Yuan svalutato, le conseguenze per il made in Italy
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Economia

Yuan svalutato, le conseguenze per il made in Italy

Le esportazioni più care mettono a rischio food, moda e meccanica sul mercato cinese. Ma secondo molti analisti l'impatto sarà limitato

Quanto durerà l’isteria da svalutazione dello yuan? E quali effetti reali avrà? Dopo il panico dei giorni scorsi seguito al deprezzamento complessivo del 4,65 per cento della valuta cinese, le Borse occidentali stanno provando il rimbalzo.

Ma i mercati, si sa, vivono di suggestioni e interpretazioni momentanee, talvolta irrazionali: se così non fosse, avrebbero dovuto accusare molto di più, il mese scorso, il repentino crollo del listino di Shanghai, capace di bruciare oltre il 30 per cento della sua capitalizzazione in poche settimane. Invece non è accaduto.

Ciò non toglie che il quadro attuale presenti parecchi rischi per le aziende italiane: in particolare nei comparti food, lusso e meccanica che vedono diventare più care le loro esportazioni verso quello che è stato negli ultimi anni un mercato trainante. E la cui moneta influenza in qualche modo oscillazioni negative anche in altre aree chiave per la nostra bilancia commerciale, come Indonesia, Cambogia e Vietnam.

Non è certo un caso se fra i titoli più penalizzati a Piazza Affari da inizio settimana ci sono Ferragamo, Moncler e Luxottica (che realizzano in Asia un terzo del loro fatturato), ma anche Tod's e Yoox (entrambe sopra il 20 per cento).

Molti si chiedono se la valuta più debole, associata alla minor crescita delle vendite sul mercato cinese già in atto da un anno e mezzo, costringerà le aziende a cambiare le loro strategie in quella che resta un’area chiave. Ma secondo Alberto Forchielli, presidente del fondo d’investimento italo-cinese Mandarin Capital Partners e del think tank Osservatorio Asia, concentrarsi sull’aspetto valutario significa guardare il dito e non la luna. “Il comparto del lusso in Cina è già compromesso da un paio d’anni” spiega Forchielli a Panorama.it “cioè da quando il giro di vite sulla corruzione imposto da Pechino ha stoppato la regalistica, che si stima valga il 30 per cento del fatturato luxury cinese”.

I numeri gli danno ragione. Complessivamente il mercato domestico di abbigliamento, calzature e accessori di fascia alta nel 2014 è arretrato del 6 per cento, la stessa discesa messa in mostra da un colosso come Lvmh (la controllante dei marchi Vuitton e Gucci prevede un andamento analogo anche nella prima metà del 2015).

Negative anche le stime di Prada, tra l’altro quotata a Hong Kong, le cui sofferenze nel Paese del Dragone sono mitigate dalla crescita in altre aree. “Si tratta comunque di cali che arrivano dopo un decennio di crescita spaventosa”, precisa Forchielli. “Insomma, il boom che si doveva fare in queste aree s’è fatto. Se da un lato la svalutazione rende nell’immediato virtualmente più poveri un miliardo e mezzo di cinesi, dall’altro pone le basi perchè il loro Paese continui a crescere a ritmi non alti come un tempo ma costanti, e quindi perché prima o poi tornino ad acquistare”.

È d’accordo Christopher Walker, analista di Nomura che interpellato dall’agenzia Reuters ha puntualizzato: “In Asia i margini del settore lusso sono solitamente più alti. Anche se gli effetti del cambio potrebbero cancellare parte di questi benefici per le società che hanno bilanci in euro, la situazione è gestibile con un po’ di attenzione”. Qualche contraccolpo in più potrà venire dallo shopping tourism: i turisti cinesi nel 2014 hanno speso cifre record per i beni di lusso, come emerso da un rapporto del'osservatorio sui consumi tax-free Global Blue dello scorso aprile. Per le destinazioni europee in particolare la debolezza dell'euro ha rappresentato negli ultimi anni un forte incentivo, se è vero che quasi un terzo degli acquisti luxury effettuati da cinesi sono stati fatti all’estero.

Si continua a parlare comunque di cifre importanti, ma non decisive per chissà quale spostamento di equilibri, secondo Forchielli: "Noi abbiamo un disavanzo di 15 miliardi con Pechino, cioè compriamo più di quel che vendiamo: e con la svalutazione questo trend si rafforzerà. L'Europa nel suo complesso ha un disavanzo di 70 miliardi. L'unico Paese Ue in pari con la Cina è la Germania. Gli unici esportatori netti in Cina sono i paesi che vendono loro le materie prime. A livello macroeconomico il made in Italy nemmeno se ne accorge, se lo yuan si deprezza un pochino".

Per motivi dimensionali simili, anche l’alimentare può stare tranquillo: “Su questo fronte occupiamo una nicchia economicamente rilevante per noi, ma scarsa in termini di quota di mercato: chi compra cibo e vino italiano continuerà a farlo” chiosa Forchielli. Inoltre le leve di prezzo delle nostre aziende sono già ben oliate, dovendo fare i conti con un altalenante sistema di dazi e autorizzazioni locali, e il costo delle materie prime in diminuzione provoca un effetto trascinamento su tutte le voci dell’agroalimentare. Certo il food cinese sarà più competitivo nei confronti del nostro, ma per ora non parliamo nemmeno dello stesso sport.

Le attenzioni degli analisti si sono concentrate tuttavia anche sull’industria pesante, con previsioni inizialmente negative per Fiat, penalizzata come tutti i titoli del comparto automotive. Ma una nota di Fitch ha riportato la calma: “La svalutazione non avrà impatti importanti su ricavi e redditività del settore” si legge nel report “La decisione del governo potrebbe penalizzare i flussi di cassa, ma va ricordato che la posizione di Fiat è molto marginale”. Restando ai motori, il numero uno di PiaggioRoberto Colaninno vede addirittura nuove opportunità sul mercato asiatico: “La svalutazione dello yuan non è destinata ad avere un impatto negativo sulle operazioni del gruppo” ha dichiarato. “Può essere, al contrario, una positiva novità. Da un lato il mercato cinese delle due ruote premium presenta ancora volumi decisamente bassi (il gruppo è invece molto più forte in India e Vietnam, ndr). Dall'altro, Piaggio in Cina è da anni socio paritetico in una joint venture produttiva con sede a Foshan, nel Guangdong, le cui attività di export avevano perduto in parte la propria competitività proprio a causa dell'apprezzamento della valuta locale, e ora potranno trovare nuovo impulso”.


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Gianluca Ferraris

Giornalista, ha iniziato a scrivere di calcio e scommesse per lenire la frustrazione accumulata su entrambi i fronti. Non ha più smesso

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