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Economia

La guerra dei chip

Pechino e Washington si stanno già affrontando in una nuova battaglia, senza armi, ma altrettanto pesante e decisiva

Lo U.S. Chips Act è, per certi versi, una dichiarazione di guerra. Una guerra per la supremazia tecnologica ed una questione di sicurezza nazionale: la crisi delle catene di approvvigionamento globali scatenata dalla pandemia ha fornito nuove ragioni ai sostenitori del protezionismo tecnologico. Ma c’è molto di più.

Le mosse di Washington fanno parte di una strategia a lungo termine, sia per impedire alla Cina di dominare le industrie del futuro e dotare le sue forze armate di armi avanzate, che per rafforzare, al contempo, la sua catena di approvvigionamento tecnologico. Da un lato cercando di persuadere i produttori di chip ad aprire nuovi impianti negli Stati Uniti offendo lauti stimoli economici: Samsung ha in programma di costruire un impianto di semiconduttori da 17 miliardi di dollari in Texas e ha ipotizzato investimenti per quasi 200 miliardi di dollari in una serie di impianti ad Austin e Taylor. Dall’altro gli USA hanno intensificato il loro assalto all'industria tecnologica cinese con una raffica di divieti di esportazione e restrizioni alle aziende cinesi per soffocare gli sforzi di Pechino per creare semiconduttori di prossima generazione.

Una guerra in cui il rischio concreto, per i perdenti, è di diventare delle semplici colonie: colonie tecnologiche.

I semiconduttori sono una delle meraviglie della tecnologia moderna, sono i cervelli dei dispositivi elettronici che forniscono connettività wireless, elaborazione, archiviazione e altre funzioni a un'ampia gamma di prodotti essenziali a molteplici settori: sanitari e medici, telecomunicazioni, energia, finanza, trasporti, agricoltura, produzione, aerospaziale e difesa. I semiconduttori sono anche alla base dei sistemi IT e sono gli abilitatori di tecnologie rivoluzionarie come l'intelligenza artificiale, il calcolo quantistico, le reti wireless avanzate e molto altro. E’ la Legge di Moore che descrive la crescita delleprestazioni dei semiconduttori: le capacità dei chip semiconduttori raddoppieranno circa ogni due anni, mentre il loro prezzo scende. Oggi i microprocessori più avanzati contengono quasi 40 miliardi di transistor.

Stati Uniti e Unione Europea sono leader globali sia nella progettazione di chip che del software sottostante e detengono la proprietà intellettuale degli strumenti che ne consentono la produzione. Gli Stati Uniti realizzano tecnologie chiave utilizzate nella produzione di semiconduttori, come le macchine per l'incisione al plasma, mentre l'Unione Europea occupa una posizione di primo piano nella progettazione di componenti che alimentano dispositivi elettronici, a radiofrequenza e analogici. In Europa c’è l'unica industria di apparecchiature necessarie per produrre chip all'avanguardia con la tecnologia di litografia ultravioletta profonda: l’olandese ASML. Ma, se Stati Uniti ed Europa insieme rappresentano oltre la metà della catena del valore delle apparecchiature di produzione e più della metà della quota di mercato globale dei semiconduttori, la produzione effettiva dei chip avviene altrove.

I principali produttori sono Taiwan Semiconductor Manufacturing Company, TSMC di Taiwan, e la Samsung in Corea del Sud. Complessivamente Taiwan, Corea del Sud e Giappone rappresentano il 56% della capacità produttiva globale, il 57% dei materiali e il 43% dell'assemblaggio, dell'imballaggio e dei test globali. Altro punto debole della catena del valore europea e statunitense sono i materiali critici necessari per la produzione di semiconduttori, come neon e palladio. La Russia controlla circa il 37% della produzione globale di palladio e Russia e Ucraina forniscono poco meno della metà del gas al neon a livello globale. Nel complesso, il 73% dei materiali necessari in tutta la catena di fornitura dei semiconduttori si trova in Cina, Taiwan, Corea del Sud e Giappone.

Ma quello che si attende è la risposta della Cina. Perché dopo i controlli sulle esportazioni annunciati a ottobre, volti a impedire l'accesso della Cina alle macchine e al know-how per produrre chip di fascia alta, sono state inserite un certo numero di società cinesi in una “lista” i cui fornitori devono ottenere licenze governative statunitensi. Tra le aziende più importanti in quella lista c'è il produttore di apparecchiature per chip Shanghai Micro Electronics Equipment Group, o SMEE: l'unica azienda che avrebbe il potenziale per realizzare macchine avanzate per la produzione di chip, che è essenziale per la Cina per essere una forza competitiva nell'ecosistema globale dei semiconduttori. Le macchine che producono semiconduttori sono tra i dispositivi più complicati prodotti dagli esseri umani e sfidano il reverse engineering, rendendo difficile per la Cina sviluppare le proprie capacità nazionali se non può ottenere le apparecchiature.

Ottenere un blocco completo richiede la cooperazione, oltre che delle aziende statunitensi, anche della giapponese Tokyo Electron e dell’olandese ASML Holding. E la posizione olandese sembra orientata a opporsi alla politicizzazione delle questioni economiche e commerciali e mantenere la stabilità della catena industriale globale e della catena di approvvigionamento. Pertanto se ASML non ha venduto nessuna delle sue macchine per litografia ultravioletta più avanzate in Cina, perché il governo olandese ha rifiutato di concedergli una licenza sotto la pressione degli Stati Uniti, l'azienda potrebbe vendere sistemi di produzione di chip meno sofisticati al paese asiatico.

Chi si attendeva, come risposta della Cina, un nuovo bando all’esportazione delle terre rare è rimasto deluso. Le ragioni sono molteplici: il 70% delle esportazioni cinesi di terre rare sono composti di lantanio e cerio utilizzati quali catalizzatori nelle raffinerie di petrolio greggio o nei convertitori catalitici per automobili con motore a combustione interna, niente che non si possa replicare senza troppa fatica altrove. Bloccare le esportazioni del restante 30%, le terre rare magnetiche, non avrebbe un impatto paragonabile al divieto dei semiconduttori negli Stati Uniti e darebbe una grande spinta ai progetti di sviluppo occidentali sulle terre rare, il che non è nell'interesse della Cina.

La vera dipendenza dell’Occidente dalla Cina sono i magneti permanenti costruiti con le terre rare: i costosi magneti al samario-cobalto, SmCo, ma soprattutto quelli al neodimio-ferro-boro, NdFeB, in particolare quelli in grado di operare ad alta temperatura, essenziali in molti settori, a partire dalle auto elettriche. La Cina esporta questi magneti in più di 120 paesi in tutto il mondo ed il danno politico collaterale di un divieto totale di esportazione sarebbe immenso. D’altra parte vietarne le esportazioni solo negli Stati Uniti non avrebbe alcun impatto significativo, poiché i subfornitori industriali in altri paesi fornirebbero comunque componenti/motori realizzati con magneti cinesi alle industrie statunitensi. Probabilmente il divieto di esportazione, isolerebbe la Cina ancor più di quanto non lo sia già ora, e qualcuno potrebbe perfino spingersi ad imputare alla Cina la responsabilità del mancato raggiungimento degli obiettivi climatici globali.

La realtà è che l’economia del Regno di Mezzo, per quanto sogni lo sviluppo di un maggior consumo interno, è fondata sulle esportazioni ed è difficile che possa sopravvivere senza il mercato statunitense. Oggi per la Cina, oltre a superare i gravi problemi legati alla pandemia, sarebbe opportuno trovare stabilità nelle relazioni economiche con gli Stati Uniti, ma ci troviamo di fronte ad un governo che non ha esitato ad attuare una "politica zero-COVID" o rinchiudere un milione di persone per rieducarle: da un tale governo è lecito attendersi di tutto.

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Giovanni Brussato