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(Ansa)

Una Germania divisa trascina a fondo l’Europa

Berlino, in difficoltà, va a Pechino a testa bassa, andando contro i dettami di Bruxelles

Secondi i dati di Allianz Trade la Cina ha superato la Germania nelle esportazioni in settori chiave come macchinari, prodotti chimici ed apparecchi elettrici per uso domestico. Nel contempo la dipendenza tedesca dalle importazioni cinesi è passata dal 6% nel 2004 al 22% nel 2022. E nonostante il mercato cinese sia stato una destinazione privilegiata per gli investimenti diretti delle grandi società tedesche, quintuplicati tra il 2010 e il 2022, le imprese tedesche hanno registrato un calo del fatturato di oltre 6 miliardi di euro nel 2022. Malgrado ciò le aziende tedesche continuano a reinvestire i loro profitti in Cina con un duplice danno: il rendimento degli investimenti, inferiore di quasi 25 miliardi di euro nel 2022, e le difficoltà economiche interne, che impongono tagli di posti di lavoro in Germania.

Figlio della politica di Frau Merkel, che ha voltato lo sguardo altrove ogniqualvolta sorgessero tensioni geopolitiche che, in qualche modo, le imponessero di prendere decisioni economiche che avrebbero potuto risultare sgradite a Pechino, la recente visita di Olaf Scholz in Cina ha messo a nudo le divisioni dell'Unione europea su come rapportarsi con il Dragone. Mentre a Bruxelles la Commissione ha avviato un'indagine sui sussidi nel settore cinese dei veicoli elettrici, Scholz dichiarava alla China Central Television, organo di informazione del Partito Comunista, che il mercato tedesco accoglie con favore le auto cinesi. Non c'è stata alcuna dimensione europea nella visita di Scholz: il Cancelliere si è rapportato con il presidente Xi Jinping e il premier Li Qiang come se la Germania non facesse parte dell’UE.

La linea del Partito Comunista è chiara: contro le iniziative di de-risking di Stati Uniti ed Unione Europea sulla dipendenza dalla Cina, Pechino sfrutterà la fame di contratti commerciali della Germania per dividere e indebolire l'agenda di sicurezza economica dell'Occidente. A Pechino è opinione diffusa che la Germania abbia bisogno di mantenere e approfondire gli scambi economici e commerciali con la Cina, e l’atteggiamento da vassallo tenuto dal Cancelliere fa comprendere come le richieste di parità di condizioni di accesso al mercato cinese da parte delle imprese tedesche resteranno una pia illusione. Un sondaggio, condotto dalla Camera di commercio tedesca in Cina ha rivelato come due terzi delle aziende intervistate si vedano in condizioni di concorrenza sleale quando operano in Cina con persistenti lotte legate all'accesso al mercato e all'eccesso di capacità. In particolare, secondo gli intervistati, viene loro precluso l'accesso a reti redditizie come le autorità governative, le università e gli appaltatori pubblici.

Ma le aziende cinesi e tedesche stanno diventando sempre più concorrenti, sia in Cina che nei mercati globali ed è questa la realtà a cui l’economia tedesca dovrebbe prepararsi. Xi Jinping sta facendo fluire il credito bancario statale nel settore manifatturiero puntando sull’industria per compensare l'enorme rallentamento del settore immobiliare cinese. Puntare sulle industrie delle tecnologie verdi non compenserà un settore come quello immobiliare che rappresentava un terzo del PIL cinese: ma questo è, appunto, un problema cinese.

Quello tedesco attiene ai funambolici tentativi del Cancelliere di non scontentare Pechino che si scontreranno con chi, in Germania, non ne può più delle politiche verdi "dogmatiche" che stanno colpendo l’industria. La prospettiva ribassista per l’economia tedesca segnalata dagli analisti trova conferma nelle parole di Markus Krebber, amministratore delegato di RWE, secondo cui l’industria tedesca non riuscirà più a tornare ai livelli antecedenti alla crisi energetica nonostante i forti cali del mercato del gas: la domanda nelle industrie tedesche ad alta intensità energetica è destinata a una significativa contrazione strutturale.

Non a caso, a marzo, Sigmar Gabriel, presidente del consiglio di sorveglianza di Thyssenkrupp Steel, sosteneva la necessità di un riallineamento del più grande gruppo siderurgico tedesco a causa dei costi energetici che hanno eroso i margini. Che tradotto significa tagli alla produzione ed occupazionali negli stabilimenti tedeschi. I danni provocati al settore energetico e conseguentemente al tessuto economico industriale dalla politica energetica di Angela Merkel oggi paiono irreparabili (Le politiche climatiche verdi avvelenano l’economia tedesca - Panorama).

Le quattro principali organizzazioni dell'economia tedesca, la Lega federale dell'industria tedesca BDI, la nostra Confindustria, la Confederazione delle associazioni tedesche dei datori di lavoro BDA, l’Associazione centrale degli Artigiani Tedeschi ZDH, l’equivalente italiano di Confartigianato e Confcommercio e la Camera di Commercio e dell'Industria Tedesca DIHK, escluse da Scholz dalla delegazione che si è recata a Pechino, hanno pubblicamente espresso come il motore economico del Paese si senta abbandonato dal Cancelliere che pare completamento disconnesso dalla situazione economica del Paese.

A dare concretezza alle tesi delle organizzazioni tedesche ci ha pensato l’indice PMI manifatturiero globale di S&P Global Market Intelligence che mentre segnala la produzione in aumento a marzo in 17 delle 31 economie monitorate con robuste espansioni anche negli Stati Uniti e nella Cina continentale segnala come l'Europa sia stata il più grande freno al settore manifatturiero globale, con forti cali di produzione in Germania e nei suoi satelliti: Austria, Repubblica Ceca e Polonia.

Le aziende tedesche sono in fuga verso gli Stati Uniti dove l'Inflation Reduction Act e il Chips And Science Act, offrono oltre 400 miliardi di dollari in crediti d'imposta, prestiti e sussidi. Aziende come BASF, Siemens Energy, RWE, e-VAC Magnetics ma anche del settore automotive come Volkswagen e ZF hanno annunciato l'anno scorso un record di 15,7 miliardi di dollari di impegni di capitale in progetti statunitensi: quasi il doppio rispetto all'anno precedente.

Inoltre le iniziative legislative statunitensi come l’Uyghur Forced Labor Prevention Act (UFLPA), la legge degli Stati Uniti sulla protezione del lavoro forzato uiguro nella regione dello Xinjiang sta inducendo aziende tedesche come BASF a vendere le sue partecipazioni in quella regione. BASF è stata criticata per i suoi grandi investimenti in uno stato autocratico in cui molti vedono il parallelo con la fiducia riposta nelle forniture di gas russo. Il rischio di investire in Cina presto potrebbe tradursi nell’esclusione da mercati come quello statunitense dove si stanno intensificando i controlli sulle catene di approvvigionamento dello Xinjiang. Argomento, quello sulla presenza della Volkswagen nello Xinjiang, scientemente evitato dalla delegazione guidata dal Cancelliere.

La strategia del Governo tedesco, apprendiamo, è basata sugli investimenti nella transizione dell'economia, per posizionarla per importanti vantaggi competitivi futuri in un mondo a zero emissioni di carbonio. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un utile idiota, per gli scopi di Pechino, in fiduciosa attesa dell'impossibile.

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Giovanni Brussato