Se la rockstar è un algoritmo
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Musica

Se la rockstar è un algoritmo

Gli Aisis che rifanno gli Oasis, il brano "fake" di Drake e The Weeknd, David Guetta che clona Eminem: che cosa succede quando l'intelligenza artificiale invade il campo della creatività umana

Non è fantascienza: domani potrebbe apparire in rete una “nuova” canzone di David Bowie che musicalmente è una sintesi artificiale tra Heroes, Let’s Dance e Ziggy Stardust. Quattro minuti che richiamano a tutti gli effetti l’ambiente sonoro del Duca Bianco: nessun plagio in senso letterale, solo un’astuta scomposizione e ricomposizione delle note, delle ritmiche e dei suoni che caratterizzano le tre hit dell’artista. Un lavoretto di fino curato dall’intelligenza artificiale che a precisa domanda di un utente risponde creando un pezzo simil Bowie. Non è indispensabile saper suonare, produrre o mixare. Il brano arriva fatto e finito, magari corredato di testo ad hoc, sempre gentilmente offerto dall’intelligenza artificiale. Manca solo la voce e qui arriva il bello: un mister x qualsiasi interpreta la canzone e la sua voce si trasforma, mediante “clonazione” a cura della A.I., in quella di Bowie. Il passo successivo è mettere tutto nel frullatore web, affibbiargli un titolo di fantasia, magari Ziggy Dance, e accostarlo al nome di David Bowie. Et voilà, il fake è servito.

Così, alla musica suonata dal pc e interpretata da stonati cronici che usano l’auto-tune, si aggiunge pure quella creata su misura dall’intelligenza artificiale. Al povero Nick Cave, uno dei compositori più geniali e poliedrici del panorama musicale contemporaneo, è toccato ascoltare alcuni pezzi che suonano simili ai suoi con tanto di testi “ispirati” alle sue strofe. «L’apocalisse sta arrivando, queste canzoni fanno schifo» è stato il suo commento a caldo. «I data non soffrono, non provano piacere, possono solo essere un’imitazione dell’esperienza umana. Scrivere una grande canzone non è fare una copia, una replica, ma l’esatto contrario. È un atto di distruzione rispetto a tutto quello che è stato prodotto prima».

Difficile dargli torto, ma quando si tratta di business nessuno va per il sottile. Ovvio che gli appassionati di Bowie non si farebbero mai ingannare dal brano fac simile, ma tutto il resto del pubblico potrebbe appassionarsi a quella canzoncina dal ritornello carino con quella voce che assomiglia tanto a qualcosa di già sentito. E a qualcun altro potrebbe venire in mente di passare all’incasso sfruttando sistematicamente queste canzoni prodotte con costi vicini allo zero.

Naturale, quindi, che nelle case discografiche sia scattato l’allarme rosso. L’esperienza del file sharing che a inizio millennio ha regalato online milioni e milioni di dischi piratati e condivisi in ogni modo possibile, a volte anche prima della loro pubblicazione, ha reso chiaro un concetto evidente, e cioè che la difesa del copyright è una battaglia quotidiana, e distrarsi anche solo un attimo può rivelarsi fatale.

Il caso recente di Heart On My Sleeve, un fake attribuito a Drake e The Weeknd, due degli artisti più cliccati sulle piattaforme streaming del pianeta, ha segnato il punto di non ritorno. Beat intrigante, voci clonate, melodia decente: insomma il classico tormentone, come molti altri dei due artisti, destinato a diventare virale. E il testo? Parla di Selena Gomez, cantante ed attrice, ex fidanzata di entrambi. Ovviamente ignoto l’autore del falso, che si cela dietro lo pseudonimo Ghostwriter 997.

La Universal, proprietaria dei diritti dei due cantanti, ha chiesto immediatamente la rimozione del brano, ma si sa che far sparire completamente un contenuto dalla rete non è un’impresa facile. Se in termini di diritti d’autore appare abbastanza evidente la non liceità di usare le voci degli artisti, altra questione, ben più delicata, è quella che riguarda la composizione dei brani da parte dell’intelligenza artificiale, pezzi che non sono cover o semplici rifacimenti di materiale esistente. Il punto essenziale della controversia, anche se appare inevitabile qualche tutela seria per il copyright, riguarda il fatto che l’intelligenza artificiale venga ammaestrata a usare il catalogo di un artista per realizzare dei brani nuovi, si fa per dire, ma comunque ispirati al suo stile ed in ogni caso emanazione della sua creatività.

Canzoni ma non solo, come ha dimostrato l’esperimento del deejay superstar David Guetta, che di recente, in un suo set dal vivo, ha inserito una strofa scritta dall’intelligenza artificiale ed interpretata dalla voce di Eminem clonata. «Era ovviamente uno scherzo e non pubblicherò mai una cosa del genere: un sito di A.I. mi ha fornito il testo in stile Eminem, ed un altro la perfetta imitazione della sua voce. Il pubblico ha reagito alla grande» ha raccontato.

Il rapporto tra la musica e le innovazioni tecnologiche epocali è sempre stato divisivo fin dai tempi dei tedeschi Kraftwerk, tra i primi in assoluto, negli anni Settanta, a sostituire in sala d’incisione gli strumenti tradizionali con sintetizzatori e computer, i primi a teorizzare la musica come l’incontro e la fusione tra uomo e macchina. Non tutti li capirono, ma alla fine hanno avuto ragione. Come hanno avuto ragione i settantenni Abba a mettere in scena a Londra uno show proiettato nel futuro con i loro avatar giovani e belli accompagnati da una vera band di musicisti che suonano live. Vista la reazione del pubblico, con decine di date sold out, non è escluso che quello inventato dagli Abba diventi un nuovo format della musica dal vivo.

Intanto, da qualche giorno, la rete è stata invasa dalle canzoni degli AIsis, la risposta tecnologica alla mancata reunion più attesa degli ultimi anni, quella degli Oasis. L’idea è venuta agli inglesi Breezer che hanno da poco pubblicato online un immaginario "lost album" della band dei fratelli Gallagher. Otto canzoni che suonano come fossero state incise dagli Oasis negli anni Novanta, con tanto di voce di Liam Gallagher ricreata dall’intelligenza artificiale.

Che dire? Non sono nemmeno così brutte le canzoni dei finti Oasis, ma ascoltarle è un po’ come leggere un romanzo scritto da Chat GPT che mima Ernest Hemingway. Sai che divertimento…

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Gianni Poglio