Le sfide (im)possibili dell'acciaio verde
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Economia

Le sfide (im)possibili dell'acciaio verde

Si fa presto a parlare di aziende green, acciaierie comprese. Ma i costi e le difficoltà sono enormi

Il mondo industrializzato non può funzionare senza l'acciaio: è la seconda catena di valore delle materie prime al mondo dopo il petrolio greggio. Eppure l’industria siderurgica oggi rappresenta circa il 9% delle emissioni globali di gas serra e molti cominciano a chiedersi se sarà possibile, entro il 2050, avere un Pianeta a bassa intensità di carbonioquando la domanda di acciaioglobale richiederà una produzione di 2,2 miliardi di tonnellate.

Ma soprattutto quanto costerà? I consumatori saranno disposti a pagare di più un acciaio verde?

Portare l’industria siderurgica a zero emissioni nette globali entro il 2050 è una sfida epocale che necessariamente dovrà coinvolgere tutti i paesi produttori e già solo questo aspetto presenta complessità che, alla luce dell’attuale situazione geopolitica e l’accentuarsi dello scontro tra democrazie ed autocrazie, sembrano insuperabili.

Complessità a cominciare dalla tecnologia, che richiede il passaggio ai forni elettrici ad arco dagli attuali altiforni che dominano l’attuale produzione ed emettono fino a quattro volte più carbonio. Perché non esiste un sistema semplice per passare da una tecnologia all’altra e questo può significare sostituire impianti che, se in Europa hanno già un’età media di circa 45 anni, in Cina questo valore si riduce a solo 12 anni ed in India a 18 anni. Il risultato è che molti impianti cinesi, che oggi producono il 60% dell’acciaio globale, con una potenziale vita utile di oltre 50 anni andrebbero anzitempo dismessi.

La soluzione per questi casi potrebbe essere lo sviluppo della cattura e sequestro del carbonio (Carbon Capture and Storage): una tecnologia che consente la cattura e lo stoccaggio geologico della CO2 presente nei prodotti di combustione dei combustibili fossili. L’anno scorso la China National Offshore Oil Corporation (CNOOC) ha annunciato il primo progetto di questa tecnologia in Cina che sequestrerà 300.000 tonnellate di carbonio all'anno per iniettarlo nel fondale marino nell'estuario del fiume Pearl, 200 km a sud-est di Shenzhen. Ma catturare e immagazzinare 470 Mt di carbonio per raggiungere l’obiettivo di emissioni richiesto richiederà circa 200-250 miliardi di dollari.

Per il resto servirà idrogeno a prezzi competitivi e naturalmente dovrà essere idrogeno verde ossia prodotto da fonti rinnovabili: eolico, fotovoltaico o idroelettrico.

Questo significa realizzare 2.000 GW (gigawatt) di capacità di generazione rinnovabile dedicata alla produzione di idrogeno. Per dare una dimensione a questi numeri si consideri che significa realizzare circa due terzi dell'attuale capacità di generazione rinnovabile globale.

Aggiornare le infrastrutture di produzione dell'acciaio esistenti, creare nuovi forni e sviluppare un ecosistema di idrogeno verde per l'acciaio richiederà altri 800-900 miliardi di dollari. Anche l’estrazione mineraria globale dovrà cambiare perché i forni elettrici ad arco necessitano di un minerale di ferro di altissima qualità, con un contenuto medio di ferro di almeno il 67%.

Per quanto il ferro non sia raro, è il quarto elemento più abbondante nella crosta terrestre, le miniere che possono produrre questo tipo di minerale sono limitate.

Interessante notare come la più grande riserva mondiale di minerale di ferro di alta qualità non sfruttata, il colossale deposito Simandou in Guinea, sia in larga parte proprio controllato dalla Cina che attraverso una serie di società come China Hongqiao Group, Yantai Port Group, Winning International Group e Aluminum Corporation of China detiene larga parte delle concessioni minerarie. E proprio la produzione di questo tipo di minerale di ferro, idoneo a produrre acciaio verde, dovrà aumentare, entro il 2050, di cinque volte fino a 750 milioni di tonnellate.

Ed anche per le compagnie minerarie l’operazione non sarà indolore: saranno necessari investimenti in prospezioni, e nuovi progetti minerari logisticamente impegnativi e costosi con investimenti di 250-300 miliardi di dollari.

Naturalmente ci saranno vincitori e vinti perché se oggi l’offerta di materia prima è sufficiente a soddisfare la domanda entro il 2040 questa tendenza potrebbe invertirsi per il mancato sviluppo di nuovi progetti il che porterebbe ad un fenomeno a cui ci stiamo abituando: la carenza di materie prime.

Inoltre, ci sono paesi come il Brasile e l’Africa che costituiranno i futuri hub di approvvigionamento ma anche Svezia e Canada potranno alimentare la crescente domanda europea e statunitense. Chi disporrà di riserve meno interessanti saranno Australia e Cina mentre Russia ed Ucraina potrebbero conservare un potenziale interessante. Se quindi facciamo qualche conto vediamo che per portare l’industria siderurgica su un percorso a basse emissioni di carbonio serviranno circa 1,4 trilioni di dollari. Chi li pagherà? Oggi la Cina rappresenta circa il 62% delle emissioni globali di questo settore; quindi, il successo del percorso del Pianeta verso la neutralità carbonica passa da Pechino.

L’impronta carbonica dell’acciaio cinese deve diminuire di oltre il 95% rispetto ai livelli attuali entro il 2050 quindi è evidente che il compito, e la spesa più onerosa spetta al Dragone. Meno complicato il passaggio per economie come l'UE, gli Stati Uniti, il Giappone e la Corea del Sud mentre la transizione troverà forti resistenze ad effettuare investimenti a breve in paesi come India, Sud America e Sud-est asiatico meno inclini a investire capitali nelle emergenti tecnologie verdi e più probabilmente disposte a seguire le tendenze in evoluzione una volta raggiunta la commercializzazione.

I costi di produzione più elevati rispetto alle tecnologie convenzionali sommati alla necessità di materia prima di qualità superiore come rottami o minerale di ferro di alta qualità e l’aumento della spesa in conto capitale legata all’introduzione di nuove tecnologie porteranno ad un aumento generalizzato dei prezzi che in definitiva sarà il consumatore a dover pagare. Perché i maggiori costi dei produttori di acciaio con ogni probabilità verranno trasferiti alla parte finale della catena del valore: gli utenti.

Questo percorso, destinato a modificare in modo profondo e permanente il settore siderurgico, è irto di rischi: da tensioni commerciali per uno sviluppo geografico asimmetrico alla vulnerabilità del settore alle fluttuazioni dei prezzi dell'energia, come quelle che stiamo subendo oggi, all’accentuarsi degli aspetti inflattivi legati ai costi.

Questa transizione richiede un'azione collaborativa a livello globale e un approccio unificato lungo la catena del valore per trasformare i rischi in opportunità ma se ci volgiamo a guardare quanto ci sta accadendo intorno oggi riteniamo, concretamente, di non essere pronti.

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Giovanni Brussato