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(Ansa)
Industria

La partita dell'acciaio divide la maggioranza. Tocca a Draghi scegliere da che parte stare

Lega da una parte, M5S e Pd dall'altra sul Milleproroghe. In ballo un pezzo di industria del paese e migliaia di posti di lavoro

Mario Draghi ha incontrato in un colloquio privato a palazzo Chigi il presidente di Acciaierie d’Italia. Non è la prima volta che succede, e non è un mistero che il Presidente del Consiglio in carica segua in prima persona il dossier Ilva, tanto da aver personalmente scelto Franco Bernabè a capo della joint venture che guida l’azienda da quando Conte decise di far entrare lo stato in società con ArcelorMittal. Lo aveva confermato lo stesso Bernabè, durante l’ultimo tavolo al Mise convocato da Giorgetti e Orlando con i sindacati, annunciando che avrebbe riferito direttamente a Draghi dell’esito dell’incontro.

Nulla di strano dunque, se non fosse che gli incontri non sono occasionali o di formalità, ma c’è un problema grosso e immediato da risolvere. Tant’è che ne ha parlato anche Matteo Salvini nella sua prima uscita la sera dell’elezione del presidente della Repubblica: “Se un Ministro fa e lavora per garantire la produzione dell’acciaio, non ci può essere un alleato che disfa” ha detto il leader della Lega durante la conferenza stampa per l'elezione di Mattarella. Che c’entra la produzione dell’acciaio con l’elezione di Mattarella? C’entra.

Salvini si riferisce al ministro Giorgetti, che in quelle ore minacciava le dimissioni dal governo per la sconfitta della Lega nel voto al Quirinale. Il segretario ne approfitta per difenderlo, sottolineando un capitolo sul quale vi è proprio in queste ore un netto scontro tra le forze politiche di maggioranza. Salvini cita Giorgetti, ma si riferisce anche a Draghi. Che come abbiamo detto segue direttamente il dossier, e Giorgetti gli fa sponda al Mise.

La questione riguarda un emendamento Ilva inserito nel decreto Milleproroghe, varato in Consiglio dei Ministri all’unanimità il 31 dicembre, e che lunedì 14 febbraio verrà votato alla Camera con la fiducia. Ma che ora giace in commissione bilancio e affari costituzionali. Senonché proprio li Pd e 5 stelle ne chiedono la cancellazione, come se quel giorno non fossero presenti anche i loro ministri in cdm. L’articolo 21 del decreto prevede lo spostamento di una parte delle risorse destinate allo stabilimento di Taranto, dalla disponibilità dell’Amministrazione Straordinaria a quella di Acciaierie d’Italia. L’amministrazione straordinaria attraverso tre commissari è proprietaria degli stabilimenti fino alla vendita definitiva che deve concludersi entro maggio. I commissari dell’Amministrazione straordinaria rimarrebbero a gestire le discariche e le cosiddette aree esterne, terreni dismessi interni al perimetro Ilva ma privi di impianti e ricadenti nell’area Sin. Per gestirli e bonificarli con decreto del 2015 Matteo Renzi decise di destinare loro il patrimonio rinvenente dall’accordo transattivo (sottoscritto definitivamente nel 2017) con esponenti della famiglia Riva, che ha consentito la rimozione degli ostacoli frapposti al trasferimento in Italia delle somme già sottoposte a sequestro preventivo penale per circa € 1.1 miliardi, da destinare all’esecuzione degli interventi di disinquinamento, in applicazione del principio «chi inquina paga», e l’acquisizione dalla famiglia Riva di ulteriori fondi di cui € 145 milioni da destinare a supporto della gestione corrente di ILVA in A.S.

Quei fondi furono recuperati grazie alla trattativa chiesta dall’allora premier Renzi tra il commissario dell’epoca Enrico Laghi e il procuratore di Milano Greco.

In seguito al decreto, la Commissione Europea, rilevando la natura privata delle somme del patrimonio destinato (essendo derivate da una transazione stipulata con i precedenti proprietari) ha escluso che potesse configurare un aiuto di Stato (non quindi in base alla destinazione, ma alla provenzienza).

  • Nel giugno 2017 le somme del patrimonio destinato hanno cominciato ad entrare nella disponibilità di Ilva in A.S. e destinate per decreto all'attuazione e alla realizzazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria (DPCM del 2017) e interventi di ripristino e di bonifica su ulteriori aree esterne rimaste in capo all’amministrazione straordinaria.
  • Di queste somme, ne sono state finora utilizzate per le bonifiche 25 milioni, e ne sono impegnati altri 69. Mentre 300 milioni sono già andati ai Comuni del territorio per le attività sociali.

In teoria questi lavori dovrebbero essere fatti dagli operai rimasti in cassa integrazione dell’amministrazione straordinaria.

Di questi, dalla data del contratto di aggiudicazione, al 31 marzo 2021 per effetto delle conciliazioni per incentivi all’esodo, ne sono usciti dal Gruppo Ilva 1.269. La forza lavoro dunque rimasta in AS è di 1905 unità. Di questi solo 35 al giorno sono stati utilizzati nell’ultimo anno per i lavori di bonifica. Con mansioni ausiliarie, essendo le bonifiche affidate a ditte esterne specializzate. Nè in tutti questi anni sono mai stati formati per ulteriori lavori di ambientalizzazione.

Ed è quasi certo che a differenza del contratto firmato da Di Maio con ArcelorMittal, non verranno mai più riassorbiti da Acciaierie d’Italia. Mentre il sottosegretario Turco continua a promettere ed elargire loro integrazioni salariali (guadagno più dei cassintegrati di ArcelorMittal) anziché sfruttare questo tempo per un ricollocamento.

E infatti nonostante l’articolo al Milleproroghe sia stato approvato all’unanimità in Consiglio dei Ministri, subito dopo la pubblicazione è partita la caciara dei soliti disfattisti già in campagna elettorale, che dicono che senza quei soldi i lavoratori non verranno mai più reintegrati.

A Taranto è appena caduta l’amministrazione perché la maggioranza di centrosinistra ha consegnato le dimissioni al notaio in contrasto con il sindaco del Pd che ha rifiutato di sottoporsi alle primarie per la scelta del candidato alle prossime amministrative, e si preannuncia un’alleanza tra Pd e 5 stelle.

La posta in palio è molto più alta del semplice governo di città, perché la narrazione frignona della Taranto rappresentata a reti unificate come città più inquinata d’Italia (in realtà non è neppure nella classifica Legambiente delle 40 città peggiori) e dei tarantini che hanno pagato con i tumori il pegno per il pil d’Italia (non è vero neppure questo consultando il registro airtum), ha portato nella città dei due mari un sacco di soldi. Oltre i quasi due miliardi messi da Renzi nel 2015 con l’istituzione del cis, ci sono gli altre 200 per le bonifiche, e poi quelli per il porto, quelli per area di crisi complessa, i 300 milioni già dati da Ilva in as direttamente ai comuni, quelli per i giochi del mediterraneo, quelli del just transition fund. Come pure sono molti i posti di comando da occupare, a cominciare proprio da quelli in Ilva, storicamente agenzia di collocamento per politici e sindacati.

A guidare la banda antidraghiana il senatore tarantino Mario Turco, attuale vice Conte che nei comunicati stampa continua a firmarsi ex sottosegretario governo Conte Due, insieme all’ex collega Francesco Boccia. I due fanatici del governo Conte bis si sono messi a capo delle rispettive fronde locali di Pd e 5 stelle che hanno manifestato a Taranto contro il governo Draghi accanto all’Unione Sindacale di Base e al sindaco decaduto e ricandidato da Emiliano, e hanno presentato un emendamento per sopprimere l’articolo. Con loro ci si è messa anche Forza Italia, rappresentata a Taranto dalla ex grillina Vincenza Labriola. Ovviamente non hanno perso l’occasione per chiedere la sostituzione dei commissari dell’Amministrazione straordinaria, essendo i tre in carica molto bravi ma nominati da Di Maio quando era capo del Mise.

Entro maggio dovrà essere completata la vendita, con un versamento di 700 milioni per la ricapitalizzazione dello stato al 60 per cento.

A quel punto servirà l’investimento per il piano industriale. L’azienda ha già speso oltre un miliardo per l’attuazione del piano ambientale i cui lavori, iniziati solo con l’ingresso di Arcelormittal nel 2019, sono quasi completati. Proprio la scorsa settimana la Commissione Europea ha risposto a un’interrogazione che chiedeva il deferimento dell’Italia alla Corte di Giustizia per la situazione Ilva, per la Commissione ingiustificato poiché la situazione è in netto miglioramento. E infatti non solo sono rispettati tutti i limiti ambientali, ma anche la situazione sanitaria è in netto miglioramento e in linea con il resto d’Italia. Tutto questo non solo perché è stata dimezzata la produzione (dagli 8 milioni di tonnellate nel 2012, ai 3,5 milioni attuali), ma anche perché sono state finalmente realizzate tutte le prescrizioni imposte dal piano ambientale. Scritto nel 2014 dall’allora ministro dell’ambiente Andrea Orlando (governo Letta) è stato ulteriormente migliorato nel 2017 da Carlo Calenda. Rinviato durante gli anni dell’amministrazione straordinaria (a pena del dimezzamento della produzione), i lavori sono partiti proprio con l’ingresso di Arcelor Mittal nel 2018. In soli tre anni è oggi arrivato quasi a compimento, e grazie alle migliori tecnologie istallate ha trasformato Acciaierie d’Italia in una delle fabbriche a ciclo integrale meno impattanti al mondo.

Il 31 dicembre sono stati istallati i filtri a manica Meros per la riduzione di polveri e diossine dal Camino E312 (il più alto d’Europa), un’opera costata 60 milioni che Legambiente chiedeva da dieci anni e che ora finalmente c’è. Sono state chiuse le cupole della copertura dei parchi primari, opera realizzata da Cimolai e Semat, che oggi è la più grande infrastruttura al mondo. Richiesta dagli anni 2000 si è sempre detto che non sia poteva fare, finché Calenda ne ha imposto e anticipato l’avvio dei lavori prima dell’ingresso di Arcelor Mittal. Oggi quella di Taranto è l’unica ad avere i parchi minerari coperti. Che beffa se dopo aver speso 400 milioni qualcuno volesse svuotarli! Già terminata la copertura di tutti i nastri trasportatori, entro maggio saranno finite anche quelle dei parchi secondari (omo e loppa), opera che sta realizzando un’altra eccellenza italiana: Fincantieri. Nel frattempo sono stati collaudati gli impianti di ventilazione meccanica delle scuole, progettati e finanziati dal commissario alle bonifiche. I famosi Wind days non esistono più. E anche dal punto di vista della sicurezza del lavoro ad esempio con i dieci milioni spesi per le macchine a tappare su afo2 oggi è l’altoforno più sicuro d’Europa.

Non potendo rinunciare completamente al ciclo integrale, insieme ai due forni elettrici in cantiere, si potrebbero utilizzare per il revamping di afo5 tecnologie italiane già sperimentate anche in altre parti del mondo come prodotti ecologici ricavati da plastica riciclata che alimentano l’altoforno in sostituzione del carbone. Uno dei più utilizzati è il polimero Bluair della Iren: materia prima seconda circolare brevettata, utilizzata in sostituzione del carbone come agente riducente e come ottimizzatore di processo nella produzione dell’acciaio con forno elettrico. Bluair consente l’abbattimento delle emissioni di CO2 di oltre il 30% con la conseguente riduzione degli ETS (certificati di emissione), la riduzione e l’efficientamento dei consumi elettrici, il miglioramento della qualità delle emissioni e, più in generale, del processo siderurgico, rappresentando una soluzione particolarmente vantaggiosa per le acciaierie sia dal punto di vista delle performance economiche sia di quelle ambientali, e consente inoltre l’incremento del riciclo delle plastiche post consumo del circuito COREPLA.

Tutto questo riguarda il piano industriale e ambientale, e richiede risorse miliardarie.

Tra l’altro Arcelor Mittal resta primo player al mondo per impianti a ciclo integrale sostenibile.

Proprio in questi giorni il primo ministro francese Jean Castex visitando il sito di ArcelorMittal a Dunkerque, in Francia, ha annunciato che il governo contribuirà all’investimento di 1,7 miliardi di ArcelorMittal (in Italia ne avrebbe messi 4) per sostituire gradualmente 3 altiforni su 5 entro il 2030 (conservando comunque due altiforni e quindi rendendo la Francia autonoma col ciclo integrale) e raggiungendo la carbon neutrality entro il 2050. Esattamente come il contratto Calenda prevedeva dovesse fare anche in Italia, prima che il presidente Conte decidesse di stralciarlo sostituendo l’investimento pubblico a quello privato.

Ora quindi quei soldi vanno trovati nel bilancio dello stato. Almeno fino a mettersi in paro con i ricavi.

Anche da qui nasce l’articolo 21 del milleproroghe. Che lasciando intatte le finalità dell’investimento, che resta vincolato a bonifiche e piano ambientale, esattamente come già era, li sposta soltanto dall’Amministrazione straordinaria, ad Acciaierie d’Italia. Sempre previo parere di Bruxelles.

La riscrittura in esame conferma, nella sostanza, le destinazioni indicate dal testo previgente, ma introduce dei limiti di spesa specifici per ognuna delle destinazioni citate, oltre ad aggiornare i riferimenti.

Viene infatti previsto che: all'attuazione e alla realizzazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria (D.P.C.M. 29 settembre 2017) è destinato un ammontare complessivo non eccedente 450 milioni di euro; e a interventi volti alla tutela della sicurezza e della salute, nonché di ripristino e di bonifica ambientale (18559 del 7 settembre 2018) per un ammontare complessivo non eccedente 190 milioni di euro.

Secondo la relazione illustrativa infatti, alla luce dell'ultima relazione trimestrale disponibile della società Ilva in A.S. il “patrimonio destinato – originariamente pari a euro 1.157 milioni – ammontava ancora a euro 878 milioni, al netto dei rimborsi corrisposti a tale data al gestore dello stabilimento a fronte dei suddetti interventi ambientali. Per converso, in base alla predetta relazione non risultavano esborsi né ulteriori progetti da parte della struttura commissariale dell'Ilva in A.S. Tenendo conto delle somme già allocate ai suddetti interventi ambientali ad opera del gestore (e stimando per gli interventi previsti direttamente a carico dell'Ilva in A.S. un fabbisogno di euro 100 milioni circa), residua quindi un'ingente disponibilità di risorse inutilizzate, quantificabile in euro 575 milioni, che possono essere utilmente impiegate per interventi di decarbonizzazione ed elettrificazione del ciclo produttivo dello stabilimento siderurgico di Taranto, nel quadro degli obiettivi nazionali ed eurounitari di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e in coerenza con i più generali obiettivi di risanamento e ammodernamento del sito di Taranto.

Non c’è nessuno scippo alle bonifiche, come pd e 5 stelle vogliono far credere.

Che hanno ben altra fonte di finanziamento e altra regia. E che sono ferme al palo, ma non c’entrano nulla con Ilva. Di quasi 400 milioni destinati al commissario straordinario per le bonifiche di Taranto, quasi la metà finora è stata usata per i lavori di implementazione del porto.

Con l’insediamento del ministro Carfagna, è il ministero del mezzogiorno che sta portando avanti i lavori del Cis e i tavoli per le bonifiche dell’area Sin come quella fondamentale del Mar Piccolo. In questo specchio d’acqua inquinato negli anni dall’arsenale della Marina Militare e altri scarichi fognari, nonostante sia vietato l’allevamento, vengono purtroppo ancora coltivate abusivamente migliaia di tonnellate di cozze poi illegalmente commercializzate in città nonostante siano nocive. L’ex commissario alle bonifiche, la geologa Vera Corbelli, una grande scienziata, aveva avviato la bonifica con progetti molto importanti che oltre i lavori propedeutici di studio e ricerca hanno previsto nell’eliminazione dei detriti un importante impegno per salvaguardare i cavallucci marini, specie protetta che ha proprio nel mar piccolo di Taranto una delle rare colonie del mediterraneo. E per salvarli durante i lavori di bonifica sono stati messi dei collari su ciascun cavalluccio per riportarli poi nel loro habitat.

Un lavoro di grande scienza e maestria. Peccato che con l’arrivo del governo Conte il sottosegretario tarantino Mario Turco decise di cacciare il commissario Corbellli, che era stata persino minacciata dai massoni durante la bonifica della discarica nucleare abusiva Cementir (c’è anche quella a Taranto), rea di non ubbidire a logiche e richieste di partito e potentati locali. Da allora commissario alle bonifiche è stato nominato il prefetto, che con Mario Turco ha presieduto numerosi tavoli lontano da realtà scientifiche. Con il decreto Recovery dello scorso anno è stata prevista la nomina di un nuovo commissario dotato di uno staff di 5 unità. Ma mentre lo stesso decreto ha già nominato il Commissario per le bonifiche di Bagnoli, da mesi si attende che la politica si metta d’accordo per la nomina di quello di Taranto. Prorogando nelle more il prefetto che, pur sapendo di avere ruolo a scadenza, e pur non avendo expertice ambientali, ha pensato bene di publicare già il bando per lo staff che dovrà succedergli, e su 5 figure disponibili ha richiesto tutti e 5 profili di abito amministrativo economico, anziché ambientale.

Lasciando alimentare il dubbio che anche le bonifiche diventano una spartizione di appalti anziché un contributo scientifico all’ambiente. Ma ovviamente per i politici in campagna elettorale è pi§ facile gridare allo scippo dei fondi nel decreto milleproroghe, che far leva sulle loro responsabilità.

Quanto a Ilva, la fabbrica è ambientalmente pronta per ritornare a produrre fermando la cassa integrazione e raggiungendo il break event point in un momento in cui l’acciaio scarseggia, e dopo l’acquisizione di Ast di Terni da parte di Arvedi, anche la competizione interna si fa serrata. Ma se invece si vuole cambiare il ciclo produttivo servono nuovi cospicui investimenti pubblici, che se prevedono alimentazione a gas non rientrano nel Pnrr. Tantomeno la trasformazione di argomenti di politica industriale e ambientale in meme da campagna elettorale.

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Annarita Digiorgio