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(Ansa)
Economia

Millenials & Lavoro, una generazione schiacciata tra passato e futuro

Lockdown, smart working, Baby Boomer. I giovani d'oggi non riescono a trovare la loro strada nel mondo del lavoro anche per questioni culturali-storiche

Una generazione figlia di due mondi che non riesce ad occupare il posto che gli spetta nel mercato del lavoro. Sto parlando dei Millennials, cioè di tutti quelli che sono nati tra il 1980 e il 1996 e che si trovano a fare i conti con un mondo del lavoro governato da Baby Boomer (1946 e il 1964) che essendo figli di una generazione totalmente analogica hanno e stanno ancora plasmando il lavoro a loro immagine e somiglianza, senza stare al passo con i tempi. L’emblema per eccellenza di questo distacco dalla realtà è lo smart working, un metodo di lavoro che se ben realizzato permette di bilanciare, in modo ottimale, vita privata e lavorativa, ma del tutto bistrattato dalla generazione dei Baby Boomer. Durante la pandemia il sindaco di Milano, Giuseppe Sala ha dichiarato: «Sono molto contento che il lockdown ci abbia insegnato lo smart working, e ne ho fatto ampio uso in Comune, ma ora è il momento di tornare a lavorare». Oppure, qualche mese fa, Walter Veltroni ha scritto: «Si lavora da casa, ci si fa portare i libri, si vedono i film sul proprio televisore, si esce solo per mangiare». Entrambi Baby Boomer, nati rispettivamente nel 1958 e nel 1955. Eppure, lo smart working è una realtà molto ben conosciuta e integrata all’estero. Diverse multinazionali, ancora prima della pandemia, avevano iniziato a sviluppare queste forme di lavoro e a capire che ne avrebbero tratto enormi vantaggi, soprattutto in termini di produttività. L’Italia guidata dai Baby boomer vuole però vedere tutti seduti alla propria scrivania perché sennò “non si sta lavorando”.

Il problema è che i Millennials sono figli della fine del mondo analogico e dell’inizio di quello digitale. Sono cresciuti proiettati verso le nuove tecnologie e proiettando quest’ultime anche nel loro futuro. Aspettativa che però è stata infranta quando si è messo piede in un mondo di lavoro ancorato al passato che fa fatica a guardare avanti. La difficoltà dei Baby Boomer di cedere il passo ai loro figli, insieme alle mancate politiche ad hoc, hanno creato nel tempo delle distorsioni di non poco conto. Nell’ultimo rapporto redatto dall’Osservatorio sulle politiche giovanili si sono analizzati diversi dati tra cui anche il “muro del divario generazionale”, ovvero tutti gli ostacoli che si devono superare per poter essere autonomi. Questo muro è passato dall’essere alto 1 metro nel 2006, dove tutti i giovani riuscivano a saltarlo e dunque a costruirsi una vita e una carriera, ad essere 1,41 metri nel 2021. Altezza, che spiega Luciano Monti, Docente di Politiche dell'Unione europea Luiss e Condirettore Scientifico Fondazione Bruno Visentini, non tutti sono in grado di superare. Chi non riesce sono attualmente i Millennials neet (circa 3 milioni) under 35. Una fetta della popolazione persa e di cui non si sta sfruttando il potenziale e la produzione di ricchezza per il Paese.

Le sottovalutazione da parte della politica del problema la si vede, per esempio, nella creazione delle start-up. Tipicamente si pensa che questo sia il territorio naturale dei Millennials, eppure, spiega Monti, su 100 nuove imprese solo 18 sono fondate da giovani. Come mai? I Millennials si sono beccati tre crisi finanziarie di fila, (aspetto che gli ha segnati molto come generazione), la totale assenza di politiche per loro e la continua presenza di Baby Boomer ancorati sempre più alle loro poltrone. Situazione che, spiega Monti, caratterizza solo l’Italia. I giovani degli altri paesi in Ue non hanno questo genere di problemi ne hanno a che fare con una classe dirigente vecchia che non vuole abbandonare i posti di comando. La differenza la si nota nelle decisioni politiche. Mentre in Italia si considera la classe dei giovani fino ai 35 (e adesso si sta pensando di estenderla fino ai 40 anni), in Ue le politiche per i giovani comprendono la fascia di età fino ad un massimo di 30 anni. Dopo si è considerati adulti, inseriti con successo nel mondo del lavoro.

Ma non solo, secondo Monti c’è anche il rischio che «i Millennials non arriveranno mai a sostituire i Baby Boomer. Questi saranno sostituiti dalla Generazione Z», che rispetto ai loro genitori (Millennials) e nonni (Baby Boomer) hanno una concezione del lavoro diametralmente opposta. Secondo la ricerca dell’Osservatorio sui giovani la Generazione Z vuole per il 49,6% aprire una P.Iva, per il 35% lavorare come dipendente e per il 15,5% diventare imprenditore e la tipologia di corso universitario a cui è più interessato risulta essere lo Stem (49%). Un’idea di lavoro che dunque è ancora più “estrema” rispetto a quella dei Millennials che sono ancora legati al posto fisso ma che non vedono così lontano anche la possibilità di un lavoro autonomo. Lo scontro generazionale, secondo Monti, è dunque inevitabile, dato che i Millennials fondamentalmente sono quella generazione che dovrebbe fare da ponte tra i Baby Boomer e la GenZ, ma che non riuscendo a fare quel passaggio generazionale che li metterebbe al comando, sviluppando il loro potenziale e plasmando il mondo del lavoro del futuro, arriverà ad un punto di rottura che vedrà da una parte i Millennials e la Generazione Z e dall’altra i Baby Boomer. Il problema è che da questo scontro i Millennials ne usciranno sconfitti, in ogni caso.

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Giorgia Pacione Di Bello