Economia globale, inflazione
(Ansa)
Economia

Economia globale, Lomonaco: «L’inflazione frena la ripresa economica»

Il persistere dell’inflazione per effetto dell'aumento dei margini di profitto in alcuni settori e delle pressioni sui costi ancora elevate in mercati del lavoro resilienti, implica incertezza sulle prospettive economiche che sono quindi al ribasso

Mentre l’economia mondiale, secondo le prospettive OCSE, mostra segnali di ripresa per il calo dei prezzi dell'energia, per il miglioramento del clima di fiducia delle imprese e dei consumatori e per la riapertura degli scambi commerciali con la Cina post pandemia, la ripresa resta comunque debole rispetto al passato a causa degli effetti dell’inflazione che, nonostante sia tendenzialmente in ribasso, continua a persistere.

Nelle principali economie avanzate l’inflazione annua dovrebbe scendere dal 7,8% registrata nel 2022, al 6,1% prevista nel 2023 e al 4,7% prevista nel 2024; la diminuzione è conseguenza del calo dei prezzi, dell’energia, dei generi alimentari, e della diminuzione della domanda. Una sensibile riduzione dell’inflazione dovrebbe registrarsi entro la fine del prossimo anno compatibilmente anche all’evoluzione del conflitto russo-ucraino. Il persistere dell’inflazione per effetto dell'aumento dei margini di profitto in alcuni settori e delle pressioni sui costi ancora elevate in mercati del lavoro resilienti, implica incertezza sulle prospettive economiche che sono quindi al ribasso. Secondo le proiezioni OCSE la crescita del PIL mondiale dovrebbe rallentare e passare dal 3,3% registrato nel 2022 al 2,7% nel 2023 per ricrescere al 2,9% nel 2024».

Panorama.it ha chiesto a Raffaele Lomonaco, economista dell’Università Lateranense, una previsione ancorata ai prossimi mesi.

Professore, uno sguardo sulla politica monetaria dei Paesi OCSE!

«La politica monetaria dovrà rimanere restrittiva fino a quando non vi saranno chiari segnali di una riduzione duratura dell’inflazione: le banche centrali, infatti, per contenere l’inflazione, potrebbero nel prossimo autunno innalzare ulteriormente i tassi di interesse con conseguente rivalutazione delle attività, aumento del rischio nei mercati finanziari, diminuzione dei consumi e degli investimenti delle imprese, con ripercussioni anche sul mondo del lavoro».

Restano forti i segnali di preoccupazione…

«In particolare si teme che l’irrigidimento delle condizioni finanziarie possa innescare tensioni nel sistema finanziario compromettendo la stabilità: l’aumento degli oneri dei debiti delle famiglie (interessi sui mutui) e delle imprese e la maggiore probabilità di insolvenza sui prestiti, aumentano anche il rischio di credito per le banche e per le istituzioni finanziarie, con un ulteriore inasprimento dei criteri di concessione dei prestiti. I continui aumenti dei tassi di interesse hanno ripercussioni anche sulla sostenibilità delle finanze pubbliche; quasi tutti i Paesi presentano disavanzi di bilancio e livelli di debito già elevati in quanto compromessi dagli effetti della pandemia, della guerra e degli shock energetici».

Di recente sono emersi altri fattori di crisi…

«Preoccupano le crescenti spese derivanti dall’invecchiamento della popolazione e dalla transizione climatica: infatti la crescita dei tassi di interesse aumenta l’onere del debito pubblico, e pertanto i governi dovranno operare scelte politiche importanti volte a conservare le risorse di bilancio per le future priorità e a garantire la sostenibilità del debito. Per affrontare il futuro sono necessarie riforme strutturali mirate a stimolare l’offerta: riduzione dei vincoli sul mercato del lavoro e dei prodotti, rafforzamento degli investimenti, maggiore partecipazione della forza lavoro e crescita della produttività».

Veniamo all’Italia…

«Secondo gli studi OCSE, la crescita del PIL italiano dovrebbe passare dal 3,8% registrato nel 2022, all’1,2 % nel 2023 e all’1 % nel 2024, e pertanto si prevede una sensibile riduzione della crescita economica del nostro paese. L’inasprimento delle condizioni finanziarie e la diminuzione del sostegno fiscale connesso alla crisi energetica avranno ripercussioni sui consumi privati e sugli investimenti. L’inflazione erode i redditi reali in quanto i salari non registrano una sostanziale crescita: forse la nostra situazione potrebbe essere bilanciata grazie ai risparmi accumulati dalle famiglie cui potrebbero attingere favorendo una ripresa della domanda interna più rapida del previsto».

Il governo dovrà proseguire il risanamento per portare il rapporto debito/PIL su un percorso più sostenibile: questa à la voce corrente…

«L’attuazione di riforme strutturali e la realizzazione dei piani di investimenti pubblici nell’ambito del PNRR potranno essere di fondamentale aiuto per gettare le basi di una crescita sostenibile del Paese con un aumento duraturo del PIL dell'Italia, il che comporterebbe un’ulteriore pressione al ribasso del rapporto debito/PIL. Le riforme in corso di attuazione, tra cui quelle della Pubblica Amministrazione, del sistema giudiziario e della concorrenza, restano fondamentali per gettare le basi dell’aumento del PIL nel medio termine. I ritardi degli esborsi dei fondi di Next Generation, dovuti principalmente ai ritardi nell’attuazione dei progetti di investimenti pubblici, devono essere recuperati».

Esaminiamo la situazione americana…

«Il 28 giugno scorso, a Chicago, il Presidente Biden, usando un termine critico nei suoi confronti adoperato da giornalisti e avversari politici, aveva presentato la sua visione della politica economica, definendola “Bidenomics”».

Di cosa si tratta?

«La “Bidenomics” si fonda su politiche “middle-out” e “bottom-up” e si concentra sulle fasce a medio e basso reddito della popolazione: in pratica lo Stato, con opportune politiche strutturali, dovrà sostenere la domanda di beni e servizi favorendo la prosperità delle aziende; queste ultime, di conseguenza, saranno più inclini ad assumere nuovi lavoratori, riducendo la disoccupazione e facendo crescere l’economia. La “Bidenomics” si fonda su tre azioni: la realizzazione di investimenti mirati alla crescita, la formazione dei lavoratori e la promozione della concorrenza per ridurre i costi e aiutare le piccole imprese. Insomma, comporta un massiccio intervento statale nell'economia».

La rottura con la politica promossa da Reagan e dai successivi presidenti repubblicani pare evidente…

«La visione repubblicana sottolineava che la crescita economica generata dal settore privato e dalle classi benestanti, lasciate libere di operare sul mercato, avrebbe portato benefici anche alle fasce meno abbienti. Ora, invece, la politica “democratica” critica tale approccio che prevede una drastica riduzione degli investimenti pubblici in infrastrutture, istruzione, energia pulita e tecnologie innovative; le politiche c.d. “trickle-down” promosse da Regan e dai successivi Presidenti repubblicani hanno finito per accrescere la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza prodotta».

Intanto si è mosso anche il Fondo monetario internazionale, ovviamente.

«L’FMI, nell’aggiornamento di luglio del World Economic Outlook, prefigurando un “soft landing”, (ovvero un rallentamento del mercato e dell’economia che comunque continua la sua fase di crescita seppure a ritmi più lenti), prevede che la crescita dovrebbe rallentare all’1,8% nel 2023. La crescita, comunque, non è destinata a durare: i consumatori stanno esaurendo i risparmi in eccesso accumulati in pandemia, e inoltre la politica monetaria della Federal Reserve (Fed) continua ad essere restrittiva, non essendo ancora concluso il processo di normalizzazione dell’inflazione».

A proposito di Federal Reserve…

«Sebbene quest’ultima continui a mostrare chiari segnali di rallentamento passando al 3% sui dodici mesi, non più tardi del 26 luglio scorso la FED ha aumentato il tasso di riferimento fissandolo in un intervallo compreso tra il 5,25-5,50, il massimo da 22 anni, in quanto i prezzi al consumo sono rimasti “elevati” e l’attività economica si sta espandendo a un ritmo moderato. La FED dovrebbe aver ormai raggiunto un livello di tassi di interesse di riferimento “sufficientemente restrittivo”, in grado di riportare l’inflazione all’ obiettivo del 2%».

Cosa può dirci della situazione economica cinese?

«Le prospettive economiche della Cina sono in peggioramento ed evidenziano diverse difficoltà che si aggiungono a problemi strutturali irrisolti che compromettono il raggiungimento degli obiettivi posti alcuni mesi fa dalla Autorità di Pechino. I recenti dati economici evidenziano, infatti, risultati inferiori alle aspettative: produzione industriale +3,7% ed investimenti +3,4. Anche lo scambio commerciale presenta risultati in peggioramento, a distanza di pochi mesi dall’apertura post- pandemia. Le esportazioni sono diminuite a luglio del 14,5% a seguito di una domanda globale più debole e dell'attuale contesto internazionale. Le importazioni, nel mese di luglio, si sono contratte del 12,4%».

L’economia cinese presenta problematiche strutturali di lungo periodo.

«Ovvero: produttività e forza lavoro in calo, tendenze al disaccoppiamento (o alla riduzione del rischio) delle catene globali dell’fferta, preminenza dello Stato nell’indirizzo delle dinamiche di sviluppo della Cina. In tale scenario si aggiunge la crisi immobiliare del mercato, e le notizie relative alla Evergrande e Country Garden di recente pubblicazione: il settore immobiliare pesa nel PIL cinese per circa il 30% e di conseguenza è motivo di preoccupazioni sulla tenuta della stabilità finanziaria del Paese».

Quali conseguenze possono esserci per l’Italia?

«La crisi del mercato immobiliare cinese potrebbe avere un impatto negativo sulle esportazioni italiane e, principalmente, quelle relative all’arredamento/mobili che costituiscono una delle principali voci dell’export italiano (670 milioni di euro nel 2021), nonché sull’attività di intermediazione creditizia fornita per tali transazioni dal sistema bancario italiano».

Con quali effetti per i nostri risparmiatori?

«Relativamente al canale finanziario, la flessione delle quotazioni azionarie e obbligazionarie potrebbe avere ripercussioni sul valore dei fondi comuni di investimento dei risparmiatori italiani; secondo dati forniti dalla Banca d’Italia, fino al 2021 le azioni e obbligazioni cinesi in mano italiana ammontavano a circa 8 miliardi di euro, prevalentemente titoli di Stato e obbligazioni bancarie, mentre 48 miliardi sono nei portafogli attraverso fondi comuni».

* Raffaele Lomonaco, classe 1963, è titolare della Cattedra di Economia Politica nel corso di laurea in Giurisprudenza presso la Pontificia Università Lateranense di Città del Vaticano e docente del corso in Diritto delle Organizzazioni non Profit. Direttore del CLAS - Dipartimento Alti Studi di Specializzazione post laurea dello stesso ateneo, ricopre incarichi di consigliere di amministrazione e di sindaco in diversi enti di rilevanza nazionale. È stato membro del Comitato di Esperti presso il Ministero del Lavoro e Politiche Sociali per la valorizzazione e lo sviluppo del sistema dell’economia sociale, e vanta una trentennale esperienza in materia civilistica e tributaria delle organizzazioni non profit, degli Enti Ecclesiastici, delle Fondazioni, Associazioni, Onlus, Associazioni e Società. Nel 2022 ha pubblicato il “Codice del Terzo Settore e delle organizzazioni non Profit”.

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Egidio Lorito