi. Di certo, quando i servizi segreti italiani hanno ficcato il naso nell’università Link Campus di Roma alla ricerca del misterioso professor Mifsud – anello di congiunzione tra i consiglieri di Trump e uomini del Cremlino – ne avranno avuto contezza. Così come quando hanno seguito e fatto arrestare l’ufficiale di Marina Walter Biot – che passava documenti Nato ai russi – si saranno resi conto della pervasività del sistema di spionaggio russo, in piena continuità con i tempi della Guerra fredda.

Per non scomodare il Dossier Mitrokhin - fotografia di un’epoca e anche di un sistema di potere che ha letteralmente «comprato» fior di pennivendoli perché raccontassero una versione della storia che faceva comodo al Cremlino – basterà citare da ultimo la mail intercettata nel 2017 da Pjotr Grigorievich Premjak, già funzionario dell’intelligence russa e oggi assistente di Viktor Shreyder, deputato di Russia Unita, il partito di Putin.

In quella mail si esplicitavano le manovre per mettere in piedi un progetto «di promozione a medio e lungo termine degli interessi della Federazione Russa» in Europa, coinvolgendo un «rete informale» di soggetti che per l’Italia erano stati individuati nei politici del Movimento 5 Stelle e della Lega di Salvini. Ovvero gli stessi soggetti che, a onor del vero, si sono poi dimostrati piuttosto morbidi con Vladimir Putin e vicini sin quasi alla compromissione con la Russia.

Insomma, la disinformazione e la propaganda russa in Italia e nel mondo sono diretta conseguenza e in perfetta continuità con il sistema sovietico. Solo dopo aver compreso questo, si potranno sviluppare gli anticorpi per tarare la «verità» proposta da Mosca e sfrondarla dalle bugie. Cosicché, anche le boutade dei commentatori tarantolati o affetti dalla «sindrome di Orsini» potranno scivolarci addosso senza fare danni eccessivi.

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Luciano Tirinnanzi