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(Ansa)
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Dopo l'accordo di pace (una vittoria della diplomazia Usa) il nuovo futuro per il Medio Oriente

Israele ha detto si per mille motivi, interni ed internazionali. Ma già si guarda al dopo con un solo obiettivo: stabilità con Hamas fortemente indebolita

La liberazione degli ostaggi, quella dei prigionieri palestinesi e i giorni di tregua che Israele e Hamas hanno concordato, sono il frutto dell’attivismo diplomatico degli Stati Uniti, del Qatar e dell’Egitto che a sua volta è intervenuto più volte nelle trattative. Joe Biden si è speso molto sia con l’Emiro del Qatar che con Benjamin Netanyahu quando le parti si erano irrigidite una settimana fa, mentre il segretario di Stato Antony Blinken ha sempre mantenuto vivo il dialogo con i Paesi arabi ed in particolare con l’erede al trono saudita Mohammed Bin Salman (MBS) che in questa crisi ha mostrato fino ad ora nervi saldi e la capacità di resistere alle pressioni iraniane che volevano trascinare i Paesi della regione nella guerra totale a Israele.

Il Governo israeliano non poteva fare altro che trattare con Hamas anche perché è stato sottoposto a forti pressioni a livello nazionale affinché compisse progressi nella restituzione degli ostaggi. A questo proposito, le loro famiglie hanno organizzato una campagna di alto profilo intitolata «riportateli a casa». Secondo Jonathan Schanzer, vicepresidente senior per la ricerca del Foundation for Defense of Democracies (FDD), «Israele è da tempo pronto a fare dolorose concessioni per salvare la vita dei suoi cittadini. È perfino disposto a fare dolorose concessioni per restituire i resti dei suoi caduti per seppellirli adeguatamente. Hamas lo sapeva fino al 7 ottobre. Questa era la loro influenza. Ma una volta concluso l’accordo, con più di 100 israeliani ancora nelle mani di Hamas, ci si può aspettare che Israele combatta con ancora maggiore intensità. L’opinione pubblica è determinata a vedere il gruppo terroristico completamente smantellato». Anche la pressione internazionale è aumentata vista la situazione umanitaria sempre più disperata a Gaza. I bombardamenti da parte dell’Esercito israeliano seguiti dall’invasione di terra hanno causato una gravissima crisi tanto che cibo, acqua, carburante e medicinali scarseggiano e 1,7 milioni di persone su 2,3 milioni sono state sfollate e solo 10 ospedali su 36 sono funzionanti. Ma tutto questo non sarebbe mai accaduto senza l’attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre e le relative mostruosità commesse.

Il ruolo del Qatar nelle trattative e il futuro della regione

Doha è uno sponsor statale di Hamas. Secondo recenti stime il gruppo terroristico riceve dal Qatar tra i 360 e i 480 milioni di dollari all’anno. Hamas ha anche un ufficio a Doha e diversi alti dirigenti di Hamas vivono come miliardari in Qatar. Inoltre, il canale mediatico sponsorizzato dallo stato del Qatar, al-Jazeera, fornisce ad Hamas una piattaforma per amplificare i suoi messaggi. Il ruolo di Doha nei negoziati sugli ostaggi solleva la questione se gli Stati Uniti spingeranno il Qatar a chiudere gli uffici di Hamas, ad espellere i funzionari di Hamas e a tagliare il sostegno finanziario al governo di Hamas nella Striscia di Gaza. Antony Blinken ha fatto presente agli emiri di Doha che gli Stati Uniti si attendono che in futuro la leadership di Hamas non venga più ospitata in Qatar e lo stesso vale per i fondi. Secondo alcune fonti dell’amministrazione Usa agli emiri è stato chiaramente detto: «Se non lo farete pagherete il prezzo». Per i vertici di Hamas si profila quindi un futuro in Iran a sua volta finanziatore del gruppo mentre per capire se verrà ridotto (o interrotto) il supporto finanziario, bisognerà capire fino a che punto vogliono arrivare a Doha ben sapendo che rischiano l’isolamento anche perché i sauditi condividono le idee degli USA sui rapporti Hamas-Qatar. Doha quindi presto dovrà scegliere.

Per MBS la pace nella regione è imprescindibile e le tensioni causate dal Qatar e dell’Iran sponsor di Hamas danneggiano il suo progetto Vision 2030 e l’erede al trono non è uomo abituato ad essere ostacolato. Il rapporto tra Arabia Saudita e Iran che oggi è formalmente buono in realtà è teso e basta leggere la stampa saudita per comprenderlo. Ad esempio, il principe saudita Abdulrahman bin Mosaad al-Saud ha attaccato il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah il 5 novembre il giorno dopo che il leader del terrorismo libanese aveva tenuto un discorso in cui elogiava Hamas e minacciava Israele e gli Stati Uniti. Il principe saudita ha respinto l’idea di un «Asse di Resistenza» guidato dall’Iran, anti-israeliano e anti-americano, considerandola una grande menzogna. «Non c’è dubbio che l’Asse della Resistenza sia una grande menzogna. I 100.000 missili e le enormi armi di cui Hezbollah dispone non hanno nulla a che fare con il sostegno alla causa palestinese. Il cosiddetto Asse della Resistenza si occupa da anni della questione palestinese ed è solo un mezzo per attuare l'agenda iraniana nella regione», ha affermato Mosaad. Parole pesanti pronunciate da un membro della casa reale molto vicino a MBS.

Il futuro di Hamas e delle Striscia di Gaza

Hamas sta gradualmente perdendo terreno sul campo di battaglia, poiché le forze israeliane sono riuscite a catturare gran parte del nord di Gaza, inclusa Gaza City. L'Esercito israeliano afferma di aver inflitto pesanti perdite a 10 dei 24 battaglioni di Hamas e si ritiene che la sua leadership sia scappata all'estremità meridionale della Striscia. È probabile che Hamas voglia sfruttare il cessate il fuoco per riorganizzarsi, così come è possibile che cerchi di estenderlo offrendo il rilascio graduale di un numero maggiore di ostaggi ma prima o poi questi finiranno.

Israele memore degli errori fatti non consentirà ad Hamas di riorganizzarsi o peggio di riarmarsi, per questo ha maggiori motivi per tornare sul campo di battaglia ma senza precipitare gli avvenimenti. L’esercito israeliano non ha ancora occupato tutta la parte settentrionale di Gaza. Martedì l’IDF aveva circondato Jabalia, che considera una roccaforte di Hamas, e il vicino Ospedale indonesiano, l’unica grande struttura medica funzionante nel nord. I comandanti israeliani sono concentrati anche sul sud di Gaza, e in particolare sulla città di Khan Younis, dove credono che abbia sede la leadership di Hamas e dove potrebbero essere tenuti gli altri ostaggi. Qui però gli Stati Uniti hanno chiarito che non sosterranno un’offensiva di terra nel sud, a meno che non vi siano maggiori garanzie contro le vittime civili. Netanyahu ha detto al governo che si aspetta la ripresa dei combattimenti: «Non ci fermeremo dopo il cessate il fuoco». Con l’accordo siglato nelle scorse ore ammesso che la tregua terrà e qui nessuno sa cosa faranno gli Hezbollah, la Jihad islamica e i ribelli Houthi dallo Yemen tutti finanziati da Teheran, la guerra entra in una fase nuova ed è possibile che vadano avanti i colloqui per il post conflitto: andrà deciso chi e come governerà la Striscia di Gaza e qui l’unica certezza e che Hamas non sarà della partita e con loro l’Iran che forse si è giocato tutte le carte che aveva a disposizione.

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Stefano Piazza