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(Ansa)
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Non è tutto design quello che luccica

Riflessioni a mente fredda dopo una settimana vissuta intensamente per il Salone del Mobile

La deriva è ciò che dovremmo evitare. La fuffa dovremmo bandirla. La sostanza dovremmo essere in grado di riconoscerla. E no, non è tutto design. Perché ti aspetti ad ogni Salone un “pezzo” nuovo, da ogni brand, da ogni azienda, da ogni designer, architetto, creativo. Ma non è umanamente possibile che ciò accada. Il processo creativo, la fase di studio, i prototipi, la messa in produzione. Come se bastassero dieci mesi di lavoro per lasciare il segno.

La storia non ci ha insegnato nulla. Nel dicembre del 1961, Piero Manzoni sigillò 90 barattoli di latta, uguali a quelli utilizzati normalmente per la carne in scatola, ai quali applicò un'etichetta identificativa: «Merda d'artista».

Voleva dire tante cose. Voleva dire che un artista affermato, nel nostro caso un designer, uno dei mille mila che hanno messo la firma su un rubinetto o una cucina, troverebbero mercato e consenso per qualsiasi cosa al di là della reale qualità del progetto. Voleva dire che il mercato, in quel caso dell’arte, nel nostro contesto del design, accetterebbe letteralmente della merda, a patto che sia in edizione numerata. Infine, voleva dire che il valore di un’opera o di un oggetto è ormai solo “squisitamente concettuale” e quindi accessibile a chiunque. Sarà un bene?



Probabilmente no. Sarebbe più utile fare un passo indietro, ammettere che gran parte di ciò che abbiamo visto, che sia in Fiera o per le strade di Milano in realtà più che design erano forniture. Perché una nuova sedia non necessariamente è una sedia di design come ci vogliono far credere. È semplicemente una sedia. E non tutto ciò che un designer fa necessariamente diventerà design, perché semplicemente non aggiunge nulla.

Arrivati a questo punto tale di maturità, (siamo prossimi alla pensione, il Salone nel 2025 spegnerà 63 candeline!) non sarebbe male iniziare a limitare i posti, così che sia più facile visitare i Padiglioni, senza aprire le porte a cani e porci. Perché c’erano anche i porci a questo Salone del Mobile. Ben disegnati magari, ma sempre porci rimanevano, sono quelli che scambiano il design per un fenomeno di costume. Tutti possono esporre tutto, e ovunque si può esporre qualcosa. Non esiste una selezione e probabilmente non esiste più neppure una critica ma dovrebbe esserci per lo meno la forza di darsi appuntamento da qui a tre mesi per sapere se quei pezzi esposti sono stati messi in produzione e se ne sono stati venduti almeno un numero sufficiente per coprire le spese. Perché altrimenti è mero esercizio di stile.

Ci vediamo il prossimo anno, appuntamento al 63° Salone del Mobile.Milano dall’8 al 13 aprile 2025. Ciò che ci auspichiamo è che si abbia coraggio. Di fare un po’ di selezione all’ingresso. Non può entrare tutto. Non deve entrare tutto. Cerchiamo il nostro Achille Castiglioli del futuro, maestro amato che nel 1970 progettò per Flos una lampada a cavo, la Parentesi, che si è fatta icona esposta nei musei e nelle case degli italiani. È bella, è economica, è innovativa, è design vero. Puro. Cristallino. Cerchiamo poi di ragionare sul serio come una comunità, non solo nei lanci stampa. Magari eviteremo così di fissare negli stessi giorni il Salone del Mobile a Milano, la Biennale d’arte a Venezia, il Vinitaly (il Salone internazionale del vino) a Parma.

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Nadia Afragola