Panorama copertina, 3 maggio 2018
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"Se volete la pace non fateci la Guerra", intervista a Sergey Lavrov

Il ministro degli esteri russo accusa gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e un gruppo "piccolo ma molto aggressivo" di Paesi europei russofobi. Devono rassegnarsi, il mondo non è più loro

È l’uomo del momento. Per la verità, è da tempo l’uomo del momento. Sette anni di crisi siriana. Quattro anni di crisi ucraina. Le crescenti tensioni tra Russia e Ovest. Sergey Lavrov in tutta questa tempesta è un punto di equilibrio. Trasforma le minacce in arte diplomatica, abbassa il volume della conversazione, ascolta a lungo e spesso risponde a tono. Per dieci anni ambasciatore all’Onu, ministro degli Esteri della Russia dal 2004, è l’esponente di governo più longevo dell’era Putin. Il suo russo è forbito. Il suo portamento elegantissimo. Lo stile inconfondibile.

Entra in una stanza e, con la sua voce bassa e potente, accarezza il discorso ufficiale e lo rende un’arma affilata e spiazzante, spesso vincente. Prima degli incontri ai massimi livelli, capita di vederlo appartato, seduto su una poltrona: studia i dossier e si prepara alla successiva conversazione. Ha un’agenda con orari disumani. E persino i più severi detrattori di Mosca riconoscono in lui talento ed equilibrio. Può permettersi come portavoce Maria Zakharova, bellissima, intelligente e versatile. Qualcuno potrebbe temere di essere messo in ombra da una donna così; Lavrov invece ne ha fatto la sua punta di diamante, per difendere una Russia sempre più sotto attacco.

Sa essere inflessibile, lui. "Chi sei tu per darmi lezioni?" avrebbe detto nel 2008 al giovane collega britannico David Miliband. Qualcuno ritiene che Lavrov stia alla politica internazionale come Madonna alla musica pop. Difficile immaginarsi il genere senza un protagonista così. Panorama lo ha seguito in questi anni con discrezione, raccogliendo pareri e impressioni. E ora, in un momento di fortissima tensione, proprio quando sembrava impossibile, è riuscito a strappargli una lunga intervista. (C.G.)


Signor ministro, veramente si potrebbe verificare un conflitto armato tra la Russia e alcuni Paesi occidentali?
È evidente che purtroppo la situazione nel mondo si fa sempre più tesa e meno prevedibile. Abbiamo più volte dichiarato che questa situazione è in gran parte frutto delle continue azioni unilaterali degli Stati Uniti e di alcuni Stati occidentali che gli Usa hanno schiacciato sulle proprie posizioni. Stiamo parlando di un piccolo gruppo di Paesi che non rappresenta una parte significativa dell’umanità ma che, nel tentativo di mantenere un medievale predominio nelle questioni mondiali, ostacola un oggettivo processo di formazione di un sistema internazionale policentrico. Incrementa la contrapposizione, crea un’atmosfera di sfiducia e incertezza strategica e congela i canali di dialogo. Origina situazioni in cui un bluff o un errore può costare caro a tutti. La Russia vorrebbe fare affidamento sul trionfo del buon senso «di quella parte». In effetti, nonostante tutte le differenze delle nostre posizioni, condividiamo la responsabilità per un prospero futuro di tutta l’umanità e per una soluzione efficace dei problemi cruciali del nostro tempo. 
Ma questo «buon senso» implica la capacità dei leader dell’Occidente tutto di agire in modo responsabile e prefigurabile, di rispettare rigorosamente il diritto internazionale, facendo perno sulla Carta delle Nazioni Unite. Negli ultimi tempi siamo costretti a dubitare sempre di più di questa capacità.

Quale, tra i leader occidentali, la Russia considera l’interlocutore peggiore?
Non sono queste le categorie in base alle quali la diplomazia russa valuta ciò che sta accadendo nell’arena internazionale. La filosofia della nostra politica estera respinge una visione delle relazioni bilaterali nell’ottica della negazione. Siamo disponibili a lavorare scrupolosamente con tutti per rafforzare la sicurezza e la stabilità internazionale e regionale e a promuovere una positiva agenda bilaterale. È chiaro che con qualcuno non è facile affrontare certe questioni. È particolarmente difficile con coloro che negano la supremazia del diritto internazionale e privilegiano il ricatto, le minacce e le provocazioni. Questo non fa che moltiplicare i problemi nelle relazioni tra Stati e restringere gli spazi per una interazione costruttiva. La vita internazionale è una "strada a doppio senso di marcia". "Il gioco a una porta sola" con la Russia non offre alcuna prospettiva. Speriamo che prima o poi si capisca. Prima di tutto negli Stati Uniti.

Come commenta gli incidenti che riguardano l’uso di agenti chimici a Duma (Siria) e a Salisbury?
Per quanto riguarda Duma, il 7 aprile non vi è stato alcun attacco chimico. Invece c’è stata l’ennesima spudorata provocazione, imbastita da coloro che non hanno interesse a che la Siria torni alla pace. Non chiediamo a nessuno di crederci sulla parola. Pertanto, fin dall’inizio ci siamo apertamente espressi a favore di un’indagine sull’accaduto svolta dall’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac). Un’indagine che avrebbe potuto coinvolgere anche esperti nazionali di Stati Uniti e Francia. Invece, nel momento in cui la squadra dell’Opac era già a Beirut ed era pronta a recarsi a Damasco, e quindi a Duma, la Siria - Stato sovrano, membro delle Nazioni Unite - ha subìto un’aggressione. Non possiamo accettare la logica di coloro che contrabbandano una punizione arbitraria per la migliore prova di colpevolezza. È assurdo. Così come sono assurde le accuse successive secondo le quali i militari russi avrebbero ritardato la partenza degli esperti, mentre «il posto veniva ripulito». Qualsiasi esperto può confermarlo: è impossibile cancellare le tracce di un attacco chimico in presenza di edifici in rovina, le sostanze infatti penetrano in profondità nel terreno e nelle pareti degli edifici.
Il 21 aprile, gli esperti dell’Opac sono finalmente stati a Duma. Hanno prelevato i campioni necessari. Il 25 aprile hanno visitato Duma di nuovo. Auspichiamo che i loro viaggi abbiano come risultato un’indagine obiettiva e indipendente che comprenda la visita di tutte le strutture che abbiano una qualche relazione con le accuse di attacco chimico e con l’attività degli estremisti per la produzione di sostanze tossiche. Per parte nostra abbiamo contribuito, come abbiamo potuto, al lavoro degli esperti.
Abbiamo trovato testimoni della provocazione e partecipanti involontari alla messa in scena organizzata dai "Caschi bianchi": il ragazzo Khasan Diyab e altri abitanti di Duma che il 26 aprile, presso la sede dell’Opac, hanno raccontato come è stata realmente girata la scena dell’attacco chimico.
Il 4 marzo nel Regno Unito si è verificato il tragico incidente che ha riguardato Serghei e Julia Skripal. Londra sostiene che sia stato usato un agente nervino. Dal momento dell’incidente, la parte britannica - sottolineo, in violazione dei suoi obblighi internazionali - si rifiuta di fornirci informazioni sull’assistenza prestata alle vittime, sull’andamento dell’indagine, non ci consente l’accesso consolare, obbligatorio quando si tratti di cittadini russi.
Londra inoltre, ha agito nel disprezzo non solo delle norme del diritto internazionale, ma anche dell’etica elementare e semplicemente del buon senso. Senza mostrare prove e prima che venisse completata l’indagine britannica svolta da Scotland Yard e prima di avere un quadro chiaro, il governo britannico ha accusato la Russia e ha lanciato una campagna politica e mediatica antirussa su larga scala. Sono state ignorate le nostre proposte di svolgere un’indagine congiunta, le nostre legittime richieste che venissero presentati i fatti, inclusi i campioni della sostanza utilizzata.
Il comportamento delle autorità britanniche solleva molte domande. In particolare, si è taciuto sull’attività di un laboratorio segreto situato a Porton Down, vicino a Salisbury. Le stesse vittime sono state nascoste dai servizi speciali britannici. La parte russa, prima di tutto, è preoccupata per lo stato di salute e la situazione dei due Skripal, trascinati dagli inglesi in questa provocazione. Il rifiuto da parte delle autorità britanniche di accesso consolare ci dà motivo di considerare quanto sta accadendo come loro rapimento o isolamento intenzionale. Questo è assolutamente inaccettabile.
Al lavoro professionale degli esperti, nell’ambito dei meccanismi internazionali competenti, Londra preferisce dichiarazioni vuote e la diplomazia «del megafono». Lo ripeto: siamo disponibili a collaborare concretamente con la parte britannica. Esortiamo Londra a interagire onestamente nel quadro del procedimento penale avviato il 16 marzo dal Comitato investigativo della Russia, sul tentato omicidio e delle relative rogatorie inviate alla parte britannica dalla Procura generale della Federazione russa.

Possiamo considerare la guerra con l’Ucraina il "peccato originale" che ha causato tutti i problemi successivi?
Innanzi tutto, vorrei sottolineare un punto essenziale per comprendere la situazione attuale: non c’è guerra tra Russia e Ucraina. La guerra contro il loro stesso popolo è stata scatenata dai nazionalisti che sono saliti al potere nel febbraio 2014 a seguito del colpo di Stato, non accettano il dissenso e con la forza vogliono imporre il loro "ordine". La guerra è tra Kiev e le regioni ucraine.
La crisi politica interna dell’Ucraina è stata ispirata dall’esterno da un gruppo di Paesi occidentali guidati dagli Stati Uniti, che ritengono che il mondo intero faccia parte della loro sfera di influenza, pretendono alla loro "esclusività" e dividono i popoli in "nostri" e "altri". È indicativo il fatto che i membri della Ue - Germania, Polonia e Francia - dopo aver certificato nel 2014 un accordo sulla risoluzione della crisi tra governo e opposizione, abbiano immediatamente revocato le proprie garanzie sul documento appena lo stesso è stato stracciato dai radicali. Mentre la Nato, che prima del colpo di Stato aveva rivolto un appello al presidente ucraino in carica perché non usasse l’esercito contro i manifestanti, dopo il golpe ha bruscamente modificato i toni e ha cominciato a rivolgersi ai golpisti che avevano illegalmente preso il potere perché ricorressero alla forza in misura proporzionata contro le regioni che non erano dalla loro parte.
La politica occidentale in questa storia non ha alcun obiettivo a favore dell’Ucraina, ma solo finalità antirusse. Vediamo bene che tutti i discorsi fatti dagli Stati Uniti e da alcuni suoi satelliti sulla creazione di uno spazio euro-atlantico comune di pace, sicurezza e stabilità non sono altro che uno schermo usato per coprire la vecchia politica di conquista dello spazio geopolitico, di spostamento a est delle linee di divisione, sia attraverso l’espansione della Nato, sia mediante l’attuazione del programma della Ue "Partenariato orientale". Nel corso degli anni, hanno cercato di costringere Kiev a compiere la falsa scelta del "con noi o contro di noi", tra lo sviluppo della cooperazione con l’Est o con l’Ovest, il che alla fine ha portato al crollo dello Stato ucraino che peraltro non si è mai distinto per solidità. Ad oggi questi sono i risultati: perdita de facto dell’indipendenza, sofferenza della popolazione e crollo dell’economia dell’Ucraina che aveva le potenzialità per diventare uno dei Paesi più stabili ed economicamente forti d’Europa.
È ovvio che una soluzione stabile della situazione in Ucraina è possibile solo attraverso l’attuazione piena e coerente del "Complesso di misure" di Minsk. Non c’è alternativa. Deve essere adottata una legge sullo status speciale, sulla convocazione di elezioni locali nel Donbass, sull’amnistia e deve essere attuata la riforma costituzionale. Questi aspetti sono di fondamentale importanza per la pacificazione all’interno dell’Ucraina. Infine, è necessario che Kiev instauri un dialogo diretto con Donetsk e Lugansk (*) per cercare insieme compromessi e concordare opzioni di risoluzione dei problemi esistenti.
Sfortunatamente, Washington, Londra e un certo numero di altre capitali occidentali non hanno tratto il giusto insegnamento dalla tragedia ucraina. In varie regioni del mondo continuano discutibili giochi geopolitici a "somma zero". Crescono gli sforzi per implementare un sistema di difesa missilistica globale che vanno a minare la stabilità strategica, viene rafforzato il potenziale bellico e cresce, in misura inadeguata alla realtà, l’attività militare della Nato in Europa, che porta alla frammentazione dello spazio di sicurezza europea. Profondissima preoccupazione suscitano la flagrante violazione da parte degli Usa e dei suoi alleati del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite, l’interferenza negli affari interni degli Stati, ivi compresi i tentativi di rovesciarne i governi.
Una chiara manifestazione di tale linea distruttiva sono stati gli attacchi missilistici al territorio della Repubblica araba siriana, inflitti il 14 aprile con un pretesto assolutamente inventato. Questo atto di aggressione nei confronti di uno Stato sovrano ha influito negativamente sulla stabilità internazionale e regionale, ha giocato a favore dei terroristi. I promotori di queste iniziative dovrebbero finalmente rendersi conto che un tale comportamento irresponsabile è gravido delle più gravi conseguenze per la sicurezza globale. E quelli che oggi giocano con il fuoco in varie regioni, cercando di foraggiare i terroristi per sfruttarli nei loro giochi geopolitici, domani dovranno pagarne il prezzo in casa propria. Non ci si può difendere dal terrore nascondendosi in "isole di sicurezza" riservate agli eletti.

Anche le ultime elezioni italiane hanno dimostrato che il vento del populismo soffia sull’Europa. È davvero un vento favorevole alla Russia? O forse, al momento, l’Europa, agitando lo spettro della nemica Russia, tenta di risolvere i suoi problemi interni legati al populismo e alla crisi economica?
Per quanto riguarda le attuali tendenze politiche in Europa, la domanda dovrebbe essere posta agli europei stessi.
Per parte mia, vorrei solo sottolineare che noi non interferiamo nelle discussioni politiche interne in corso, non esprimiamo preferenze relativamente ai risultati delle elezioni nei diversi Stati dell’Unione europea. Auguriamo sinceramente ai Paesi europei di superare con successo i problemi esistenti. Siamo pronti a interagire con tutti i politici che mostrino lo stesso nostro interesse e puntino a sviluppare un dialogo pragmatico con il nostro Paese.
Purtroppo, dobbiamo constatare che all’interno dell’Unione europea è attivo un gruppo, piccolo ma molto aggressivo, di Paesi russofobi che ostacola con tutte le sue forze il ritorno delle relazioni Russia-Ue sulla strada di un progressivo sviluppo e gioca la carta antirussa per scopi strettamente egoistici. Tale linea non contribuisce al miglioramento della situazione nel nostro continente, ostacola la convergenza degli sforzi per affrontare efficacemente problemi comuni alla Russia e alla Ue.
Speriamo che i partner della Ue possano superare "l’inerzia di pensiero", determinare autonomamente le loro priorità senza condizionamento da parte di attori esterni alla regione e senza farsi portare al guinzaglio della già ricordata minoranza anti-russa. Siamo convinti che la stragrande maggioranza degli europei sia interessata a un’Europa pacifica e prospera, non voglia ritornare allo scontro di quella «guerra fredda», verso la quale è costantemente sospinta.

Perché nel mondo ci sono Paesi importanti con leadership molto forti (Cina, Turchia, Russia, Egitto e persino gli Stati Uniti)? Non pensa che gli Stati stiano diventando più autocratici?
Oggi, come ho già detto, siamo testimoni del processo di formazione di un sistema policentrico dell’ordine mondiale. Stanno emergendo e consolidando nuovi centri di potere economico e influenza politica, ma siamo di fronte a una struttura multipolare che necessità ancora di stabilità. È nel nostro interesse comune che le azioni di tutti gli attori internazionali non siano distruttive, ma costruttive, basate non sulla forza, ma sul diritto internazionale. Solo mettendo insieme le potenzialità, facendo perno sull’autorità delle Nazioni Unite, è possibile risolvere efficacemente numerosi problemi del nostro tempo. In altre parole, la policentricità dovrebbe facilitare l’instaurazione di una cooperazione reciprocamente vantaggiosa e un proficuo partenariato basato sul mutuo rispetto degli interessi.
Per quanto riguarda la Russia, la nostra politica estera mira a promuovere un’agenda positiva e unificante al fine di impedire che la vita internazionale scivoli nel caos e nello scontro, garantendo la soluzione politico-diplomatica di numerose crisi e conflitti. Non abbiamo mai usato e non usiamo i nostri vantaggi naturali a scapito degli altri. In qualità di Stato responsabile e di membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, siamo garanti della stabilità globale, impediamo l’adozione da parte del Consiglio di sicurezza di risoluzioni inventate per giustificare piani di impiego unilaterale della forza contro "regimi" non graditi, in violazione dello Statuto delle Nazioni Unite.
Noto con soddisfazione che non siamo soli nei nostri sforzi. In particolare, vorrei sottolineare l’importante ruolo dell’interazione a 360 gradi tra Russia e Cina come modello per le relazioni tra potenze nel XXI secolo. Collaboriamo a stretto contatto con i nostri alleati e con coloro che condividono le nostre idee, sia su base bilaterale che in vari formati multilaterali, come Uee, Csto, Brics, Sco.
Evidenzierò anche il G20 dove, su base paritaria, i membri del G7 (che non è più in grado di risolvere da solo molti problemi) e quelli di Brics, col sostegno di coloro che condividono le loro opinioni, fanno accordi consensuali. In linea di principio l’attività del G20 è un prototipo dell’istituto di governo globale giusto, fondato non sui diktat, ma sulla ricerca dell’equilibrio degli interessi.

Il divario tra la retorica e le azioni di Donald Trump nei confronti della Russia ha mostrato diverse volte la sua contradditorietà. Come viene percepito in Russia?
Certo, è male quando parole e fatti non coincidono. Sfortunatamente, ci troviamo spesso davanti a questa situazione - e non solo per quanto riguarda le relazioni russo-americane, ma anche per altri temi internazionali - quando le dichiarazioni di Washington non corrispondono ad azioni reali. Prendiamo, per esempio, la problematica siriana. Benché il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e la Casa Bianca abbiano giurato solennemente che il loro unico obiettivo era quello di cacciare i terroristi fuori dal Paese, in pratica, gli Stati Uniti si sono solidamente installati sulla riva orientale dell’Eufrate e puntano sul collasso della Siria. Questa politica è appoggiata anche da singoli alleati degli Usa.
Abbiamo ripetutamente affermato che valutiamo positivamente le parole del presidente Donald Trump sul desiderio di stabilire un normale dialogo tra i nostri Paesi. Inoltre, condividiamo completamente questo spirito e siamo pronti a fare la nostra parte per portare i legami bilaterali fuori da quell’artificioso impasse in cui erano stati costretti dall’amministrazione di Barack Obama. Tuttavia, per valutare il reale interesse dei partner a una cooperazione costruttiva e reciprocamente rispettosa, ci baseremo solo su fatti concreti.
Per ora la situazione delle relazioni continua a deteriorarsi. Anche quando dal presidente degli Stati Uniti vengono alcuni impulsi positivi, questi vengono completamente annullati da una eccezionale russofobia dell’establishment americano che presenta il nostro Paese come una minaccia e si dichiara a favore di un «sistematico contenimento» della Russia che prevede l’applicazione delle sanzioni e di altri strumenti di pressione. Tutto questo, naturalmente, nasce da disaccordi politici interni a Washington e non ha nulla a che fare con la realtà.
Un altro attacco provocatorio è stata la decisione delle autorità statunitensi del 26 marzo di espellere 60 collaboratori delle nostre rappresentanze e di chiudere il Consolato generale a Seattle. Il pretesto formale per l’espulsione e la chiusura del consolato - il presunto coinvolgimento della Russia nell’avvelenamento di Serghei e Yulia Skripal - non regge a nessuna critica. Naturalmente, non potevamo lasciare senza risposta questa azione ostile. È interessante notare che Washington ha adottato tale decisione dopo la conversazione telefonica tra i due presidenti che ha avuto un carattere costruttivo. Trump ha chiamato Vladimir Vladimirovic Putin il 20 marzo per congratularsi per la vittoria nelle elezioni presidenziali e ha riaffermato il suo desiderio di trovare un terreno comune su una vasta gamma di questioni. Si è offerto di tenere un summit il più presto possibile, ha invitato il suo omologo alla Casa Bianca, ha parlato del desiderio di coordinare gli sforzi nell’arena internazionale, di lavorare insieme per contenere la corsa agli armamenti. Mentre molti a Washington continuano a sprofondare in una russofobia che si autoalimenta, la collaborazione su importanti questioni dell’agenda globale è in fase di stallo. Ciò influisce negativamente sulla situazione nel mondo, dove si sono accumulate troppe questioni che semplicemente non possono essere risolte senza cooperazione tra Russia e Stati Uniti. Spero che nei corridoi del potere di Washington il buon senso finisca per prevalere. Vorremmo stabilire relazioni normali, prefigurabili o anche, se volete, amichevoli con gli Stati Uniti. Ma non al prezzo dei principi e degli interessi nazionali della Russia.

Che valore hanno le sanzioni per la Russia e quanto costano all’Europa? Possibile che tutto quello che fa l’Europa sia sbagliato e invece sia giusto tutto quello che fate voi?
Esistono diverse valutazioni del danno. Si fanno cifre diverse. Ma a nostro avviso il danno principale è la perdita di fiducia, che sarà molto difficile da ristabilire. Qualsiasi misura unilaterale di pressione economica non solo è illegittima dal punto di vista del diritto internazionale, ma, come dimostra la prassi, è inefficace. Introdotte dall’amministrazione statunitense e agguantate dalla Ue di Bruxelles come strumento di pressione a lungo termine sulla Russia, non hanno prodotto alcun cambiamento nella nostra politica estera. Non ci hanno obbligato a rinunciare a ciò che riteniamo giusto ed equo.
Inoltre noi, a differenza dei leader di alcuni Paesi occidentali, non abbiamo mai sostenuto di essere i custodi della verità assoluta. Da Bruxelles - dalla Nato e dalla Ue - arrivano assicurazioni sulla disponibilità al dialogo con Mosca, ma solo a condizione che la Russia si penta e si riconosca colpevole di ogni accusa le venga rivolta. Noi non agiamo in questo modo, evidenziamo sempre la nostra disponibilità al compromesso, al riconoscimento degli interessi di ogni partner che in cambio riconosca gli interessi della Russia e voglia trovare un accordo in un’ottica pragmatica e non in quella dei giochi a esito nullo.
L’economia russa si è adeguata alle sanzioni. Anzi siamo riusciti a rivolgerle a nostro vantaggio. Il settore bancario sta migliorando. L’inflazione è diminuita in modo significativo. Si è ridotta la dipendenza dal mercato petrolifero. Al contempo abbiamo sfruttato la situazione per trovare nuovi spunti di crescita economica, aumentare la produzione interna e ampliare i legami commerciali ed economici con quegli Stati che sono aperti a una cooperazione onesta e reciprocamente vantaggiosa. E nel mondo questi sono la stragrande maggioranza. Non è un segreto che una parte significativa delle direttive antirusse sia generata oltre oceano e poi traslata in Europa, accompagnata da appelli sulla necessità di rafforzare la "solidarietà transatlantica". Quanto tutto questo corrisponde agli interessi europei? Tanto più che gli Stati Uniti non subiscono alcun danno. Da questa spirale delle sanzioni, l’Europa avrà di che guadagnarci visto che il mercato europeo è sostituito da produttori di altre regioni del mondo? Solo i cittadini dei Paesi della Ue possono rispondere a questa domanda. La Russia non si separa dall’Europa, non si chiude. Penso che il tempo stia oggettivamente lavorando per ristabilire i legami tra la Russia e la Ue a beneficio dei nostri popoli, in nome della stabilità e della prosperità del continente europeo.

Ci consenta di farle una domanda un po’ cinica sulla guerra in Siria: tutti usano i curdi e poi li "scaricano". Perché?
È difficile per me essere d’accordo con tali generalizzazioni. Assolutamente non tutti. La Russia, per esempio, nel conflitto siriano non ha usato né usa nessuno per scopi egoistici. L’esercito russo, che si trova in territorio siriano su invito del legittimo governo di quel Paese, ha contribuito in tutti i modi all’eliminazione del focolaio militare e politico del terrorismo di Daesh. I distaccamenti curdi delle milizie nazionali, che hanno difeso le loro case e la loro patria, la Siria, hanno anche contribuito agli sforzi comuni per sconfiggere il terrorismo. Hanno agito come parte integrante della società siriana, come cittadini del loro Stato. La Russia ha sempre sostenuto che i curdi debbano partecipare, insieme alle altre componenti etnico-religiose del popolo di questo Paese, alla definizione del futuro post-conflitto della Siria, come, in particolare, riaffermato dal Presidente Vladimir Putin nella conferenza stampa di Ankara il 3 aprile di quest’anno. Non è a noi che deve chiedere dell’uso e dello "scarico" dei curdi, ma a quelli che accendono sentimenti separatisti, fingendo di promettere protezione, che impediscono il ripristino del controllo del governo legittimo della Repubblica araba siriana su gran parte del Paese, che hanno incoraggiato i curdi a dichiarare unilateralmente la creazione di una «federazione‚ e si sono impegnati a formare le loro strutture di forza con funzioni che sono di esclusiva competenza dello Stato siriano.

I nostri figli ci chiedono: perché è così difficile ottenere la pace nel mondo? Come risponderebbe?
Probabilmente, perché il mondo è più complicato di quanto sembri. Le relazioni internazionali stanno diventando sempre più complesse, sono composte dalle relazioni tra una moltitudine di attori - Stati, istituzioni sovranazionali, strutture non governative. Organismi molto diversi che non si comportano sempre in modo coerente e razionale. Ma raggiungere una coesistenza pacifica e uno sviluppo sostenibile è ancora possibile. Per farlo si deve abbandonare la filosofia dell’egemonia, del "è tutto ammesso", della propria esclusività e dell’uso illegittimo della forza, si deve evitare la sottomissione ubbidiente alla disciplina di blocco in situazioni in cui vengono imposti approcci in contrasto con l’interesse nazionale. Infine, è necessario ricordare i principi fondativi delle relazioni internazionali fissati nella Carta dell’Onu, inclusa la parità sovrana degli Stati, la non interferenza nei loro affari interni e la risoluzione delle controversie con mezzi pacifici. È molto semplice: bisogna rispettarsi reciprocamente. Qualsiasi altro percorso, per definizione, conduce in un vicolo cieco. La Russia - in qualsiasi circostanza - continuerà a lavorare attivamente per preservare e sviluppare tali sani principi nelle questioni globali e per promuovere la ricerca di soluzioni ai problemi che affliggono l’intera umanità.


(Articolo pubblicato sul n° 20 di Panorama, in edicola dal 3 maggio con il titolo "Se volete la pace non fateci la guerra")

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