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Caligiuri: «Università e sistema educativo da riformare. Come l’informazione».

Sempre meno preparazione e sempre più politica, con relativi scontri. Cosa sta succedendo nei nostri atenei?

I problemi dell’istituzione scolastica e universitaria statali, nonostante incoraggianti indici in termini di autorevolezza della ricerca scientifica, continuano ad affliggere il mondo dell’educazione pubblica nazionale, alle prese non soltanto con i ridotti investimenti pubblici, quanto con una generale, e a volte miope, burocratizzazione. Per molti osservatori si tratterebbe dei risultati, nel lungo periodo, del fallimento delle politiche pubbliche che hanno dissipato ingenti risorse economiche e soprattutto umane.

Per Mario Caligiuri, pedagogista dell’Università della Calabria, critico nei confronti della storica politicizzazione del sistema educativo italiano, «è tempo che i giovani ritornino ad essere in rivolta per chiedere una scuola e una università più meritocratiche e meno ancorate agli interessi dei settori disciplinari».

Al contempo lo studioso analizza il peso della comunicazione, «elemento talmente fondamentale da essere diventato il suo contrario, trasformandosi in elemento di oppressione, condizionamento e controllo»

Panorama.it lo ha incontrato per una serrata riflessione sui fenomeni educativi che da tempo stanno destando l’attenzione degli esperti.

Professore, inquadriamo il tema, innanzitutto.

«E’, ovviamente, quello educativo, nel senso della formazione culturale di ogni persona, capace non soltanto di aumentare la qualità della propria vita, quanto di contribuire a migliorare la società. Steve Jobs evidenziava: “Baratterei tutta la tecnologia che possiedo per una serata con Socrate”. Potrebbe sembrare un’esagerazione, ma l’espressione del fondatore di Apple evidenzia un dato su cui riflettere seriamente».

In che senso, ci perdoni?

«Occorre confermare la prevalenza del pensiero sulle tecnologie, ribadendo la centralità dell’educazione soprattutto in un contesto segnato dalla dismisura della comunicazione e dall’incombere dell’intelligenza artificiale. Infatti, più aumenta la tecnologia e maggiormente diventa fondamentale coltivare il fattore umano. L’istruzione è alla base della convivenza civile e del progresso sociale, ma è sempre più in crisi in quanto, nella metamorfosi del mondo, c’è bisogno di inediti percorsi educativi».

Crisi su crisi, pare di capire.

«La crisi del tradizionale modello educativo occidentale è sotto gli occhi di tutti: oggi le basi dei processi educativi sono poste pesantemente in discussione poiché nei Paesi occidentali a un numero crescente di diplomati e laureati non corrisponde un progresso economico che attenui le diseguaglianze sociali, che invece si allargano sempre di più».

Vediamo i segni della crisi con gli occhi di oggi, ma pare di capire che le cause risalgano ad un’altra epoca…

«Il Sessantotto sembrerebbe “l’anno che ritorna”. Ma oggi il contesto è sideralmente diverso. Allora, furono i giovani che studiavano nelle scuole e nelle università a intercettare lo spirito del tempo, dando vita a una rivolta inattesa e dalle conseguenze epocali. Adesso, dopo oltre mezzo secolo, questo episodio per alcuni ha profondamente cambiato la società, mentre per altri è stato l’origine di tanti nostri mali. Allora, alle legittime rivendicazioni degli studenti si è risposto - solo in Italia - semplificando i percorsi di studio, dando vita a un “facilismo” che, per le conseguenze che ha determinato, si può definire “amorale”».

“Facilismo amorale”: di cosa si tratta?

«Nella temperie culturale della fine degli anni Sessanta, il sistema politico di fronte alle rivendicazioni studentesche e sindacali istituì gli asili nido statali, modificò l’esame di maturità, consentì l’acceso a tutte le facoltà universitarie con qualsiasi tipo di diploma rimuovendo il vincolo della legge Gentile. Vennero richiesti, ad esempio - e i professori acconsentirono- esami di gruppo con l’idea che questo favorisse la collaborazione e non la competizione tra le persone, abituasse al confronto e al linguaggio pubblico e che in un certo senso recuperasse lo spirito delle origini delle università medievali dove gli studenti avevano molta voce in capitolo, ma ciò avveniva in quanto con le loro rette contribuivano interamente al mantenimento dello studium».

Il termine rimanda a concetti già noti, ci sembra di ricordare…

«Alla fine degli anni Cinquanta il sociologo Edward C. Banfield coniò il concetto di “familismo amorale”, individuando nelle ragioni culturali l’arretratezza di alcune comunità. Questo fenomeno si verificava dove prevalevano i legami familiari a scapito dell’interesse collettivo. La premessa di questi atteggiamenti era quella di “massimizzare unicamente i vantaggi materiali di breve termine della propria famiglia nucleare, supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo”, come si leggeva a chiare lettere nel suo celebre “Le basi morali di una società arretrata”, tradotto in Italia nel 1976».

Il celebre “voto politico”, ricordiamolo pure!

«Non furono poche le scuole o le facoltà in cui la promozione avveniva con il 6 o il 18 o, addirittura, con il 27 politico, contribuendo a un dannoso livellamento. L’idea era quella che il voto “gerarchizzasse” e contribuisse a mantenere inalterate le differenze di classe e la divisione del lavoro tra manuale e intellettuale. Quella che si chiedeva all’università era una formazione generale non finalizzata esclusivamente alla specializzazione. I risultati sono stati, per alcuni versi, disastrosi. Tanto che Roger Abravanel, nel 2008, ha sostenuto che “le università italiane sono diventate il simbolo nazionale dell’assenza del merito”».

Professore, la contestazione giovanile non fu certo un fenomeno tipicamente italiano.

«Certamente. Il Maggio francese con la Sorbona al centro del movimento giovanile o le occupazioni dei campus americani -celebre quello di Berkeley, in California- sono icone universali. Ma occorre non dimenticare che lo svolgimento degli esami di gruppo e le richieste del voto politico non facevano parte delle rivendicazioni studentesche di nessun altro Paese. Insomma, gli studenti americani, francesi o tedeschi non richiedevano facilitazioni negli studi né le autorità politiche e accademiche le proponevano».

A proposito, pare che la sua teoria abbia conquistato anche il Ministro Valditara, secondo alcuni organi di stampa.

«Sono ovviamente la persona meno adatta a dirlo. Certamente l’attuale responsabile dell’istruzione nel suo ultimo “La scuola dei talenti” offre il suo punto di vista su tanti argomenti e luoghi comuni che investono il mondo della scuola. Ha ripreso la mia definizione di “facilismo amorale”, interpretandola come necessaria applicazione di regole nell’ambito educativo».

Dai suoi recenti scritti sul tema emerge una critica serrata nei confronti dell’informazione.

«Personalmente preferisco parlare di “disinformazione”, poiché la manipolazione informativa rappresenta l’emergenza educativa e democratica di questo tempo. I media hanno precise responsabilità, poiché finiscono con l’indebolire la qualità della democrazia: infatti, gran parte dell’informazione appare manipolata e, quindi, siamo di fronte a una neppure tanto dissimulata “società della disinformazione”, connotata non tanto dalle fake news quanto dalla distorta comunicazione di Stati e multinazionali».

Intanto sta per vedere la luce il suo ultimo saggio, dal titolo provocatorio: “Maleducati”…

«In settimana sarà presente in libreria “Maleducati. Educazione, disinformazione e democrazia in Italia”, in cui si riflette sulla crisi della democrazia generata in buona parte dalla crisi dell’educazione, che invece andrebbe posta al più presto al centro delle politiche nazionali. Vorrei ricordare che lo scorso febbraio a Roma abbiamo presentato il “2° Rapporto su scuola e università”, promosso dall’Eurispes presieduta da Gian Maria Fara. È una ricerca di straordinaria attualità che dimostra come il tema educativo in Italia non sia più rinviabile».

*

Mario Caligiuri (Soveria Mannelli, 1960) è ordinario di pedagogia generale all’Università della Calabria dove ha coordinato il Corso di laurea in Scienze dell’educazione e Scienze pedagogiche. Direttore dell’Osservatorio sulle politiche educative dell’Eurispes, è stato dal 2010 al 2014 assessore alla Cultura della Regione Calabria. Ha ideato il “Master in Intelligence” nell’Università della Calabria, il primo attivato da un ateneo pubblico italiano, promosso nel 2007 insieme al Presidente Emerito della Repubblica Francesco Cossiga. Al tema oggetto delle riflessioni del presente articolo ha dedicato nel 2018 il saggio “Il facilismo amorale. Una riflessione sulla responsabilità educativa del ’68, “Come i pesci nell’acqua. Immersi nella disinformazione (2019, con prefazione di Luciano Floridi, Premio Siped 2020), “Per una pedagogia della nazione. Politica ed educazione nell’Italia del XXI secolo” (2021) e “La responsabilità disattesa. Pedagogia e Università della Calabria: politiche educative e sottosviluppo nell’Occidente”. A giorni l’ultimissimo “Maleducati Educazione, disinformazione e democrazia in Italia, (Luiss University Press, 2024)

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Egidio Lorito