Cecchetto: «Ricomincio dalla radio, a 71 anni»
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Cecchetto: «Ricomincio dalla radio, a 71 anni»

Ha lanciato talenti come Fiorello, Jovanotti e Gerry Scotti. Ha creato due emittenti di successo come Capital e Deejay. Ora torna alle antiche passioni: microfono e diretta via etere. A Panorama racconta episodi inediti della sua vita. Come quando Mike Buongiorno lo andò a trovare in studio: «Di lui ho un ricordo indelebile, mi ha indicato la strada, gli devo tutto».

A 71 anni, c’è chi sparge becchime per i piccioni (ma è vietato), fa l’umarell davanti ai cantieri, pesca trote con gli amici o porta i nipotini alle giostre. Claudio Cecchetto, invece, inventa una radio digitale, battezzata con il proprio nome. «Non ho intenzione di ritirarmi. Certo, non faccio il muratore, il contadino, il tornitore, il cuoco. Non mi sono spaccato la schiena. L’età l’avverto solo se tento una maratona, la testa rimane quella di un adolescente che ha davanti il mondo da scoprire. Il mio non è un lavoro usurante. Come dite voi giornalisti? Mi pare fosse di Biagi, o di Montanelli, la battuta: lavoro, mi diverto e mi pagano pure. Condivido. E sono in buona compagnia: anche il vecchietto mio coetaneo Vasco Rossi non ha alcuna intenzione di mollare».

Che radio si è inventato l’uomo, cioè lei, che ha creato Radio Capital e Radio Deejay?

Una radio libera, ma libera veramente, come cantava Eugenio Finardi quando in Italia c’erano ancora i legacci dei monopoli. Ho riscoperto lo spirito dei tempi pionieristici, quando chi si metteva ai microfoni pensava prima di tutto a divertire gli ascoltatori, non a guardarsi l’ombelico. Chi fa la mia nuova radio digitale non viene pagato, ma paga, come se affittasse il biliardo al bar o un campetto per giocare a padel. C’è tanta gente che sa far musica, io do loro uno spazio. Non sa quante persone coltivano questa passione, pur facendo altri mestieri. Il digitale permette massima libertà e arriva in tutto il mondo: suoni a Milano e ti sentono all’istante in Patagonia.

La radio, bisnonna dei mezzi di comunicazione, è sempre arzilla. Come è possibile?

È agile, viene con te, diffonde la parola e la musica, non è difficile. Non bisogna neppure saper leggere per goderne. Soprattutto diverte. Il matrimonio con il web le darà lunghissima vita. Pronostico che in dieci, massimo vent’anni ognuno avrà la propria radio da cui trasmettere con un’app anche dal tram. Così come oggi ha la propria mail. Solo pochi diventeranno famosi, come succede oggi con gli influencer, ma la radio sarà nelle disponibilità di tutti.

Una radio da indossare.

Una «Radiopedia», per fare il verso a Wikipedia, anche se il nome ricorda un trattamento medica. La mia Radio Cecchetto è questo: siccome la vita mi ha premiato, giusto che restituisca qualcosa. Anche per segnare una certa differenza con le radio, evolute sì, ma diventate troppo commerciali.

Non erano sempre così?

No. Noi non prendevamo una lira, all’inizio, ma non vedevamo l’ora di andare in onda. Non potevo permettermelo, ma lavoravo gratis, a Milano International. Mi accontentavo degli involtini di Chechele & Nenella, per sfamarmi, o di qualche paio di jeans che passavano i negozi in cambio di una citazione. Tutto fatto in buona fede, si intende, non un baratto commerciale. Sa cosa le dico? Che chi prova una volta a fare il deejay non se lo scorda più, continuerebbe tutta la vita. È adrenalina pura.

Per scoprire il talento degli altri, ci vuole talento. Lei ne ha da vendere.

Suonavo la batteria con un gruppo, andavo in sala prove una volta alla settimana. Un giorno entro, ma solo per cambiare i piatti della batteria, e scopro che c’è un altro a picchiettare con le bacchette, assieme al mio gruppo. Mi aveva rubato il posto. Ma era bravissimo, molto più di me. Invece di incazzarmi l’ho incoraggiato a continuare. Scoprire il talento vuol dire favorirlo, non solo individuarlo.

Lo ha fatto con tanti: è il talent scout più famoso del regno.

Quando vidi Rosario Fiorello, un portento, gli dissi: altro che animatore Valtur, tu devi diventare animatore di tutta l’Italia. E lo sconosciuto Jovanotti era poco bravo? Mi sono divertito, passavo intere giornate con lui: era bello vedere in anteprima le potenzialità di personaggi simili.

Jovanotti allora, con il tormentone «È qui la festa?», non piaceva alla gente che piace: Michele Serra scrisse che era il minimo della vita.

Vero, ma tutti hanno poi visto cosa è diventato. Facile giudicare un artista compiuto. Io è come se, con Jovanotti, avessi anticipato le qualità future di un bambino di due anni. Spero venga riconosciuto che il mio ventaglio di scoperte è quanto di più vario. Non amo i replicanti. Mi piace essere attraverso gli altri, tante cose diverse: rock, funky, pop. I talenti che ho aiutato a crescere sono individualità ben distinte: tra Linus e Fabio Volo, Leonardo Pieraccioni e Gerry Scotti, Sabrina Salerno e Amadeus non ci si può confondere.

Ma Cecchetto da chi è stato scoperto?

Da Mike Bongiorno. Berlusconi lo aveva reclutato come direttore artistico di Telemilano, prima televisione privata, che ha svecchiato l’intera Italia. Mike era il numero uno in Rai e gli davano uno, Silvio gli diede cento e mano libera per creare programmi. Gli venne in mente di fare qualcosa per giovani. Io ero in onda in una radio libera e Mike venne di persona a cercarmi. Quando mi dissero che di là c’era Bongiorno, pensai a uno scherzo. Ma mi trascinarono fuori dallo studio e misero un altro ai microfoni. Così mi trovai di colpo Mike davanti.

E che successe?

Parlava e vedevo solo la bocca muoversi, non capivo niente. Pensavo: avessi una telecamera in mondovisione, per far vedere a tutti, a mia mamma, a papà e agli amici, che sono qui con il signor Mike in carne e ossa, che sta parlando con me. Immagini l’emozione. Ero allo stesso tempo al settimo cielo e schiacciato per terra, paralizzato. E pensare che mi aveva cercato per un equivoco.

Cioè?

Disse che mi ascoltava alla mattina, in radio, e gli ero piaciuto. Peccato che alla mattina non andavo mai in onda. Glielo rivelai solo dopo qualche anno, durante una festa di Canale 5. E Mike, imperturbabile: ma Claudio, eri bravo lo stesso, non ho sbagliato. Di lui ho un ricordo indelebile, gli devo tutto. Mi chiamava a casa, non c’erano i telefonini, per darmi consigli. Una sorta di padre.

Che cosa direbbe agli studenti di oggi che piantano tende perché non trovano casa?

Che se lo fanno per richiamare attenzione su un problema, bene. Ma potrebbero andare alle lezioni un po’ meno, restare a casa e approfittare del web. Non rinuncerei a qualche giorno in più di aria buona, di mare, montagna, campagna, per precipitarmi a scuola nelle grandi città. Certo, la politica è sempre un po’ indietro, un po’ spostata rispetto ai problemi reali, tra cui quello degli studenti.

Anche Cecchetto ha fatto politica.

Con una lista civica, a Riccione, dove ho la residenza. Mi sto impegnando per la Romagna e molti sindaci, di destra e di sinistra, mi danno appoggio. Per esempio, quest’anno il 7 e 8 luglio la Notte Rosa in Riviera, che compie 18 anni, diventa la Notte Pink Fluid, in omaggio ai tempi. E a Gatteo Mare ho convinto l’amministrazione a battezzare Festival di San Liscio la classica festa del tradizionale ballo. Non sarei Cecchetto se facessi le cose che fanno tutti. A ben pensarci, credo addirittura di aver inventato il flash mob, in Italia.

Addirittura.

Ricorda il mio Gioca Jouer? Sono sempre stato stonato, ma quel brano, che obbligava tutti a muoversi a ritmo sostenuto, è un successo da 42 anni. Ogni deejay lo studia, per imparare il mestiere. Ecco, quei giovani che battevano le mani, si muovevano come un’onda, non facevano forse un flash mob, quando ancora nessuno sapeva cosa significasse?

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Antonio Bozzo