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(Lucia Iuorio)
Lifestyle

«I più grandi? Franco e Ciccio»

Intervista a Frank Matano al via con un tour nei club con il suo spettacolo Oversympathy che offre la possibilità ai comici sconosciuti di esibirsi sul palco al suo fianco

Frank Matano è la prova vivente che ormai uno YouTuber può arrivare dappertutto: in tivù, al cinema, perfino a teatro. E ha solo 34 anni. Nel frattempo ha girato 7 film, condotto talent show, trasmissioni televisive e scritto anche sceneggiature che se non hanno (ancora) fatto la storia dell’entertainment hanno dimostrato che per lavorare nello spettacolo ci vuole il coraggio di una iena. Figlio di un Carabiniere di Carinola, Caserta, e di un’americana, il conduttore di LOL e Italia’s Got Talent vive a Roma con Ylenia Azzurretti, regista di documentari, e Bimo, un magnifico bracco di Weimar ma ha solo un obiettivo: riuscire (di nuovo) a far ridere. Quindi porta in giro per l’ItaliaOversympathy lo show che a maggio offrirà la chance a comici sconosciuti di esibirsi dal vivo nei club di Roma (al Largo Venue il 6-7-8), Milano (alla Santeria Toscana 31 il 17/19/26) e Torino (all’Hiroshima Mon Amour, il 28-29-30).

Come funziona?

«Vai sul sito e scegli tra “voglio vedere lo show” o “penso di far ridere”: nel secondo caso ti iscrivi per presentare il tuo pezzo comico e resti nel backstage in attesa del sorteggio».

Quindi non è detto che ci si possa esibire.

«Esatto. È un’opportunità, non una certezza. Io ho una scatola e da quella estraggo una decina di nomi ogni sera. La performance dura 90 secondi. Poi c’è l’intervista che faccio io sul palco e la durata varia in base a quanto sei interessante/simpatico. Nelle prime file sono seduti comici famosi che sono perlopiù amici con cui ho lavorato di recente e a cui ho chiesto di intervenire se lo ritengono opportuno con domande ai candidati».

Tipo Diego Abatantuono?

«Non voglio fare nomi perché partecipano gratuitamente. Ma non hai proprio sbagliato».

Può capitare anche che i comici siano scarsi, però.

«Se qualcuno va male fa parte del racconto. Sarà un dialogo sincero tra me e chi sta sul palco, un ping-pong interrotto anche dai colleghi che potrò tirare in ballo».

Che cosa ti fa ridere? A me niente tranne Checco Zalone.

«Gli show comici non possono piacere a tutti, eh. Io sono ossessionato dalla comicità da quando ho 12 anni, quindi potrei parlarne per giorni. In sintesi, però, mi fa ridere chi ha il coraggio di essere se stesso. Il comico dovrebbe vivere ai margini e diventare l’elefante in mezzo alla stanza di cui nessuno parla. Non tutti i contesti televisivi favoriscono questo. Se lavori con la pubblicità e gli sponsor ti prendi meno rischi».

È arrivato il momento-spregiudicatezza?

«Nessuno in tivù mi avrebbe permesso di andare in onda senza filtri quindi ho deciso di mettere lo show di un’ora e mezzo sul mio canale YouTube: per averne il controllo totale e perché non voglio piegarmi ai requisiti di alcun algoritmo. Dev’essere una specie di serata jazz. Il pubblico è uno strumento che suona il comico, lo scalpello e il martello che ti aiutano a scolpire la scultura, cioè lo spettacolo. E senza un live è impossibile capire quello che piace davvero agli spettatori».

Sembra che la censura sia tornata di moda in tivù. Vedi il monologo” di Antonio Scurati e le relative polemiche.

«Una follia! Se glielo avessero fatto fare non se ne sarebbe neanche parlato. Molte persone non hanno idea di cosa significhi la comunicazione. È ovvio che se non permetti a qualcuno di esprimersi tutti ti si rivoltano contro perché uno scrittore deve poter dire quello che gli pare sapendo anche che dopo potrebbe pagarne le conseguenze. Ma se tu hai la sensazione di mettere il piede su un campo minato è la fine della democrazia».

C’è stato mai un attimo, nella tua carriera, in cui hai temuto di cadere nell’oblio?

«Sono sempre stato un insicuro sul palco. Ma la tenacia e la disciplina sono la chiave anche se non puoi pretendere di restare sempre sulla cresta dell’onda. Io a 22 anni ero vicino a un semaforo a Ventaroli, vicino a Caserta: lì mi sono detto “ok, faccio il comico”. E ho lavorato per quello. Ma non sai mai come andrà perché rispetto a qualcuno che costruisce cose concrete tu ti guadagni da vivere dicendo stronzate. Io mi sento un privilegiato a farmi pagare per divertirmi, quindi vado avanti».

Non rimpiangi di aver abbandonato l’università, insomma.

«Mi sono iscritto a Lingue a Cassino perché mi sarebbe piaciuto fare l’insegnante di inglese. Ma nel frattempo mi ero iscritto anche a YouTube e ha funzionato. Così ho lasciato e ho dato un grande dolore a mia madre».

Questa non fa ridere.

«E infatti non bisogna avere paura di non fare ridere. Perché non si può far ridere sempre, è ovvio. Ed è solo attraverso diversi tentativi che sai cosa devi togliere, lasciare o aggiungere. Se non ci provi, come fai a sapere se funziona? Non è che se hai tanti pollici all’insù sui commenti di FB allora sei un grande comico».

Quando un comico esagera?

«Se è un professionista ha affinato le sue capacità comiche e sa quando fermarsi come un surfer sa quando piegarsi sulla tavola. Gli amatori di solito si sentono troppo simpatici e sento che esagerano. Come quando i timidi alzano la voce durante le riunioni o quando balli o canti e non sei in grado di sintonizzarti sulla frequenta giusta. Ecco, gli inglesi la chiamano appunto “over sympathy”».

Chi metti in cima al tuo pantheon?

«Jim Carrey e Ben Stiller, ma anche Franco e Ciccio».

Franco e Ciccio? Non ci credo.

«Hanno fatto la storia della comicità italiana, è come chiedere perché ti piacciono i Beatles. Guarda il film I due figli di Ringo e troverai gag esilaranti, molto fisiche. Si pensa che non facciano ridere perché se non sono nichilisti e sono solo gratuitamente comici valgono meno degli altri. Mentre anche nella comicità estemporanea c’è riflessione».

Caterina Guzzanti è meglio.

«Lei è un mostro di bravura, è un chirurgo che costruisce personaggi irresistibili. In quella famiglia chissà cosa mettevano nelle cotolette. Corrado, Sabina e Caterina hanno un radar per tutto quello che fa ridere e un’esecuzione che pochissimi possono vantare».

Perché abbiamo meno comiche donne?

«Prima la comicità era uno strumento di corteggiamento pure inflazionato dall’uomo e nel teatro antico i maschi interpretavano anche i ruoli femminili. Ora ci siamo emancipati, ma basta dire che è stata una donna, Viola Spolin da Chicago (attrice, autrice e regista rivoluzionaria che se n’è andata a 88 anni nel 1994, n.d.r), a inventarsi il teatro di improvvisazione, quell’open mic che negli States funziona ancora così bene».

Chissà che cosa ne avrebbe pensato del ruolo che l’intelligenza artificiale avrà negli show.

«A me fa paura ed entusiasma allo stesso tempo. Quando fai il comico sfrutti le associazioni d’idee tra le contingenze, le tue esperienze personali e come sei fatto tu. Poi dipende tutto da come riesci a mixare i vari elemento. Ho il sospetto che l’IA possa attingere da tutto quello che è stato scritto dagli uomini in tutto il mondo e lo può fare in pochi secondi. Sono curioso di vedere che cosa succede».

In effetti è impressionante. E anche un po’ pericoloso.

«Oggi il 50% del traffico sui social e su Internet lo fanno i bot e tu puoi deviare l’informazione. Anche perché ormai la gente va a leggere i primi tre commenti sotto a un qualunque post e poi le posizioni si polarizzano. Così succede che portano al bar l’opinione politica più votata nei commenti, senza alcun senso critico».

Ti interessa la politica?

«Per forza, il problema di questo paese è che tutti si fanno la guerra online e poi alla fine non vanno a votare. Invece bisogna esercitare il proprio diritto più importante».

Pensi davvero che il parlamento europeo sia così fondamentale per il futuro di un italiano?

«Dipende da chi ci mandiamo».

E se, invece, mandassero te a Sanremo?

«Io non mi sento all’altezza di condurre il Festival di Sanremo, figurati. È un lavoro troppo importante, è come fare il politico. La posta in gioco è troppo alta. Se alla conferenza stampa sbagli una virgola sei rovinato. Io, al momento, voglio solo far ridere».

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Ilaria Bellantoni

Avrebbe dovuto fare la maestra di sci, invece si è messa a scrivere. Duraniana e juventina, è famosa per fare domande imbarazzanti in ognuna delle quattro lingue che conosce. Laureata vanamente in scienze politiche, si occupa da sempre di costume e spettacolo e ha lavorato come caposervizio a Max, Myself, Glamour, GQ e Vogue Italia. Ha due figli (Berenice e Vittorio) e un golden retriever (Rio). Dopo aver pubblicato un libro, Lo chef è un Dio (Feltrinelli), è stata ghost writer di celebrità e politici e porta in giro il Festival della Parola Reloaded. Vive a Milano, ma sogna di trasferirsi in una villa a Ko Phangan. O in una baita a Courmayeur.

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